ranchero

Io…"Incorasti"

Prima di iniziare a raccontare desidero di mio proposito rivolgermi a te, anche se non ti conosco. In questo preciso momento hai aperto il mio libro e ti stai apprestando a leggere le pagine che seguiranno. Ti ritroverai immerso in un mondo reale, a vivere immagini che la tua mente ti proietterà come un film, nel quale io sono il primo attore. Degli altri personaggi principali ti racconterò più avanti. Ti esprimo gratitudine. Se tra tanta carta e tanti colori hai preferito proprio quest'opera, che magari se ne stava là tutta sola nell'angolino più lontano, forse è perché il lavoro che svolgo non è poi così privo di significato. Comunque, qualunque sia stato il motivo per cui l'hai scelta, io ti ringrazio ugualmente, anche se l'hai tirata giù dallo scaffale semplicemente perché ti ha incuriosito l'immagine di copertina. La prima apparenza non ti ha ingannato! Non è banale. Raffigura un libro semiaperto. Come un cancello di legno si spalanca dopo aver percorso a piedi un breve stradello polveroso, per farti entrare nel profondo dello scritto all'interno del ranch, con i suoi recinti e animali.

Una tranquilla collina e ai suoi piedi una valle stretta. Come un serpente striscia l'impetuoso torrente. Io calpesto questa terra ogni giorno. Per me raffigura un mondo bello e calmo, dove non esiste la guerra. Gli animali hanno i loro recinti, ma sono comunque liberi di vivere anche allo stato brado, brucando l'erba di questo territorio raro. Questo è un ranch vero ed io, con grande orgoglio, ne sono il ranchero.

Prima di iniziare ad accompagnarti in questo immaginario safari, non privo di sensazioni di vera avventura, desidero fare un minimo di conoscenza con te amico mio, che stai per sprofondare nella lettura.

Allungo la mano… Piacere! "Incorasti".

Nome strano?

A me piace molto. È una parola "semplice". Ogni volta però che la pronuncio di fronte a qualcuno (come in questo caso con te) mi esprime energia, vitalità, entusiasmo e tanta allegria. Mi fa sentire un uomo libero, più unico che raro, talvolta poetico. Mi piace molto stringere rapporti di vera amicizia e sono legato alla mia famiglia, che vedo come un ottimo riparo in quei giorni di poca luce, quando il sole è coperto dalle nere nubi.


Il cancello in fondo allo stradello

Ora che la conoscenza è fatta possiamo partire alla scoperta del tanto aspettato ranch didattico, con i suoi animali piccoli e grandi. A proposito… Hai fatto colazione? Se sì, possiamo avviarci. Cammina dietro di me: ti mostro la strada.

Scendiamo giù per una corta e ripida scalinata che ci porta a un grande parco giochi per bambini. Qui sono presenti le casette di legno per giocarci dentro, le altalene e un tappeto elastico per saltarci sopra. Attraversato il giardino attrezzato il nostro cammino continua fino a oltrepassare un piccolo ponte di legno, costruito sopra un fossato. Giungiamo così allo stagno, dove vivono le rane. Lo costeggiamo. Alle sue prode crescono, indisturbati, gli alti rovi carichi dei suoi frutti rossi e neri. La palude è piccola. In breve tempo ci ritroviamo a lasciarla per entrare in un terreno collinare. Al centro della sua vastità è presente un'enorme quercia dal tronco gigantesco, che quasi nasconde il retrostante paesaggio. È alta. I suoi rami sembrano toccare le nubi! Afferriamoci per mano e corriamo ad abbracciare il suo possente tronco.

La novella di questo posto racconta che al suo interno vivono i folletti. Di giorno dormono. Se restiamo in silenzio, possiamo origliare il loro respiro. Escono poi durante la notte per girovagare nella campagna al fine di procurarsi il cibo. Sono dei piccoli ladruncoli molto astuti. Sembra che si rechino all'interno del pollaio e senza fare alcun rumore, per non svegliare le galline, allungano le loro minuscole mani nei nidi e fanno razzia di tutte le uova. Al mattino seguente, le povere pollastre si risvegliano senza uova. Eppure il recinto è tutto chiuso! Questo pensano loro. Dispiaciute e frastornate si rassegneranno a credere che abbiano solo sognato di dare alla luce il loro prezioso uovo. Questa surreale storia si ripete ogni notte. Così io ogni giorno mi ritrovo a dover accudire galline sempre più rimbecillite.

Ora salutiamo la fiabesca quercia e proseguiamo il nostro cammino.

Percorriamo il polveroso stradello bianco. Pian piano che camminiamo, sentiamo sempre più vicini i canti, tutti diversi tra loro, dei vari animali. Se chiudiamo gli occhi, ci sembra di assistere alla musica di un'orchestra composta di tanti diversi strumenti. Dal coccodè del pollame, al raglio dei ciuchi, dal nitrito dei cavalli, al belato delle pecore, fino a giungerci potente, persino il grugnito dei più lontani maiali. Finalmente giungiamo all'ultima curva. Voltiamo a destra. Davanti a noi si mostra il grande cancello di legno. Tolgo l'anello che lo tiene serrato. Questo si spalanca come il manoscritto, che sopra la scrivania tieni in verticale per leggere. Subito intenso giunge al nostro naso un buon odore di selvatico… Un' emozionante profumo di carta! Prima di entrare mi rivolgo a te con una raccomandazione. Appena avrai terminato la tua lettura, ricordati di richiudere immediatamente questo scritto. Se rimanesse aperto, i miei racconti, che gelosamente custodisco e accudisco giornalmente scapperebbero dai loro recinti. Se ne andrebbero a girovagare per il vasto territorio. Crederebbero di essere liberi, ma in realtà sarebbero in balia dei feroci predatori. Io non sarei più in grado di riportarli al sicuro, per poi fissarli sulla carta. Si perderebbero nella vastità della mia mente. Si negherebbe la loro conoscenza ad altri, proprio come stai facendo te in questo preciso momen


Io e il pollaio

Dalla collina sta per apparire un timido sole. La terra si mostra di un marrone più scuro di quanto fosse ieri. Credo che durante la notte sia tornata la tanta attesa pioggia. Si va interrompendo il lungo tempo di siccità. Quella trascorsa è stata un'estate dura. Per molti mesi la campagna è stata ridotta d una stoppia ed io mi sono pure rivolto a Dio. L'ho pregato di spegnere l'ennesimo incendio che avrebbe potuto uccidere, senza alcuna possibilità di salvezza, tutta la natura. Mi ha ascoltato. La benedetta acqua sembra allontanare almeno per oggi i brutti pensieri. Così con il ritrovato buon umore, felice per la campagna che presto ritornerà, a essere verde e forte, decido di costruire un nuovo pollaio più grande, più colorato. La mia intenzione è di realizzare un ambiente spazioso, dove le galline si sentiranno libere di razzolare, quasi come se non esistessero confini. Una grande voliera dove gli animali comprenderanno di non essere in prigione. Saranno invece liberi di vivere sotto la mia protezione, contro i predatori che sono là fuori. Questo posto lo voglio trasformare in un accogliente ranch didattico, dove invitare i bambini. Accompagnarli nel mio safari educativo, facendoli accarezzare la simpatica popolazione del luogo. Insegnarli a preparare il mangime da offrire ai volatili. Recuperare poi dai loro nidi i preziosi doni, che tutti i giorni generosamente ci offrono… Sempre che i furbetti folletti di notte si comportino un po' più educatamente, lasciando qualche uovo anche per noi. Così deciso, inizio a lavorare.

Dal capanno degli attrezzi mi procuro tutto il materiale necessario: la rete di ferro, i chiodi, il martello e i pali di legno. Naturalmente il compagno d'avventura è il piccone. Ora io so a che cosa stai pensando. Che tipo di strano animale sarà mai questo piccone? Sicuramente finendo il suo nome in "one" è senza dubbio un animale grande e minaccioso. Questo tu starai rimuginando. Ti rispondo subito stupendoti. Il piccone non è nessun animale bizzarro. Per me resta comunque una bestia bruta, che però mi apre la strada per scavare le buche sul terreno. Posso porre così i pali di legno a sostegno della recinzione. Ora scusami, ma se sto ancora a parlare con te, non inizierò mai a costruire il pollaio. Ti assicuro che il sole farà molto presto a compiere la sua arcata. Scomparirà laggiù, dietro quel poggio. Afferro in mano il conosciuto piccone e inizio a scavare. Dispongo poi le colonne di supporto dentro le buche e ripieno gli spazi con la terra. Stendo il rotolo di rete e lo fisso con i chiodi ai legni verticali. Per completare il perimetro mi manca solamente di porre il cancello d'entrata. Ecco fatto. Adesso il nuovo recinto è completato. È grandissimo! Non è però ancora ultimato. Manca ancora qualcosa. Penso che se lo lascio così, il pavone e le faraone userebbero le loro belle ali e scapperebbero indisturbati. Non andrebbero però incontro alla libertà, bensì alla bocca dell'insaziabile volpe. Questa immagine non mi piace e nel mio ranch non deve assolutamente andare in scena.

Così deciso a intervenire, stabilisco di porre la rete in modo che dia forma al soffitto dell'intero pollaio. Costruire una vera e propria voliera sarà la scelta giusta. Manca ancora qualcosa. Non sono ancora totalmente soddisfatto. Questo sarà il ranch dei bambini. Come a tutti gli ambienti che solitamente abitano, dalla propria cameretta, all'asilo, devo aggiungere un elemento fondamentale: il colore. Senza tinte non c'è allegria! Allora, pennello alla mano, su e giù vado per i pali, da destra verso sinistra per il cancello. Il verde, il giallo e il rosso si alternano in una carnevalesca sfilata di colori. L'opera ha raggiunto il suo culmine. Ai bambini, questo particolare parco giochi piacerà tantissimo, ne sono più che certo. "La perfezione non è di questo mondo, ma ciò che appare davanti ai miei occhi ci si avvicina molto." Sei stato così partecipe della costruzione del pollaio. Ti ho fatto scuriosare mentre io lavoravo. Ti confesso quindi che non mi sento ancora appagato nel guardare questo ranch. Secondo me manca ancora qualcosa per completarlo. Ecco! Ho trovato che cosa ci vuole! Non posso accompagnare i bambini in un promettente safari, quando poi gli unici animali che ho da fargli conoscere sono: le galline, due maialini, due pecore, due pony… comunque animali piccoli. I bambini desiderano essere stupiti. Penso quindi che io abbia proprio necessità di aumentare la popolazione di quest'ambiente. Devo assolutamente recuperare animali di grandi dimensioni. Questi faranno rimanere a bocca aperta i miei piccoli ospiti, semplicemente perché non comuni animali domestici come il conosciutissimo gatto di casa. Con questa decisione siamo così giunti a fine pagina, ma anche al termine della giornata. Finalmente, perché dalla stanchezza mi scricchiolano le ossa. Caro amico, se desidererai conoscere meglio tutti i nuovi inquilini, sia quelli già presenti, sia i nuovi arrivati, non dovrai fare altro che riaprire il libro ed entrare nuovamente nel ranch.






Tacchini pulcini

Sono già diversi giorni, non ricordo bene di preciso quanti, forse venti, oppure un mese intero, che la tacchina se ne sta tutto il dì da sola all'interno del capanno dove sono posti i nidi. Qui resta accovacciata dentro uno di questi, concentrata a covare le sue preziose uova, dalle quali nasceranno i suoi pulcini. In questa settimana, ogni volta che mi trovo nel pollaio ad accudire le galline, non posso fare a meno di avvicinarmi all'entrata del capanno e gettare lo sguardo su quel nido sistemato nell'angolo più lontano. Tutti i giorni però mi si presenta la stessa immagine. La tacchina se ne sta come imbalsamata nel cesto di paglia, con lo sguardo fisso su un preciso punto della parete davanti, come perso nel vuoto. Purtroppo non riesco a scorgere niente che si allunghi da sotto le sue ali. Chissà se sotto la sua pancia è già nato qualche esserino? Magari per il momento preferisce starsene fasciato dal calore della sua mamma! Io non posso fare altro che starmene qua a guardare da lontano. Come provo a fare qualche passo in più la protettiva chioccia gonfia le sue nere penne in atteggiamento di difesa dimostrandosi molto più grande. Emette poi un soffio molto forte. Mi sta avvertendo di non oltrepassare quella linea di confine, altrimenti per me saranno guai seri. Intimorito dall'ammirevole mamma, rimango sulla porta d'ingresso, rassegnato solamente a spiarla da lontano. Con questo ripetersi quotidiano della stessa scena siamo giunti alla fine della settimana.

Oggi è domenica. Come recita il sinonimo di questa stessa parola: al pollaio è un giorno di festa! Come ogni volta che il sole spunta da quella montagna più alta, anche in questo dì, io mi trovo qui per condurre il ranch. Preparo il mangime composto di grano e crusca in un grande secchio, che poi capovolgo nei rispettivi recipienti. Operazione non facile, perché sono sommerso dai volatili che mi svolazzano intorno. Qualcuno di loro mi colpisce col becco le mani, mentre altri entrano nel contenitore. Spazientito da una situazione di totale aggressione da parte degli affamati volatili, trasformati dalla ghiottoneria in pericolosissime aquile voraci, mi affretto a gettargli il pasto. È facile intuire come qualcuno di loro inizia a sfamarsi con sopra alla schiena una collina di mangime. È un momento piacevole. Io mi diverto molto. Sembra quasi di vivere alcune scene comiche e situazioni ridicole che possiamo vedere alla televisione.

Conclusa tale operazione entro nel capanno dei nidi per recuperare le uova. Qualcuno è ancora caldo! Solitamente succede durante questo momento che mi metto a spiare la tacchina. Allo stesso modo di ieri faccio anche oggi. Mentre sto scrutando, improvvisamente, da sotto un'ala, spunta una piccola pallina gialla. È la testolina di un piccino che nato per primo rispetto ai suoi fratellini sta abbandonando pian piano il calore della sua mamma. Allunga la testa nel vuoto. Si sta mostrando per la prima volta al Mondo. Sono emozionato. Mi piace credere che le prime cose che sta vedendo, quella nuova vita, sono la sua mamma e me stesso. Staallungando sempre più il collo. È molto curioso di vedere e conoscere cose nuove. Un ultimo sforzo ed eccolo la, è fuori dalla protezione delle penne, con la già totale indipendenza e la sua imponente fragilità. Per il suo colore paglierino si sta mimetizzando molto bene con la tinta della sua prima casa, che quasi faccio fatica a vederlo. Resto per molto tempo impietrito a guardare cos'altro ancora accadrà. Se tutto andrà in modo corretto, assisterò per altro tempo ancora al manifestarsi della vita. In questo caso rivelarsi sotto forma di minuscoli corpicini gialli che corrono a destra e a sinistra per il nido, inciampando negli enormi fili di paglia.

Il sole continua il suo cammino. Il giaciglio che ho sotto i piedi è illuminato dai raggi che stanno entrando nel capanno. In questo preciso istante dal colore nero della tacchina appaiono le altre testoline gialle. La prima similitudine che mi viene in mente è di vedere un albero di Natale con tante palline attaccate ai suoi rami. È una raffigurazione piacevole che ha come contenuto principale i colori della protezione e dell'amore. Tonalità vivaci e fondamentali della vita che combattono il nero tenebroso degli orrori senza luce. Sfumature con le quali una qualsiasi mamma dovrebbe farsi dipingere da un pittore, andando a raffigurare un perfetto quadro di famiglia. Non passa altro tempo ancora che tutti i pulcini zampettano in qua e in là per il nido, facendo il girotondo intorno alla chioccia. Ora che sono tutti fuori dai loro gusci, io sono molto entusiasta di ciò che sta avvenendo al pollaio.

Allo stesso tempo mi faccio prendere da un dubbio. Il nido è fissato a una certa altezza da terra e i piccini sono già così intraprendenti appena nati. Con il passare di pochi giorni saranno capaci di oltrepassare le sponde della cassetta in legno e cadere nel vuoto. Senza pensare che, se saranno fortunati a sopravvivere dopo tale infinito volo, dovranno scappare dalle galline. Queste li rincorreranno per colpirli in testa con il loro appuntito becco. Tale brutalità è inevitabile che accadrà, perché nel mondo animale è così che funziona. Le galline riconoscono nei tacchini pulcini degli esseri che non appartengono alla loro specie, semplicemente perché non gli sono simili nell'aspetto e nell'odore. Si comporteranno con gelosia. Faranno prevalere il loro carattere di difesa del territorio, dove i piccoli sono arrivati per ultimi e per questo non sono ospiti ben accetti. Credo proprio che se li lascerò stare indisturbati in quel nido, il loro Mondo di pace durerà ben poco. Devo farmi coraggio, acciuffare sia gli innocui pulcini sia la difensiva tacchina. Fare in modo di rendere non pericolose le sue temibili armi e trasferirli in altra dimora più sicura per i piccini. Così deciso, procedo in questa difficile operazione.

Inizio ad avvicinarmi a piccoli passi per non insospettire nessuno. All'improvviso sferro il veloce attacco. Afferro la tacchina per il petto con la mano destra e con la sinistra gli blocco le zampe. Questa si contorce come impazzita, ma non può vincere la mia superiore forza. Riesco così a metterla dentro una piccola uccelliera chiusa in ogni lato con rete e tavole di legno. Ora che la mamma è assicurata, mi rimane da prelevare i suoi piccini e riunirli insieme. Manovra facile. La mia enorme mano li rincorre nella sconfinata distesa di paglia come un minaccioso predatore. Li acciuffo e li dispongo delicatamente nel sacco che con l'altra mano ho ricavato dalla maglietta che indosso. Sembro un canguro! Apro la piccola porta e li invito ad andare incontro alla loro mamma. Questa li stava aspettando girando intorno alla voliera a testa bassa in segno di nervosismo. Vivranno nella nuova casa per circa un mese.

Nel corso di questo tempo mi sono anche impegnato a liberare la tacchina. L'ambiente era sicuramente troppo piccolo per lei. Senza perdere tempo si è riunita subito con il suo compagno. Hanno iniziato a scambiarsi nuove coccole e i saluti di buon augurio per nuove nascite.

Siamo giunti alla fine del mese di maggio. È giunto il momento che anche i sei giovincelli tacchini vadano ad aumentare la popolazione del pollaio, vivendo insieme agli altri inquilini. Sono cresciuti molto. Hanno anche cambiato colore, da giallo a nero, le soffici piume si sono trasformate in lunghe e robuste penne. Chissà se dopo questo intervallo di tempo utile alla splendida metamorfosi la mamma riconoscerà i suoi figli? Se ti mostrerai curioso di scoprirlo vieni al ranch a farti un safari. Sarai un gradito ospite, accolto con un assordante coccodè di benvenuto.

Non vedrai stupidi esercizi

sotto un tendone colorato.

Vedrai un cartone colorato,

dagli animali interpretato.

Non lacrime,

ma sorridenti innocenti creature.

Il giallo, il verde, il rosso,

sono i colori dell'arcobaleno.

Qui non esiste il colore nero.

Questo è un ranch vero….

….io ne sono il ranchero.

La bambina gli corse incontro e lo abbracciò.

Poi gli disse… Mi mancherai.

Il ranchero, commosso, le chiese…

Perchè ti mancherò?

La bambina singhiozzando rispose…

Perchè non potrò mai più ritornare,

con il pullman, a trovarti.

Il ranchero sorpreso, ma felice le rispose…

Con il pullman no, ma insieme ai tuoi genitori,

ogni volta che lo vorrai, potrai tornare a trovarmi.

La bambina smise di singhiozzare.

- Dedicato a quella bambina -



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Pensieri sulla spiaggia di oggi... Di ieri

In quei mattini di ieri quando la sabbia era ancora fresca, andavo sempre con il mio babbo al vecchio molo, che oggi non c'è più. Al suo posto si trova sdraiata al sole una scogliera artificiale, costruita per difendere l'entrata del nuovo porto dalle correnti che trasportano la sabbia dal fondale del mare. Il vecchio molo per la sua fattezza mi ricordava un trampolino, proprio come quello delle piscine, che si allungava sul mare. Grazie ai suoi piloni in cemento che lo sorreggevano, rivestiti dal tempo di grandi cozze nere, lasciava intravedere la costa dietro di esso con il suo castello, seduto lassù guardiano del mare sottostante. A me trasmetteva l'immagine di un vecchio, che per difendersi un po' dal caldo nemico, se ne stava seduto sullo scoglio, con i piedi immersi in una bacinella piena di fresca acqua. Oggi quei grandi frangiflutti non permettono più di allungare lo sguardo su quella costa lontana. La vista è costretta a sbattere su quel nuovo muro.

A me piaceva molto guardare per ore le barchette di legno che rientravano nel vecchio porto, con le reti piene di pesce. Scuriosavo poi tra i retini di quei mattinieri pescatori che gettavano le lenze delle loro canne e le reti delle bilance nel profondo mare. Rimanevo incantato anche di fronte alla vecchia scavatrice arrugginita, intenta a dragare l'entrata del porto per portare via la sabbia in abbondanza, ostacolo alla normale circolazione delle barche.

A metà mattino ritornavamo al nostro ombrellone, dove la mia mamma mi aspettava per fare colazione. Mi attendevano delle fette di pane con sopra il pomodoro o la marmellata, che ai miei occhi, sembravano grandi quanto le tavole da windsurf. Io non volevo mangiare, un po' perché non avevo un grande appetito e poi ero tutto rapito dal gioco con il mio babbo e dalla grande voglia di entrare in acqua, per il rituale bagno. Se avessi mangiato sarei stato costretto ad aspettare che fossero passate le lunghissime tre ore imposte dalla mia mamma. Mi rammentava sempre, come una severa maestra impone la sua noiosa pesante lezione, che se non avessi aspettato almeno tre ore dal pasto, mi sarebbe venuta una congestione appena mi fossi bagnato la pancia con l'acqua. Sono sempre stato nel mezzo. Da una parte la mia mamma che mi voleva far mangiare per forza, perché gli altri bambini dei vicini ombrelloni erano molto più paffutelli di me e dall'altra il mare, le cui onde vedevo come se fossero le mani di una mitologica creatura azzurra. Queste si allungavano verso di me per afferrarmi e portarmi via con sé. Io, però, ero ancora tra le braccia della mia mamma e allora se ne ritornavano indietro. Poi tornavano verso di me, ma niente, ero ancora sequestrato da quella creatura. Scalciavo per liberarmi. Allora avanti con le sculacciate e le interminabili lacrime. Quelle drammatiche "tre ore" le ho sempre vissute come un incubo, rimanendomi dentro come una cicatrice. Oggi ormai quarantenne, anche se ho ingoiato un pezzo minuscolo di pane, aspetto sempre il prescritto intervallo, prima di farmi afferrare dall'azzurra creatura.

Non avevo molti amici con i quali giocare. Non sentivo la necessità di averne uno. Forse perché a me piaceva molto divertirmi solamente con il mio babbo. Afferrandomi per le gambe mi trascinava per la spiaggia, disegnandoci con il mio sedere una pista da corsa, con tanto di rettilinei e curve. Un enorme serpentone strisciante tra colline e pianure. Poi via alla gara con quei campioni del ciclismo racchiusi dentro il loro glorioso mondo rotolante. Si alternavano in una pazza corsa fino a raggiungere quella ciabatta infilata per ritta sulla sabbia, a rappresentarci il traguardo. Vincevo sempre io. L'estati passavano e le cose però iniziarono a cambiare. Non trionfavo più in tutte le gare, in alcune corse era il mio babbo a tagliare per primo il traguardo. Iniziavo a capire che nelle gare degli anni precedenti io dominavo sempre perché era il mio sfidante che, volutamente, rallentava la sua corsa per farmi vincere. Perché questo suo rinunciare alla vittoria? Perché anche se perdeva sempre, lui era comunque sorridente? La risposta a questi miei interrogativi è semplice. Ero un malato cronico di capricciosità. Un viziato inguaribile e un pazzo geloso dei suoi giocattoli. Si spiega tutto. Ecco perché giocavo sempre solo, oppure in compagnia del mio babbo! La verità è che, tale situazione non era frutto della mia volontà, ma della scelta degli altri bambini a non voler giocare con me una volta che questi mi avevano conosciuto bene. Per divertirmi dovevo allora accontentarmi di quello che mi organizzava il mio babbo, oppure di ciò che m'ideavo da solo, come costruire i castelli con la sabbia.


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La vecchia aia

Vecchia aia

Vecchiaia

Poche le pagine.

Della vecchiaia,

delineo l'immagine.

Profondi i graffi.

Non era il vento,

a prendere a schiaffi!

Al sangue,

preferisco l'inchiostro.

Ti prego.

..Non avvicinarti,

con quella maschera da mostro.

Che i graffi dritti

divengano i righi scritti.

Ricurve le dita.

Quella forza,

in lungo e largo,

trascinava spedita.

Pelle cadente,

ossatura sporgente.

Picchia duro,

l'esterno agente.

In bocca,

più nessun dente.

Morente.

Và in onda

una scena carente.

Vivere o morire.

Cosa è peggio?

Interrato su questo poggio?

Allungare un braccio.

Non ricevere, però,

nessun aggancio.

Incontro pian piano.

Qualcuno scaglia una mano.

Sgobbare,

dal primo canto del gallo.

Sulle spalle

il pesante corbello.

Dentro l'umano,

non c'è più,

nessun capitano.

Rimanere una compagnia cattiva.

Perché non più forte,

per una vita attiva.

Forti sono,

i, preferiti, nipoti.

Sono lontani, però,

dai lavori faticosi.

Forte coltivatore,

costretto a calare le ancore.

Corpo agricolo.

..Animo non ridicolo!

Il sangue esce

dalle vecchie vene.

Ti prego.

..Vogliami ancora bene!

Il terreno non insozzo.

Voglio rimanere qua',

il più non posso.

Lacrime,

dagli occhi bianchi.

Dell'ignoranza

sono stanchi.

Sono venuto a trovarti.

Parlarti voglio farti.

Raccontami del carro,

pieno di fieno giallo.

Sul viso,

allora, un dolce sorriso.

Esperienze dalla vecchia aia.

Testimonianze della vecchiaia.

Fuori piove e fa molto freddo. Il mio pensiero è rivolto a loro lassù che sono allo scoperto. Ritengo che non ci sia momento migliore di oggi per iniziare a pasticciarvi d'inchiostro i fogli di carta che seguiranno. Mi aiuterò con la vecchia macchina per scrivere, regalatami quando ero ancora un bambino.

Caro mio piccolo e grande amico, chi ti scrive è un ragazzo della tua Terra, entrato da poco nell'epoca della seconda età. In un tempo passato stava portando avanti un progetto indispensabile, da dedicare all'intera comunità. Disegnare una piccola oasi protetta per l'assistenza e l'ospitalità, da destinare ad accogliere attrezzi agricoli ultra ottantenni. Questa riserva di riparo e protezione doveva essere avverata proprio nel Mondo dove vivi. Questa mia ricerca di un primo contatto con te si rende necessaria per capire se nel nostro Paese un rifugio di questo genere fosse indispensabile per il bene degli attrezzi agricoli. Fondamentale per vivere la loro Terza Eta' in modo piu' sereno, insieme con altri macchinari da campagna arrugginiti come loro. Se sei veramente interessato a saperne di più scrivi la tua data di nascita nello spazio sottostante. Come per effetto di una combinazione magica le pagine bianche a seguire si riempiranno di parole che ti parleranno del mio progetto. Di come mi era nato in mente. Di com' era continuato a crescere. Di quale poi sia stato il risultato finale.

DATA DI NASCITA

GG MM AA

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Da poco tempo ho festeggiato i miei quarant'anni. Penso proprio di essere giunto a metà del mio cammino. Altri quaranta e anche io raggiungerò la vecchiaia, ritirandomi a vivere dentro la mia vecchia aia, proprio come stanno facendo tutt'oggi i protagonisti di questa testimonianza scritta.

Purtroppo anche l'ammalata moglie del caro contadino ha lasciato questa vita. Il podere dove avevano vissuto si ritrova oggi abbandonato. Questa trascuratezza non l'avevano certo voluta gli umani! Purtroppo è stata colpa della difettosità della vita che a volte riduce drasticamente il tempo da dedicare a tutto ciò cui noi siamo sentimentalmente legati. Come la famiglia, o come semplicemente un vecchio attrezzo agricolo.

Spinto dalla curiosità un giorno, mentre compivo la mia quotidiana passeggiata, avevo voluto intenzionalmente lasciare il bianco della stretta strada per entrare nel verde di quella grande aia. Ci tengo a precisarti (se non lo sai) che la parola "aia" è usata da noi abitanti di questa antica terra un tempo paludosa, per indicare l'area che tu chiami cortile. Mi trovavo subito di fronte un piccolo esercito di ultra ottantenni radunati attorno al pozzo. Forse perché per i suoi lineamenti ricordava molto un faro in mezzo al mare. Tutto intorno non c'era l'acqua, ma una grande distesa di erba alta che spinta dal vento somigliava a un mare in tempesta. Forse si erano raccolti attorno al pozzo per cercare la salvezza, aggrappandosi come potevano a quella figura di riferimento, rifugiandosi da quella distesa di tormenti svuotata dall'affetto dei propri cari. Di quegli umani che un tempo gli volevano bene. Si sentivano soli, vivendo in una condizione di ansia, paura e angoscia. Percepivo subito quei sentimenti negativi che tentavano di trasmettermi, accogliendo fortemente la loro richiesta di aiuto, di bisogno e di solidarietà. In questa loro preghiera rivoltami, avvertivo il loro bisogno di essere ascoltati. Gli dedicavo così un poco del mio tempo libero.

Per non creare confusione nel raccontarmi i fatti, il pozzo, trovandosi al centro della scena, si faceva portavoce di tutti gli attrezzi. Gli anni avevano regalato a tutti loro dei gravi danni. La pioggia aveva picchiato forte contro le loro ossa. Il vento aveva schiaffeggiato ripetutamente la loro pelle. La continua esposizione al Mondo esterno aveva fatto addirittura cambiare il loro colore esteriore. M'invitava ad accarezzarli, facendomi notare come un velo di pulviscolo di color marrone mi rimaneva attaccato alle mani. Mi pregava allora di lavarmi il prima possibile le dita e di non respirare quella polverina. Avrebbe provocato gravi danni al mio organismo respiratorio. Hanno sempre vissuto come una famiglia in totale dipendenza l'uno dall'altro, uniti da un legame attivo e produttivo. Pensando al futuro saranno invece costretti a legarsi a qualche estraneo, in una dipendenza umiliante e penosa. Soprattutto destinati a vivere un finale di vita in un totale stato passivo. Vecchi, fragili, rugginosi, ma ancora non si sentivano certo ridicoli questi attrezzi agricoli! Nella loro innocenza non sapevano riconoscere se era un bene oppure un male, ma avevano una certa conoscenza del progresso. Sapevano bene che fuori da quell' aia vivevano generazioni più sane, forti e resistenti alle minacce esterne. Migliorando la loro salute l'evoluzione voleva promuovere la prosperità, sfidando l'invecchiamento, proponendo individui forti, grandi, che sapevano migliorare le attività sul campo. Portando così maggiore produttività e soprattutto andando in pensione il più tardi possibile. Da questo piccolo, ma grandioso racconto, percepivo in loro ancora una voglia di vivere, la disponibilità ai rapporti di relazione e di competere per una piccola indipendenza. Soprattutto non erano più disposti a rimanere soli. Lasciarli ancora dentro questa vecchia aia sarebbe stato contrario alla mia morale. Questo pensavo subito io e rivolgendomi a loro gli dedicavo le seguenti parole.

Voi avete una grande ricchezza dentro. Io vi trascinerò fuori da questa condizione di passività. Vi migliorerò la vita combattendo le vostre fragilità e disabilità, trasportandovi in una vecchiaia fatta di attività di aggregazione, relazioni culturali e stimoli. In cambio, voi, una volta entrati in questa riserva di pace, dovrete fare una piccola opera per me. Salirete sul palcoscenico che io costruirò per voi con i mattoni, il cui ingrediente principale sarà l'importanza e trasmetterete la vostra conoscenza diretta e vissuta ai piu' giovani, che siano i miei ma anche i vostri simili. Non mi nascondevano la loro difficoltà a staccarsi da casa, da un ambiente familiare, ma erano comunque felici di accettare la mia proposta. Sentendomi in dovere di tranquillizzarli, allora decidevo di presentare loro la mia idea di quale poteva essere il progetto per l'ospitalità a loro dedicato. Mi assumerò questo impegno facendo affidamento a tutta la mia sensibilità. Questo ci tengo a precisarvelo. Affronterò ogni problema, o barriera che si presenti in questo nostro cammino, accettando le vostre abitudini, modi di vita e assicurandovi un buon livello di manutenzione, sorveglianza. La lunga vita delle vostre ossa e della vostra pelle mi fa riflettere molto, invitandomi a pensare proprio a un' oasi di protezione e assistenza come nuova casa. Vi trascinerò nel mio giardino. Sarete i miei ospiti. Per quanto possibile, ricopierò il vostro ambiente familiare, non trascurando il clima di unione che vi appartiene. La mia campagna, sarà come la vostra, fatta degli stessi profumi e suoni. Noto con molto piacere che avete seguito le mie parole in questa descrizione con attenzione. Vi vedo molto più rasserenati di quando per la prima volta sono arrivato quassù e vi ho scovato. Ora però si sta facendo buio ed io devo ritornare alla mia casa. Non preoccupatevi se nei giorni che verranno non tornerò a trovarvi. Devo dedicare un po' del mio tempo libero a pensare e a disegnare il vostro nuovo rifugio. Tornerò a prendervi presto.

In quei giorni avevo perso il lavoro, ma questo inaspettato progetto da pensare e poi da attuare mi stava regalando una grandiosa opportunità. Fare del bene, dissolvendo così i miei mali, come l'ansia e l'angoscia. Inquietudini che non mi facevano più sognare la notte. Così dopo l'ennesimo cammino di una luna negativa, che mi portava solo male alla testa e lacrime agli occhi, dalla montagna spuntava il nuovo sole trascinando dietro di se un carro pieno di positività.

Entravo nel mio giardino e iniziavo a pensare a come organizzare gli spazi. Prima di tutto dovevo prevedere una zona fuori dal perimetro verde da dedicare alla prima manutenzione dei miei ospiti. Osservando bene le loro condizioni fisiche pensavo proprio che sarebbe stata necessaria buona parte del mio lavoro per combattere le loro disabilità. Migliorando così la loro funzione motoria principale. Il mio impegno doveva essere rivolto principalmente a rimuovere la ruggine che ricopriva la loro pelle. Eliminare ogni scricchiolio che facevano le loro ossa, attraverso la sostituzione dei vecchi bulloni con dei nuovi. Raddrizzare come meglio potevo i loro arti, che per effetto della sedentarietà e del peso si erano piegati. A uno di loro poi dovevo rivolgere particolarmente la mia attenzione. In conseguenza del molto tempo passato in una totale infermità, alcune delle sue vene si erano deteriorate e fessurate, facendo gocciolare a terra alcuni liquidi vitali che andavano a insozzare e contaminare la Terra, dove tutti noi viviamo. Eseguito tali operazioni dovevo passare a recintare il parco dedicato all'accoglienza. All'interno dovevo costruire dei capanni, dove gli attrezzi agricoli si sarebbero sentiti più sicuri e sereni, vivendo riparati dagli effetti del Mondo esterno. Mi sarei poi dovuto impegnare a rendere usufruibile il giardino a tutti i miei ospiti, abolendo ogni barriera attraverso lo spianamento del terreno.

Pensato alle realtà materiali da realizzare, passavo a immaginarmi come potevano essere avverate le attività, che io avevo ideato ed esposto a quei vecchi lassù. La funzione principale sarebbe stata sicuramente quella di stimolare la socializzazione, attraverso l'organizzazione di iniziative adatte ad animare il loro tempo, incoraggiandoli ad una vita ricreativa. Una vita non più passiva, ma attiva, attraverso la comunicazione. Già la comunicazione tanto importante per quei vecchi attrezzi agricoli, perchè avrebbe consentito di ricostruire la vita vissuta di ognuno di loro, trasformando le loro esperienze in racconti. Comparando i diversi lavori trasferiranno alle giovani generazioni, le loro competenze ed esperienze, con dimostrazione pratica da fare direttamente sul loro nuovo parco agricolo. Quest' attività di divulgazione credevo proprio fosse fondamentale per farli sentire impegnati, anche per poco tempo durante la giornata. Farli sentire ancora utili e importanti per se stessi, ma soprattutto per l'intera società. Sarebbe stato un luogo di scambio, di relazioni sociali, di attività lavorative e soprattutto di integrazione tra le persone e i vecchi attrezzi. Pensato a come sarebbe stato, dovevo capire come avrei fatto. Dotandomi di carta e penna mi apprestavo a scrivere una lista di tutto il materiale che mi serviva, per realizzare prima e per mantenere poi il mio progetto.

Per la prima manutenzione dei miei ospiti avevo bisogno di recuperare dei bulloni nuovi, gli utensili necessari a svitare e avvitare, un martello, tanti fogli di carta vetrata e un compressore per gonfiare le ruote di alcuni di loro. Per recintare l'area di ricovero mi dovevo procurare la rete di metallo, i chiodi per fissarla e i pali in legno per sostenere il tutto. Poi mi serviva altro legname e molta paglia per costruire i capanni per i rifugi.

Proseguivo con gli utensili: una zappa e una pala che mi aiutavano a spianare il giardino, annullando ogni poggio o buca. Avevo infine bisogno di alcuni litri di carburante, necessario per rimettere in moto il vecchio trattore. Un tempo questa forza sgobbava dalla mattina alla sera, per trascinare in lungo e in largo sul campo tutti gli altri. In quel momento mi doveva aiutare, con me sulle spalle, a trainarli ancora una volta.

Finita la lista di tutti gli arnesi, recuperavo il porta monete e mi apprestavo a recarmi alla vicina bottega. Prima di partire aprivo il porta monete per accettarmi se avevo abbastanza soldi utili ad affrontare la spesa. Non avrei mai dovuto farlo. Immerso completamente in questo mio disegno utile per il bene sociale mi stavo scordando per un attimo che in quel tempo non avevo un lavoro. La tragica conseguenza era che quel borsellino non portava alcuna moneta. Purtroppo in quei giorni era leggero. Come colpito in testa da una roccia rimanevo rintronato. Poi improvvisamente mi veniva in mente un'idea. Chiedevo supporto al mio babbo "Peo", chiamato così dai suoi colleghi di lavoro prima di andare in pensione, perchè in bocca teneva sempre l'immancabile sigaretta accesa. In quel momento era nuovamente lui che mi governava. Ottenevo però scarsi risultati. Non mi poteva dare neppure un euro, perché già impegnato a combattere la sua vecchiaia e quella di mia mamma. Anche lui doveva fare evidenti tagli alle risorse da poter dedicare a questioni comuni, a dispetto delle sue volontà. Toccava anche lui il fondo nel sostegno familiare. Mi trovavo costretto a cancellare il mio valoroso disegno. Mi avrebbe portato ad avverare un' oasi di rifugio dai mali come il disagio, la solitudine e la passività. Negatività che pian piano con il trascorrere del tempo entra in ognuno di noi esseri umani, come un agente patogeno maligno che attacca il nostro organismo e lo infiacchisce. Proprio come un agente atmosferico che aggredisce dall'esterno un attrezzo agricolo e lo arrugginisce. Volevo solamente non essere egoista. Per la complessità delle varie manutenzioni avrei avuto bisogno dell'aiuto di un amico, che magari non lavorando come me, avrebbe potuto dedicarmi un poco del suo tempo. Nella mia immaginazione creativa avrei originato un posto di lavoro se pur precario. Nel suo piccolo avrebbe potuto beneficiare il mio nuovo collega e la sua famiglia. Purtroppo mi dovevo fermare. Tutta colpa della mia avventura lavorativa non troppo felice. Questa mia narrazione resterà solamente un piacevole pensiero, che per sempre vivrà dentro di me.

Vergognandomi di me stesso perche' avevo fatto una promessa, ma che poi non avrei potuto mantenere ero tornato lassù a trovare quei veterani e a raccontare loro di come stava procedendo l'intero progetto. Per tutto il tempo del resoconto ascoltavano la mia voce senza interrompere. Poi uno di loro, quello piu' forte, ancora una volta afferrava tutti gli altri per le loro braccia, trainandoli in un discorso comune a me rivolto.

Se tu ci avessi portato nel tuo giardino avremmo sicuramente vissuto sicuri e sereni, in un' atmosfera di comunità. Tu, umano, non hai pensato però a una realtà che si sarebbe presentata come un grande problema di non facile soluzione. Il pozzo che vive qui in mezzo a noi ha perso la sua autosufficienza già molti anni fa. E' completamente interrato e per il suo enorme peso non è possibile alzarlo dal suo giaciglio, per rimetterlo sulle proprie gambe. Gia'....l'enorme peso! Colpa della forte gravità in cui si trova il Mondo sotto i nostri piedi. Ci consideriamo una famiglia unita. Siamo pendenti l'uno dall'altro, si può dire ormai da sempre. Questo discorso si rende utile per farti capire che senza di lui noi non avremmo mai lasciato quest' aia. Siamo vecchi attrezzi agricoli, ma abbiamo un'anima di ferro, che ancora oggi nonostante la ruggine non ci fa sentire ridicoli. O tutti o nessuno. Comunque, siccome sei stato molto gentile con noi, ci teniamo a farti sapere che abbiamo ancora voglia di fare una cosa per te. A noi basta questo per sentirci ancora utili e importanti per qualcuno. Corri a prendere un quaderno e una penna. Scriverai la vita che ognuno di noi ti detterà. Diventerà la testimonianza scritta delle nostre esperienze e competenze per le giovani generazioni. Incantato e sorpreso da quella volontà mi apprestavo a ubbidire.

I giorni che seguivano li dedicavo ad ascoltarli.

Rivolgendomi a te caro amico che stai leggendo ti voglio solo rammentare il loro valore. Quegli ingenui ma sinceri esseri, tanto diversi da noi, anche se nessun umano è ancora riuscito a farli uscire da quella vecchia aia, rifugiando loro dalla vecchiaia, hanno comunque trovato il coraggio e la forza di trasmetterti chi sono stati in un lontano loro passato glorioso. Tutto questo senza mai allontanarsi dalla loro dignità individuale. Credo che sia doveroso da parte tua dedicargli un poco del tuo tempo libero, almeno per venirli a conoscere e ascoltarli solo un attimo. Sappi che questa mia richiesta è poco per te, ma per loro sarebbe tanto. Gli basterebbe.

Io intanto ti preciso il luogo.

Appena lasciata la vecchia salaria, che collegava il mare alla montagna, ti ritroverai ad affrontare una ripidissima salita, percorrendo la stradina comunitaria nr 38. Qualche curva e sarai giunto in cima alla dolce collina.

Esperienze... Testimonianze


La semplicità della natura, la ricerca autentica dell'essenza delle cose, sono lo sfondo agreste in cui vecchi attrezzi agricoli, un tempo sfavillanti, si raccontano. È l'autore stesso a spronarli, animato da un piccolo grande progetto di conservazione della memoria, di recupero di un tempo che è ormai passato ma della cui profondità abbiamo sempre più bisogno.

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Orme e foglie

A mio nonno, detto il "Mosca".

"Pagine destinate alla lettura di coloro che, udendo echi provenire da una valle lontana, siano spinti dal desiderio di intraprendere il cammino attraverso un sentiero boscato, seguendo le orme impresse nel terreno, testimoni di un passato battagliero".


Commento di apertura

Le pagine che seguiranno raccontano la vera storia di "Seguace di Cristo", componente del popolo plebeo dei "Mosca", razza guerriera distintasi per aver dato i natali a numerosi cavalieri. Per motivi legati al mio mestiere, io mi ero ritrovato a passare da quelle zone, alcuni anni fa. Un giorno avevo conosciuto proprio lui, il protagonista in assoluto di questo scritto. Subito, tra noi due, nasceva una profonda amicizia. Tanto che, nella più totale confidenza, apriva il suo cuore a me, rivelandomi che aveva delle storie da raccontarmi. Un passato che avrebbe poi voluto fissare nel tempo, in qualche modo, così da farlo conoscere ai membri del suo popolo. Purtroppo lui non sapeva né leggere né scrivere e quindi aveva visto in me quella possibilità tanto aspettata, quell'uomo istruito che, per caso, si era ritrovato a passare dal suo villaggio. Gli chiedevo, allora, di iniziare a raccontarmi qualcosa della sua vita, tanto per capire di cosa si trattasse, se valeva veramente la pena di dedicargli il mio tempo, standolo ad ascoltare per giornate intere. "Seguace di Cristo" si metteva a raccontare, solamente alcuni episodi di quegli avvenimenti, ma dopo poco parlare, lo interrompevo subito. Senza spiegare nulla, gli dicevo solamente che accettavo la sua volontà. Mi doveva solo dare del tempo per recuperare della carta Ci saremmo incontrati al mattino seguente, per iniziare a registrare sulle pagine la sua voce. Così stabilito noi facevamo. Le bianche pagine iniziavano a riempirsi.

Giunto alla soglia dei suoi primi quarant'anni, "Seguace di Cristo", si era ritrovato a pensare a com'era stata la sua vita fino a quel momento e facendo una profonda riflessione poteva affermare, con certezza, di considerarla una vera battaglia. Così aveva avvertito il forte desiderio di bloccare nel tempo alcuni


accadimenti, che aveva dovuto affrontare. Questi avevano cambiato il corso della sua vita, alcuni lasciando per sempre orme impresse come cicatrici dentro di lui.

La sua vita aveva delle storie da raccontare, vicende non banali e non importava se, all'inizio, mi sembra tutto così difficile. Lui credeva in loro ed io dovevo trovare il coraggio di mettermi in gioco per aiutarlo.

E allora ecco come gli accadimenti del passato si sono impressi nella sua mente, come le orme lasciate dagli animali sul terreno, poi…


L'inizio del cammino

Età di mezzo, villaggio agricolo di "Terra sopra il fiume".

Erano trascorsi quattro secoli e un quarto dall'inizio del primo millennio. Era l'anno Santo del Rinnovamento delle coscienze e della Riconciliazione collettiva. Purtroppo una guerra finiva, un'altra iniziava. Tutti conflitti sporchi e crudeli, combattuti senza un perché… Questo lui pensava.

Durante il periodo del solleone nasceva "Seguace di Cristo", rivelato poi unico figlio per i suoi capi famiglia. Era nato nel segno del potere. Le sue migliori doti erano la volontà e la determinazione. Come il suo segno zodiacale si riteneva un cacciatore del sesso femminile. Si sentiva molto attratto dalla conquista, che fosse essa rivolta alla sua lei, o riguardasse altro tipo di preda in battaglia. Si sentiva orgoglioso e coraggioso. Tutte doti che lo aiuteranno, nella sua vita terrena, a comportarsi come un capo, trasformandosi in un vero leader autoritario nelle sue lotte contro gli altri. Questo suo somigliare caratterialmente al re della savana, lo portava a sognare di andare, almeno per una volta nella vita, nel continente nero per ritrovarsi al tramonto a rifocillarsi insieme al popolo locale.

Ora smettiamo di sognare e facciamo ritorno alla realtà.

Suo padre, "Sasso Squadrato Secondo", aveva contribuito alla costruzione della strada carrareccia, che portava al suo villaggio. Portava un nome importante, ricco di storia. Era il nome che Gesù aveva dato al primo pontefice della storia, dicendogli che sulla pietra avrebbe edificato la sua Chiesa. Proprio come la pietra era forte e resistente. Aveva tante idee per la testa, era abile nelle attività manuali, gli piaceva stare all'aria aperta e, come a suo figlio, fare lunghe passeggiate.


Sua madre "Creatura", invece, era la massaia del casato. Era una lavoratrice instancabile, molto dinamica e creativa, soprattutto nel preparare le vivande ed era sempre pronta a collaborare per aiutare tutti. Per questo le capitava, infatti, di essere coinvolta in diverse attività contemporaneamente… Sembrava essere una costante della sua vita! Era una persona trasparente come l'acqua, mostrando il suo essere interiore, svelando sempre cosa pensava e sentiva. Soprattutto con la sua praticità e la tanta volontà era sempre in grado di compiere qualsiasi attività, anche faticosa, che di solito la maggior parte degli altri individui si rifiutavano di eseguire.

Tornando al protagonista, nelle sue vene scorreva il sangue di grandi cavalieri. Il nome del suo casato aveva un ceppo particolarmente importante in quella magica terra immersa nel periodo medievale, di cui aveva riscontri storici documentati risalenti all'anno 1178.

Lui credeva molto in quel periodo storico in cui viveva. Fin da piccolo era sempre stato attratto da quell'affascinante e intrigante mondo medievale, fin dai tempi della sua educazione, con i suoi castelli nascosti nella nebbia e avvolti da leggende, miti e misteri. Tutte atmosfere ricche di fascino, tipiche dell'età di mezzo. Con i suoi protagonisti, come i falconieri e i loro rapaci. L'esibizione in volo di questi ultimi e le mostre delle armi come la spada, l'arco e la balestra, delle quali era molto attratto. Riteneva, infatti, che la caccia, così come la praticasse il suo popolo, fosse corretta nei confronti degli animali. Questo pensiero perché, se anche dette armi non facevano trambusto e quindi non davano la possibilità agli altri animali di scappare, era anche vero, però, che queste avevano a disposizione una sola freccia alla volta.

Viveva in una dimora fatta di sassi, paglia e argilla posta in campagna, disposta su due livelli con numerosi spazi sia interni che esterni. Era in ordine, guarnita con cura, pulita e luminosa. Da qui lui traeva beneficio da un notevole spettacolo panoramico e, la sera, da un incantevole tramonto. Si trovava in una piccola frazione situata nella parte meridionale del territorio comunale, confinata dal fiume principale e da un imprevedibile e impetuoso torrente. Prendeva il nome dalle piccole fortificazioni che si trovavano lungo il percorso principale, costruite per la difesa dei viandanti nel periodo romano. Queste costruzioni erano la testimonianza di un antico passato, così come lo erano alcuni borghi agricoli, allo stesso modo di quello in cui viveva, costruito in posizione collinare dominante

L'economia del luogo si basava esclusivamente sul settore agricolo con presenza di pascoli, distese di grano, viti e oliveti. Qualche anno indietro, il luogo acquistava grande interesse storico perché erano stati ritrovati i resti fossili di alcuni mammiferi marini erbivori, vissuti nella zona circa quattro milioni e mezzo di anni prima. Nel periodo pliocenico, infatti, gli attuali affioramenti sabbiosi costituivano il fondale del mar tirreno. Poi lassù, dal punto più alto dell'intero territorio, si ergeva, a dominio della valle del fiume, maestoso il complesso fortificato della rocca principale. Una torre di guardia, trasformata in seguito nel campanile della chiesa. Furono realizzate tra il XII e il XIII secolo per delimitare il borgo del comune medioevale, nato come possesso di un'abbazia vicina, poi passava sotto il dominio del potente casato di quel periodo. L'uccisione del signore proprietario decideva il passaggio del castello sotto un potere maggiore. Dopo alcune vicende entrava a far parte dei beni signorili di "Terra Antica". Ecco… Questo era il luogo dove risiedeva "Seguace di Cristo". Ci viveva da quando aveva sei anni. Prima abitava in un villaggio più grande, poi però i suoi capi famiglia, non riuscendo a inserirsi in quella vita fatta di saccheggi e prepotenze, decisero di emigrare in altro luogo. A oggi, a distanza di diversi anni, poteva affermare che quella si è rilevata la scelta giusta Gli piaceva vivere immerso nella natura, in un luogo che si distingueva per la scarsità di presenza umana. Non riusciva neppure ad immaginarsi come sarebbe stata la sua vita nel grande villaggio, circondato da molte dimore e da tanta confusione. Individui dello stesso borgo, ma che magari neppure avrebbe conosciuto, negandosi la possibilità di comprendere un posto da apprezzare per la pace, l'isolamento e la natura ancora incontaminata

Lui amava la natura e questa amava lui… Lo chiamava! Nelle sere d'estate, grazie al canto di un simpatico animaletto, l'invocazione si diffondeva ovunque, in un coro unanime… "CRI, CRI… CRI, CRI… CRI, CRI…" si sentiva il "Cristo" di quel posto.


1^ Orma

Servizio militare

L'estate non era ancora finita quando un giorno, appena dopo aver pasteggiato, si presentava a casa il messaggero. Lui quel giorno non si era allontanato da casa e se ne stava all'ombra di una pianta. L'ambasciatore scese da cavallo e gli andava incontro dicendogli: "Tieni, questo messaggio è per te". Era lui! Bello come il sole. Riportava solamente poche righe, che poi fece leggere a suo padre. Avrebbe fatto parte del dodicesimo contingente di quell'anno. Si doveva presentare al mattino di un giorno di metà inverno del medesimo anno, presso una fortificazione situata al nord, nel Regno di "Terra Stretta". Per lui c'era una carovana che stava per passare, dalla città di "Terra sotto il Mare", per prenderlo e portarlo via. Il convoglio partiva dalla città a notte inoltrata. Per accompagnarlo andavano con lui suo padre "Sasso Squadrato Secondo" e il fratello di suo padre "Dono di Dio Libero". Con lui dei sacchi pieni di panni civili. Il convoglio era tutto al completo. Tutti ragazzi che come lui andavano incontro ad un destino ignoto. "Seguace di Cristo" ero sereno, soddisfatto, perché quel momento, che aspettavo da molto tempo, era arrivato. Giunti a destinazione aveva ancora del tempo a disposizione, per poter mangiare qualche cosa insieme a "Sasso Squadrato Secondo" e a "Dono di Dio Libero" e scambiarsi gli ultimi saluti, per poi subito dopo incamminarsi in direzione della fortificazione. Arrivato all'accesso, l'attenzione andò a un'insegna di presentazione, appesa al muro di cinta. Chiedeva ad altri di leggere quella scritta. Riportava che la rocca era gestita dal reggimento di fanteria dell'Esercito del "Regno tra i Mari", la cui unità svolgeva funzioni di Centro Addestramento Soldati, ossia il reclutamento edaddestramento per i fanti del Regno. Soprattutto era una "fortificazione operativa e punitiva". Non prometteva niente di buono. Comunque varcava l'entrata e si metteva a disposizione dei superiori. Quel primo giorno era tutto dedicato alle normali prassi d'igiene personale. Al taglio dei capelli, all'assegnazione del posto branda, all'interno di un immenso ambiente e della gamella, un fodero con dentro un coltello, un cucchiaio, una forchetta ed una coppa, da portarsela con sé per tutta la durata del servizio militare. Poi erano accompagnati ai rispettivi posti branda, dove i superiori gli insegnavano a come rifarla al mattino. Lo chiamavano il "cubo", consisteva nel ripiegare in due il pagliericcio e avvolgerlo con le lenzuola e le coperte. Doveva essere perfetto, non si potevano notare orecchie che sporgevano, altrimenti in vista c'era una punizione, che consisteva nell'affidarti qualche servizio da svolgere: fare il piantone durante la notte, oppure svolgere il servizio del refettorio e altri ancora. Per chi non lo sapesse il piantone non era un soldato che veniva scelto per farlo piangere tutta la notte. Tutte le notti, a turno, dovevano effettuare un servizio di sorveglianza, all'interno di quello stanzone, controllare che tutti rimanessero nella loro branda, non avvenissero disordini e quando qualcuno doveva fare pipì, lo doveva chiedere, perché nessuno poteva prendere iniziative personali. Le stesse punizioni se le beccavano anche se, ogni mattino, non si tagliavano la barba perfettamente. Prima dell'alza stendardo, infatti, loro tutti inquadrati, venivamo controllati ad uno ad uno, se i pantaloni e la casacca erano stati indossati correttamente. Poi avveniva il controllo della barba, che consisteva nel passare la lama del coltello sul viso per sentire se la pelle era liscia o ruvida. Questi controlli lui li aveva sempre superati bene, senza problemi, con buoni risultati. Che fatica però ottenerli! Di mattino avevano poco tempo per sistemare il giaciglio, vestirsi, tagliarsi la barba e uscire dalla camerata e inquadrarsi per marciare verso il refettorio dove fare il primo pasto della giornata. Per lui era un inferno tagliarsi la barba, con quel golf dal colletto alto. Allora elaborava una strategia di sopravvivenza. Iniziava a radersi la sera quando andavano in libera uscita. Era consuetudine frequentare un locale di ritrovo, situato nel centro di quel villaggio, dove lui con la scusa di andare nel vespasiano, si recava in realtà a tagliarsi la barba. L'occorrente lo nascondeva sotto i vestiti. Così bastava che al mattino si effettuasse una sistemata, anche veloce, che risultava perfetto. Il problema era risolto. Comunque facciamo un passo indietro e ritorniamo al primo mattino. Alla prima levata. "SVEGLIA! SVEGLIA!" all'improvviso urla impressionanti riecheggiavano in tutto l'ambiente, poi giù calci alle brande, tanto per fargli capire che non erano a casa. I bei tempi con i loro agi erano finiti. Loro erano i signori che comandavano, ai quali tutti dovevano ubbidire, altrimenti erano guai. In quello stesso momento "Seguace di Cristo" capiva che a lui di servire il suo Regno, non gliene sarebbe interessato niente. Era troppo abituato al suo benessere, alle sue comodità. Abituarsi a quella vita, si dimostrava, fin da subito, molto complicato e poi, se quello era l'inizio…Figuriamoci il continuo!

Intanto lui si canticchiava nella mente un motivetto dedicato all'aurora, a lui, tanto cara che scandiva un altro giorno pesante che iniziava, ma che poi finiva e quindi un giorno in meno alla promessa al Regno con il conseguente periodo di libertà. Non sapeva se quel sogno che faceva tutte le notti si sarebbe mai avverato. Lui però avrebbe continuato a sognare dal profondo del suo cuore, vivendo per aspettare l'ultima aurora, vista da dentro quell'alto recinto, per poi uscire fuori e, finalmente, respirare un'aria nuova.


Erano inquadrati, poi marciavano e alla fine allineati nuovamente, per tutto quello che facevano, dall'alza stendardo, al primo pasto, all'addestramento militare, all'esercizio corporeo. Tutti i giorni erano uguali. Ripetevano le operazioni ogni dì, per circa quarantacinque giorni. Fino a giungere al tanto aspettato giorno della "promessa". Alla cerimonia assistevano suo padre e la sua amorosa del momento. In tutto quell'arco di tempo lui non era mai potuto tornare a casa per una breve libertà perché, purtroppo, un giorno era stato punito. La sua colpa? Aver assunto per un attimo una posizione un po' troppo civile e poco militare, sulle scale dell'entrata dell'ambiente dove vivevano e dormivano. Comunque era ancora vivo, anche se era dimagrito notevolmente e ora era lì, inquadrato, in quell'immenso spiazzo. Uniforme impeccabile e arma stretta al petto, a servire quell'emozionante rito, che consacrava la loro promessa di fedeltà e devozione al loro amato e caro Regno. Ma all'ordine impartitogli, dopo un lungo discorso patriottico, dal loro superiore… "DITE LO GIURO!", un coro unitario e assordante, scandiva la frase… "L'HO DURO!" Indubitabile, la rima la faceva e poi nell'urlo rimbombante non si notava la differenza. Certo, quello che usciva dalle loro bocche poco si sposava con i valori patriottici, che gli erano stati insegnati durante il periodo di addestramento! Per tutto quel periodo "Seguace di Cristo", sapendo che la sua gente avrebbe, ancora, avuto bisogno di lui, era rimasto legato alla vita. Scoprendo quanto fosse buono l'odore di neve, sfidava quel doloroso luogo privo di amabili profumi, evitando, così, di toccare il fondo nel vuoto che c'era dentro il suo pensiero.

Comunque avevano terminato e si apprestavano a marciare verso il deposito armi per la loro riconsegna. Dopodiché tutti ai rispettivi posti branda per togliersi le uniformi, indossare i panni civili e raggiungere i loro cari fuori dalla fortificazione, salire sulla prima carovana disponibile e via verso casa, per alcuni giorni di libertà…Ben guadagnati. I giorni volavano tra spensieratezza, riposo e svago. Purtroppo però arrivava anche il giorno che doveva ripresentarsi alla rocca, per conoscere quale sarebbe stato il suo destino, o meglio la sua destinazione. Una qualsiasi roccaforte posta in qualche luogo, il più inimmaginabile, del nostro intero Regno. Nord, centro, sud, poteva capitargli di tutto. Quel giorno erano tutti seduti per terra, ad ascoltare, uno per uno a quale complesso erano stati assegnati per lo svolgimento dell'effettivo servizio militare. Dopo tanto aspettare, in uno stato d'ansia pazzesco, arrivava anche il suo momento. Mentre gli era letto il verdetto, lui dentro di sé sperava vivamente che gli fosse stato assegnato un posto al centro, ma purtroppo quello che udiva erano nomi ben diversi e lontani. La sua destinazione era un centro di rifornimento e cavalleria sperso tra i boschi e le risaie del nord. Una delusione logorante. Si sentiva, nei primi momenti, come un vegetale, privo di ogni cognizione sensoriale. Il tutto esasperato dai commenti bastardi dei superiori. Per provare il suo carattere e il suo stato d'animo gli spiegavano che quella era una fortezza operativa punitiva, dove la vita sarebbe stata tutt'altro che facile. A lui, le loro parole, mettevano solo paura. Chissà se era tutto vero? Poi iniziavano giorni terribili. Si sforzava di capire, di chiedere notizie. Faceva di tutto per cercare di conoscere la verità su quel misterioso posto, ma non riusciva ad avere le notizie giuste. Era il buio completo. Stava andando verso un luogo, di cui non sapeva niente, solo parole preoccupanti di chi, forse voleva solo mettergli paura. In lui viveva l'incertezza, grazie alla quale nutriva un minimo di speranza, l'unica sensazione che lo faceva sentire ancora vivo. Intanto, una sera, mentre passeggiava, in libera uscita per le vie del villaggio, apprendeva la triste notizia che un brutto male si era portato via un bravissimo cantastorie, da lui amato per le sue cantiche uniche. Così, con la tristezza nell'anima, arrivava al giorno della partenza. Carichi come muli e tutti inquadrati, come un vero plotone, erano scortati nel luogo dove sarebbe passata la carovana. Sullo spiazzo un'infinità di fardelli e sacche militari piene di panni civili e militari e in mano un tascapane con dentro un pezzo di pane e un piccolo trancio di pesce essiccato… Era tutto il loro pranzo! Ora che era là davanti al tracciato ad aspettare il convoglio, mi descriveva il complesso dove aveva svolto il periodo di addestramento. Era costituito da una fortezza rettangolare e a nord di questa si trovava il cancello d'entrata, unito da due manufatti. A est della fortezza si ergevano altri due fabbricati per il condottiero della rocca. All'interno, oltre allo spiazzo dell'adunata, erano presenti dodici capanni e a sud il refettorio per le truppe del reggimento. L'armeria era localizzata sotto il campo per l'addestramento fisico. Descrizione breve e semplice, ma era arrivata la carovana e doveva salire sù. Si posizionava dentro il barroccio, insieme ad altri soldati che andavano dove si dirigeva lui. I carri partivano, convogliandosi verso le grandi risaie. Dopo un breve tratto lasciavano la "Terra Stretta" ed entravano nella "Terra ai piedi della Montagna". Lì il paesaggio cambiava. Da uno scenario di mare passavano a uno di montagna, completamente diverso. Certamente più triste, anche perché erano in pieno inverno e da una fessura, presente nel legno, riusciva a vedere solo i boschi imbiancati dalla neve che stava scendendo giù. Già, stava pure nevicando. Più triste di così non riusciva ad immaginarsi altra situazione disperata. Stava vivendo una situazione surreale. Anche se non ci era mai stato e conosceva solamente grazie ad alcuni racconti fatti dagli anziani del suo villaggio, sia per i paesaggi incontrati, sia per la stagione invernale, gli sembrava di essere sopra la famosa carovana della Transiberiana. Questa in un viaggio interminabile, attraversava la steppa russa e la Siberia. Dopo qualche tempo passato giungevano a destinazione, una piccola zona di sosta spersa nella campagna di "Terra ai piedi della Montagna". Qui li aspettavano due barrocci per portarli alla destinazione finale. Dopo aver percorso un tratto di sentiero anonimo, senza incontrare nessun cartello che la indicasse, arrivavano all'ingresso della nuova roccaforte. L'enorme cancello metallico si apriva da sinistra verso destra. Il barroccio varcava l'ingresso e, passando il posto di guardia, continuava il suo viaggio, percorrendo un sentiero in terra battuta, immerso tra un'infinità di alberi. "Seguace di Cristo" ricorda che si stava facendo buio e l'unica cosa che riusciva a capire, da pochi fuggevoli sguardi rivolti alle strutture incontrate, che era una vecchia rocca e in un campo c'erano collocati molti carri da battaglia. Giungevano al manufatto principale, dove si trovavano alloggiati i posti branda. Ad aspettarli c'erano i "nonni", pronti a fargli passare la prima notte un inferno, con le loro burle. Comunque, prima di andare loro in pasto, come nelle bocche dei leoni, la prima azione che dovevano fare era quella di procurarsi le coperte. Poi salire al piano superiore e posizionarsi nelle zone dove dormire, che venivano assegnate sul momento. Lui doveva dividere quell'ambiente, formato da quattro posti branda, con un altro soldato arrivato insieme e ad altri militari più anziani. Fortunatamente quelli avevano altro cui pensare, che a fargli gli stupidi scherni. Erano in crisi con le loro rispettive amorose e quindi giù di morale peggio di loro, che erano appena arrivati. Gli altri compagni di contingente erano stati più fortunati. Passavano la notte a subire ogni tipo di canzonature e di umiliazione. La prima notte scorreva abbastanza tranquilla. Il mattino seguente, gli anziani gli spiegavano che ogni giorno, a turno, dovevamo pulire il loro ambiente, prima di scendere per l'adunata e l'alza vessillo. Dopo scendevano nello spiazzo per inquadrarsi sotto lo stendardo colorato. Finito il cantico e la chiamata per nome, erano scortati al refettorio per il primo pasto della giornata. Poi ritornavano alla rocca principale per l'assegnazione del mestiere, che ognuno di loro doveva svolgere fino al giorno della fine del militare. Il mio protagonista era assegnato al deposito, dove erano riparati i vari carri militari. Lì, recuperando alcuni oggetti di scarto, costruiva la sua stecca, cioè un registro del tempo. Serviva a loro soldati per ricordare sia il tempo svolto, sia il periodo che rimaneva alla fine. La sua stecca era diversa da tutte le altre. Non era un semplice filo colorato, dove al compimento di una parte del tempo, il soldato faceva un nodo. La sua era più complessa. Era formata da una catenella di ferro, dove dentro le maglie scorreva il filo colorato e dove le parti di tempo erano rappresentate dall'inserimento di piccoli frammenti di ferro. Reliquie recuperate dallo smontaggio dei carri da battaglia. A parte questa breve parentesi, tutti loro lavoravano dal mattino, dopo aver compiuto il primo pasto, fino la sera. A quel punto erano liberi di muoversi all'interno della fortezza come meglio gli piaceva. Lui stesso poteva ritirarsi nella zona dove dormire, andare al locale di ritrovo tra soldati, oppure a correre per i vari sentieri che si intrecciavano sotto quella immensa coltre d'alberi. La maggior parte delle volte era proprio questo ciò che faceva. Andare a correre lo aiutava a scaricare la tensione, facendogli bene sia al corpo che alla mente. Era stato durante queste sue escursioni che aveva conosciuto meglio com'era strutturato quel posto. Con grande sorpresa e incredulità quello che scopriva era uno scenario inimmaginabile. Centinaia, l'uno accanto all'altro, allineati lungo più file. Non riusciva a contarli. Una scena incredibile, migliaia di carri da guerriglia schierati tutt'insieme nei campi sterminati. Tali armamenti, negli ultimi tempi, erano stati accantonati senza più curarsi del loro destino. Tanti terreni definiti da palizzate, pieni dicarri buttati ovunque, con alberi e cespugli che li avvolgevano. Sembrava di vivere all'interno di qualche passatempo da tavolo, Purtroppo però lì i protagonisti non erano i minuscoli carri, piccoli come sassolini, pronti a invadere qualche territorio. Quelli erano veri giganti di legno e ferro, ancora capaci di combattere e fare strage sui campi di battaglia.

Osservando poi, tra le file, poteva comprendere meglio le storie delle missioni di ogni barroccio. Sulle fiancate di ognuno erano sempre ben leggibili gli emblemi delle varie scorribande, anche quelle svolte in territori fuori dal loro Regno. Alcuni dei carri migliori erano ceduti, credo a eserciti di altri regni. Non poteva mai capire la verità della loro effettiva destinazione, anche perché lui non aveva mai fatto parte a tali operazioni. L'unica cosa certa era che, all'interno della fortezza, passava un tracciato, di tanto in tanto percorso da questi barrocci. Erano scelti un certo numero, Trainati da cavalli venivano fatti uscire e portati via verso qualche destinazione. Proprio durante un'operazione di queste, qualche tempo prima, era stato lo scenario macabro della morte di un soldato che, assistendo alle manovre, veniva travolto da un carro in movimento. Da qui tante storie erano narrate dai soldati semplici, ma anche dai superiori, circa il girovagare dello spirito del giovane soldato per gli spettrali boschi. Gli si narrava anche di paglia e corde intrecciate, durante certe notti. Poi storie di gnomi e folletti, che sembravano abitassero proprio in quei luoghi. La storia più inquietante? La vicenda raccontata da un superiore, avveratasi una sera di guardia al cancello d'entrata. L'episodio si consumava qualche tempo prima proprio lì al cancello d'ingresso, una sera, durante la quale era lui in servizio come ufficiale a capo del corpo di guardia. Durante la notte era fuori che stava compiendo il servizio di osservazione dell'area, quando all'improvviso qualcosa attirava la sua l'attenzione. Nel bosco limitrofo c'era qualcosa che si muoveva, allora provava a tirargli un sasso. Se fosse stato un animale si sarebbe spaventato e fuggito. Invece niente, regnava il silenzio completo. Capiva quindi che poteva essere un ficcanaso. Allora assumeva un comportamento più risoluto, dettato dalle norme militari di comportamento per quel caso specifico. Afferrava la balestra e inizia a urlare… "ALTO LÀ, CHI VA LÀ, FERMO O SPARO!", ma la presenza continuava a vagheggiare tra gli alberi, senza allontanarsi. Allora ancora una volta… "ALTO LÀ, CHI VA LÀ, FERMO O SPARO!". Niente, quella figura non lo stava ad ascoltare. Si trovava costretto a sparare il primo colpo in aria e non ottenendo il risultato sperato, era costretto a spararne un primo e poi un secondo in direzione di quella presenza. Era convinto di averla trafitta, ma con grande sorpresa, quell'essere continuava a muoversi e solo in quel momento si avvicinava ancora di più. Il protagonista di questa vicenda era vicino, riusciva a vederla bene. Con grande stupore e spavento percepiva che non era un uomo, ma una figura antropomorfa, dalla quale si potevano identificare alcune caratteristiche umane. Un fantasma, tanto per farla breve. Lo spettro non mostrava alcun segno di paura, ma dopo essersi fatto vedere, all'improvviso rientrava nel bosco, scomparendo tra gli alberi e il nero della notte. L'ufficiale mostrava, senza vergognarsi, i segni della paura che quella strana notte gli avevano lasciato. Quella è stata l'unica volta, e fino a quel momento l'ultima volta, che lo spirito era apparso. Una storia veramente terrificante. Se si somma al carattere lugubre del posto, alle notti invernali, dove tutto era avvolto dalla nebbia, in uno scenario degno dell'orrore più spaventoso, a "Seguace di Cristo" gli faceva gelare il sangue ogni volta che entrava in servizio di guardia. Quando calava la notte e si ritrovava a compiere il suo turno di sentinella, era inevitabile che il


pensiero andasse a quella storia, com'era inevitabile che lo sguardo era sempre rivolto verso il bosco. Ogni turno notturno era un dramma. Un tempo che non passava mai, diviso tra noia, paura e l'arma, che teneva sempre stretta al petto. A sua disposizione due custodie piene di frecce, ma questo non serviva a farlo stare tranquillo. Si chiedeva come si sarebbe comportato se quello spettro decideva di mostrarsi proprio a lui. Lo avrebbe affrontato da vero soldato, facendogli fuoco come aveva eseguito il suo superiore? Oppure sarebbe scappato a nascondersi all'interno del corpo di guardia? Con ogni probabilità sarebbe rimasto impietrito, con tutti i muscoli paralizzati, oppure avrebbe perso i sensi. Tutti dubbi che, per fortuna, sono rimasti tali, irrisolti poiché, durante la sua permanenza, non aveva mai avuto il piacere di conoscere quel simpaticone di fantasma.

Un'altra storia raccontata riguardava la presenza di manufatti destinati, in tempi andati a stalle per il ricovero dei cavalli da battaglia, localizzate all'interno del bosco. L'impresa prevedeva la partenza dal posto di guardia, localizzato all'ingresso della caserma. Individuare poi nelle immediate vicinanze il sentiero giusto tra la fitta vegetazione, percorrerlo per un breve tratto, fino giungere alle vecchie stalle abbandonate. La storia lo faceva incuriosire. L'idea di andare alla ricerca di quelle scuderie in disuso ormai da molto tempo, stuzzicava la sua fantasia. Chissà quale mistero avvolgeva tali realizzazioni? Di notte il bosco gli metteva terrore, ma di giorno era solo un'immensa distesa di alberi abitata da soli animali. Durante un servizio di guardia, allora, quando il turno lo copriva un altro soldato, lui e un terzo militare s'inoltravano all'interno della selva per intraprendere quella interessante escursione. Il sentiero non era altro che un corridoio stretto di terra battuta nel corso degli anni, immerso tra le fitte piante. Lo percorrevano con paura di smarrirsi. Avevano a


disposizione solo poco tempo, poi dovevano ritornare per dare il cambio alla guardia. Dopo un non breve cammino, scorgevano tra la vegetazione le stalle in rovina. Erano completamente pericolanti, senza porte, con la vegetazione che le avvolgeva e le entrava dentro. Qui gli alberi erano così vicini che i raggi del sole avevano difficoltà a filtrare, rendendo l'atmosfera buia e tetra. Sembrava un altro mondo. Spinto dal coraggio e dalla curiosità lui si spostava all'interno per vedere cosa era presente. Tutto faceva pensare a una normalissima stalla, con la mangiatoia, alcune catene arrugginite e nient'altro. C'era qualcosa che attirava la sua attenzione. Una tavoletta di legno ben lavorata, con impressa in nero la parola "Fanfulla". Era sicuramente un nome di un cavallo che in tempi andati, molto prima che arrivasse lui, aveva servito il Regno. Svolgendo, anche l'animale, il servizio militare, accompagnando l'uomo in qualche scorribanda. Il reperto era più che interessante. Decideva allora che doveva essere sua. Così la portava via con sé al posto di guardia. Qui senza farsi vedere da nessuno, lo nascondeva in un posto sicuro, con la promessa che sarebbe ripassato a prenderlo l'ultimo giorno di permanenza per portarselo a casa.

Quel giorno non tutto andava come lui aveva sperato. Venivano infatti scortati fuori dalla rocca con i carri, fino a quella zona dove erano giunti il primo giorno, senza avere la possibilità di poter scendere e prendersi ciò che pensava gli appartenesse. Forse, però, il destino di quella tavoletta era di restare per sempre in quel luogo, perché solo a quel posto apparteneva. Nulla poteva essere portato via da un semplice intruso come lui, da un soldato come tanti, che si erano ritrovati a passare di là solo per un breve tempo. I giorni iniziavano a sommarsi l'uno con l'altro, trascorsi tra il deposito, i servizi di guardia e un po' di svago. Un giorno però sembrava diverso dagli altri, forse giunto per cambiare il corso del suo servizio militare. Stava svolgendo il suo compito assegnato,


quando all'improvviso iniziava a fargli male lo stomaco. Il dolore aumentava sempre di più. Per fortuna dopo poco tempo arrivava il momento di fine servizio, così che poteva andarsene diretto nella zona del dormitorio e sdraiarsi sulla branda, sperando che quel malessere cessasse. Purtroppo, non solo lo stomaco non passava, ma si aggiungeva una certa sensazione di spossatezza, dovuta a vaghi sintomi d'innalzamento della temperatura. Allora, facendosi coraggio, prendeva la decisione di recarsi in un'altra ala, posta al piano inferiore di dove era alloggiato lui. Qui si trovava il posto assegnato a un soldato più anziano, che svolgeva servizio di accompagnamento all'interno della roccaforte. Gentilmente gli spiegava il problema e gli chiedeva se lo poteva accompagnare al luogo dove prestava servizio il medico del campo. Con altrettanta gentilezza questo lasciava il suo momento di riposo e usciva a prendere il barroccio. Intanto lui ritornava al suo posto branda per prepararsi un po' di occorrente in vista di una probabile permanenza in astanteria. Scendeva giù per le scale, poi fuori saliva sul carro in direzione zona medica, posta in altro luogo, distante un certo tratto dal complesso principale. Arrivato veniva subito visitato dal medico. Al momento non aveva segni di patologie varie, ma il mal di stomaco non si placava e la febbre sembrava alta. Decideva di trattenerlo per qualche giorno, per monitorare l'evolversi della situazione. Si disponeva in un locale, dove erano presenti tre brande, ma al momento era solo. Si spogliava del vestiario militare, per indossare una calzamaglia più comoda. Era pronto per iniziare un periodo di permanenza. Aveva perso completamente l'appetito. Sia al pasto principale che a quello della sera, mangiava pochissimo. Nei primi giorni riusciva solo a bere acqua. Finalmente lo stomaco smetteva di dargli tormento, ma la febbre non accennava a calare anzi, il suo calore cutaneo rimaneva stabile, nonostante l'assunzione di preparati indicati per


trattare i sintomi dell'alta temperatura corporea. Questo persistere insistentemente dell'alta temperatura, sebbene le giornaliere cure, gli faceva riflettere, anche in modo pensieroso, che quella misteriosa febbre, poteva avere una diversa origine. Nei due giorni successivi giungevano le prime complicazioni. Una congiuntivite a entrambi gli occhi, con lacrimazione intensa. Compariva poi una tosse secca, per il momento contenuta. Un gran malessere generale, ma il fatto ancora più sconcertante era che il suo calore della pelle tendeva addirittura ad aumentare. Non essendo ancora stato interessato da reazioni esterne o segni che potessero far pensare a qualche malattia infettiva, il medico non riusciva a riconoscere che tipo di patologia lo stava colpendo. La tosse si faceva sempre più insistente. Sembrava un cane che abbaiava giorno e notte e ogni volta che tossiva era come se una fiamma di fuoco gli partiva dal profondo dei polmoni e gli saliva in bocca. Aveva l'inferno dentro di sé. Aveva poi la gola completamente asciutta, secca, senza più neppure una goccia di saliva, si stava disidratando. Purtroppo non riusciva ad assumere i liquidi necessari perché aveva la gola completamente avvolta dalle fiamme, che non lasciava passare neppure una goccia d'acqua. Anche mangiare era un dramma. Sia il giorno che la sera, tutto quello che riusciva a mandare giù, con molta fatica, era solamente uno spicchio di mela. Si ricorda che per riuscire ad avere un po' di refrigerio, metteva la boccia dell'acqua sulla soglia, fuori dalla finestra. La neve e il gelo la raffreddavano. Così la metteva sulla fronte, oppure dietro al collo. Era una sensazione piacevolissima di profondo benessere. La barba intanto gli era cresciuta, iniziava a dargli fastidio, così una mattina decise di alzarsi dalla branda e andare nel vespasiano per radersi. Davanti alla pelle riflettente si osservava il viso, gli occhi, le orecchie, il collo, se riusciva a scorgere qualche segno premonitore, ma niente, la cute era pulita. All'improvviso però lo sguardo gli cadeva sul braccio


sinistro. Con grande stupore e sorpresa notava che era completamente rosso, come bruciato dal sole, lo stesso valeva per l'altro braccio. Si tirava su la maglia e anche il petto e la schiena erano rossi. Con un'osservazione più acuta notava che non era un colorito uniforme, come una bruciatura, appunto. Questo effetto omogeneo era dato dalla manifestazione cutanea tramutata in piccolissime macchioline di colore rosso vivo, vicinissime tra loro, che avevano la caratteristica di collegarsi tra loro, assumendo l'aspetto di grandi macchie. Chiamava immediatamente il medico che, appena prendeva visione di quel colorito, si pronunciava con certezza. Si trattava di morbillo. A quel punto gli spiegava che si sarebbe messo subito in contatto con il nosocomio militare, posto nella città vicina, tramite messaggero, per sapere se c'era un posto libero. Appena possibile sarebbe stato trasferito. Il mattino seguente, arrivava il via libera. Poteva trasferirsi per essere curato e assistito nel miglior modo possibile. Prima di salire sul carro da trasporto, lo tastava per controllargli la febbre. Da non credere! Secondo la sua esperienza, emanava un forte calore. Sembrava una febbre da cavallo! Il barroccio non era il massimo della comodità e con quella febbre alle stelle, gli sembrava di avere la testa schiacciata sotto i sassi. Il corpo invece completamente imbalsamato, attraversato da un malessere indescrivibile e mai provato prima di allora. Ogni volta poi che chiudeva gli occhi, vedeva una realtà completamente distorta. Montagne e rocce enormi che gli andavano incontro. La testa poi gli rimbombava come se fosse dentro ad una campana. Finalmente dopo quel viaggio massacrante, sbattuto a destra e a sinistra dal piccolo e freddo carro, giungevano al nosocomio. Era preso in carico dalle autorità del luogo e accompagnato al suo posto branda, in una zona d'isolamento. Immediatamente si sistemava in branda, con l'obbligo di non alzarsi, per nessuna ragione. I medici iniziavano


immediatamente a somministrargli dei preparati specifici, al fine di contrastare la sua disidratazione. Appena finiti, subito altri dietro. Era un continuo. Dopo iniziavano anche con un medicinale in tavolette essiccate. Erano dei siluri, grandi quanto le frecce delle balestre che usava durante i servizi di guardia. Ci voleva un gran coraggio a mandarle giù, ma naturalmente capiva che erano per la sua guarigione. Chi lo assisteva? Non ci crederete mai. Una religiosa. Una donna di Dio. Di mezza età, piccolina di statura e mingherlina fisicamente, ma con un temperamento d'acciaio, un vero comandante di ferro. Non gli dava via d'uscita e modo di respirare. Finita una medicina, via subito un'altra, un vero personaggio, non molto comune. Il contingente era comandato solo da lei. Nel periodo che era dovuto stare immobile, aveva contatti solo con lei, a parte qualche sporadica visita dei medici. Grazie alla cura la febbre iniziava a placarsi e nel giro di pochi giorni era trasferito dall'isolamento alla zona comune. Credeva di essere solo o comunque in pochi malati, ma appena varcava l'enorme porta, con grande stupore, gli si mostrava agli occhi uno scenario pazzesco. Un enorme ambiente rettangolare pieno di brande, posti a destra e a sinistra del passaggio centrale. Un'infinità di posti tutti occupati da soldati, che come lui avevano contratto la malattia infettiva del morbillo. Si ricordava benissimo di un giorno durante il quale riceveva la visita di "Sasso Squadrato Secondo" e di "Dono di Dio Libero". La religiosa lo andava a informare dell'evento e ad aiutarlo a uscire dall'ambiente per unirsi a loro in un'altra zona. Con tutte quelle medicine che assumeva, era debolissimo fisicamente e nonostante le cure, gli permaneva ancora quella tosse allucinante. Un vero fantasma che girovagava per i vari passaggi. Era contento di vederli, ma non riusciva a essere loro di molta compagnia. Fuori dalla branda si sentiva perso, come un pesciolino fuori dall'acqua.


Non riusciva neppure a parlare. Solo poche parole, per fargli capire che il peggio era passato e aveva iniziato a guarire. Le macchioline avevano iniziato a impallidire. el giro di pochi giorni la reazione cutanea si sarebbe attenuata completamente. Poi basta parlare, perché ogni parola corrispondeva a una massacrante abbaiata. Comunque a loro bastava così, era vivo, stava guarendo, questo era ciò che importava. Dopo qualche momento di compagnia, arrivava la sera e purtroppo loro dovevano andare via per ritornare a casa. Con grande malinconia li osservava allontanarsi e scomparire in fondo al passaggio. I giorni trascorrevano tra preparati, medicinali e tanta noia. La notizia positiva era che l'eruzione cutanea stava scomparendo completamente dal suo corpo. La febbre stava scomparendo e anche la tosse iniziava a lasciarlo in pace, con intervalli sempre più lunghi. Il decorso completo del morbillo si esauriva in circa dieci giorni di permanenza. Era guarito e lo faceva grazie all'assistenza insistente e implacabile di quella piccolissima donna d'acciaio che lui non aveva mai smesso di ringraziare, neppure in quei giorni del loro incontro. Per essere dimesso dal nosocomio militare doveva sottostare a una serie di esami di controllo, dai quali risultava che della malattia non vi era più traccia. Ad aspettarlo fuori c'era suo cugino "Signore Potente", che abitava nella città vicina. Gentilmente era venuto a prenderlo per aiutarlo con il bagaglio e accompagnarlo al luogo dove sarebbe passata una carovana giornaliera Qui lo aiutavano a salire su di un barroccio e poi via fino a ritornare alla sua vita. La vita da civile durava solo una decina di giorni, doveva ritornare a interpretare il ruolo del soldato. Così faceva. Tutto era rimasto immutato, da quando era andato via e non era cambiato niente. Allora riprendeva a svolgere il suo mestiere e i suoi servizi di guardia. Durante quelle alternanze notturne


circondato da buio e solitudine, si canticchiava il suo canto di lode personale, al coraggio, alla pazienza e alla follia umana.

Coll'arma in braccio, si ritrovava solo, immerso nel silenzio per tutta la notte a combattere contro la noia e il freddo. L'alba era solamente un miraggio. Pensava che un anno, trascorso prigioniero del suo stendardo, era lungo, passato solamente a girare in tondo, a difendersi dal niente. Il nemico non esisteva!

Un'altra occupazione che si ritrova a compiere, ma solo qualche volta, era il servizio al refettorio. Per lui era un servizio noioso, stressante, preparare i ranci dal mattino alla sera. Ogni volta pulire quel locale, tutti i pavimenti. Era un mestiere che non gli andava a genio. Preferiva mille volte il servizio di guardia. Comunque anche quei giorni passavano indenni, lasciandolo sano e salvo, anzi, se pur nella loro negatività, lo arricchivano di una conoscenza molto piacevole alla vista. Al refettorio arrivava all'alba, naturalmente prima degli altri, per preparare il mangiare. A quelle prime luci del giorno la natura si colorava di un'infinità di tinte e sfumature, in un'atmosfera poetica. Non esisteva una sensazione di benessere spirituale migliore di quella. Prima di allora non l'aveva mai notato. Quello era l'unico luogo, all'interno della roccaforte, da dove si poteva osservare. Con sorpresa la sua vista puntava in quella direzione, rimanendo meravigliato, paralizzato da tanta bellezza. Se ne stava là, imponente, con le tinte rosa dell'alba, che coloravano i suoi massicci montuosi, splendendo di una luce intensa che sembrava un enorme diamante. L'incontro con quella montagna, di dimensioni gigantesche e con i suoi colori incantevoli, che emanavano una grande sensazione di pace, non se lo scorderà mai, portandola per sempre nel suo cuore. Dopo quella piacevole scoperta i giorni si susseguivano, tutti uguali, uno dopo l'altro, senza troppe emozioni, a parte l'aver vinto, un giorno, il primo premio ottenendo la miglior posizione alla gara di


tiro. Aveva tirato in varie posizioni, in piedi, in ginocchio e infine da sdraiato, non fallendo mai. Colpiva la sagoma sempre negli occhi. Era stata una piccola ma grande soddisfazione personale. Forse per i risultati raggiunti, accompagnati dalla buona condotta, inducevano un suo superiore a chiedergli se "Seguace di Cristo" voleva restare a svolgere il servizio militare per un anno ancora, per poi rimanere tutta la vita a svolgere il mestiere di soldato. Si potevano aprire per lui le porte di una grande carriera militare. La grande carriera militare che aveva da sempre sognato! È vero che si era ambientato molto bene. Svolgeva sempre i suoi servizi senza problemi, senza mai essere ripreso o rimproverato. I suoi pensieri però erano cambiati, ora voleva ritornare a casa per svolgere il mestiere con il quale era stato educato. Lo sapeva bene, ciò che gli era stato proposto sarebbe stato da cogliere al volo, senza pensarci un attimo. Non a tutti era chiesto, solo a pochissimi. Avrebbe dovuto cogliere il gesto con onore e ringraziamento, perché mettevano nelle sue mani la possibilità di un mestiere futuro, sicuro e ben retribuito. Si prendeva qualche giorno per riflettere, ma alla fine rispose negativamente, rinunciando per sempre a quel dono, consapevole che non poteva più ritornare indietro. La decisione era presa secondo quella che sarebbe stata la sua destinazione, per un breve periodo, se avesse accettato. Sarebbe stato inviato, infatti, immediatamente e per tre mesi, a svolgere una battaglia in territorio straniero. Una guerra di distruzione, morte e disperazione. Allora pensava che il posto più sicuro, per lui, era uno e uno solamente… La sua casa. Finalmente terminavano i dieci mesi e mezzo del periodo di richiamo alle armi. Era il giorno 28 di un mese autunnale, proprio il dì in cui, tre anni più tardi, sarebbe nata la sua prima figlia. Il 28 era anche il giorno della sua nascita! Solo una serie di coincidenze o forse si nascondeva qualcosa di più, di misterioso? Certo è che il


28 era un numero che lo stava accompagnando nel percorso della vita, fin dalla sua nascita. Incuriosito da questa presenza continua del numero, svolgeva, con il tempo, una breve ricerca scoprendo il suo significato. Era il numero dei piaceri carnali, delle ricchezze terrene, del lusso sfrenato e dei piaceri illeciti, dei tradimenti anche coniugali. A questo numero erano collegati i sogni e le attività erotiche, gli incontri sessuali, il desiderare la moglie di un amico o il marito di un'amica. Il sognare o l'avere rapporti sessuali contro natura, lo sfruttare la propria bellezza fisica e i propri attributi sessuali a scopo di lucro. L'avere rapporti con persone che si prostituiscono, l'avere un'amante, il desiderare eroticamente qualcuno, essere attratti dai gioielli e dalle monete. Mi confessava, allora, che la sua personalità ben poco si riconosceva in queste descrizioni. Allora gli veniva da pensare che la ricorrenza del numero fosse solamente un fatto casuale, senza nessun alone di mistero. Ritorniamo, per un attimo, alla sera prima dell'ultima alba, dove l'attesa del giorno dopo era ancora più emozionante di quel momento stesso. La sera volava tra i saluti, le scritte dei nomi degli amici più sinceri, fatte in uno stendardo tricolore che teneva ancora allora per ricordo. Loro, dello stesso contingente festeggiavano fino a tardi, un po' in una zona, un po' in un'altra. Poi il mattino seguente, si vestivano tutti con la classica uniforme militare, quella per i grandi festeggiamenti. Tutti fuori per l'ultimo alza stendardo. Quel mattino il rito era ancora più bello, più seducente e coinvolgente nei loro confronti. Poi un grido collettivo… "DODICESIMO CONTINGENTE SALUTA E SE NE VA". Salivano tutti sul carro, che si metteva in marcia per accompagnarli al luogo dove un anno prima erano andati a prenderli per portarli dentro. Ora la situazione era completamente ribaltata. Ora erano scortati fuori. Arrivati al corpo di guardia il cancello d'ingresso si apriva, da destra verso sinistra. Al di là c'era


la libertà. Il barroccio sorpassava la linea di confine e s'immetteva nel percorso principale. Loro si giravano tutti indietro a guardare il cancello che si stava richiudendo, consapevoli che non lo avrebbero più varcato per tutto il resto della loro vita. In quei momenti provava emozioni forti, difficili da descrivere. Tuttavia giungevano al luogo dove si mettevano tutti a bordo tracciato ad attendere l'arrivo dei rispettivi convogli. C'era chi rimaneva al nord. Chi come lui andava al centro e chi, come il suo compagno di dormitorio, andava al sud. Le carovane iniziavano ad arrivare e ad uno a uno scomparivano tutti. Si ricordava benissimo quando toccava al suo compagno. Si stringevano in un affettuoso abbraccio. Avevano vissuto per quasi un anno nello stesso ambiente e, infatti, quando il convoglio si allontanava, all'improvviso si alzava in piedi e, voltandosi indietro, si metteva a gridare… "RICORDATI DEL DORMITORIO… DEL NOSTRO DORMITORIO, ABBIAMO VISSUTO UN ANNO INSIEME, NON TE LO SCORDARE MAI". Sono cose che non aveva mai scordato. Gli anni passavano, ma le varie situazioni, le vere amicizie, i veri rapporti umani, li portava sempre dentro di sé. Neppure a dirlo, era rimasto solo in quel posto. Gli assaliva allora un pesante stato di abbandono. Finalmente eccolo! Saliva su, lo trasportava fino alla prima città vicina, dove cambiava carro, che lo conduceva fino alla sua terra d'origine. Era l'ultimo viaggio di ritorno… Quello più lungo! Già in certe situazioni sembra che lo stesso tragitto, nel viaggio di ritorno, sia molto più lungo. Il tempo non gli passava mai. Si alzava in piedi, poi si rimetteva seduto a osservare il paesaggio, quello stesso panorama che molte altre volte gli aveva tenuto compagnia. In quel momento, gli si era come rivoltato contro. Era diventato un nemico, perché a ogni luogo incontrato, faceva il suo calcolo del tempo. Si ripeteva in continuazione: "se ora sono qui, per arrivare, ho ancora da passare


un certo tempo". Quest'operazione la ripeteva ogni volta che il panorama cambiava, ogni momento che lasciava una terra e entrava in un'altra. Più che si avvicinava a destinazione e più che il tempo non passava, anzi, nell'ultima distanza sembrava addirittura che il convoglio, invece di andare in avanti, aveva iniziato a muoversi indietro. Era sfinito, ma pian piano entravano in una campagna a lui conosciuta. Era un buon segnale e all'improvviso il cartello, che indicava l'entrata della sua città. Era vinto dalla fatica e snervato per aver aspettato quel momento fin dalla partenza, ma allo stesso tempo era felice. Da allora erano passati ben diciotto anni e con un pizzico di curiosità aveva avvertito il desiderio di compiere una ricerca a proposito di quelle due fortezze che gli avevano preso quasi un anno della sua vita. Così, con sorpresa, aveva accertato che nell'autunno dell'anno 1499 si era licenziato l'ultimo gruppo di militari. Era il 12° contingente dell'anno 1498. Poi le insegne erano cedute a un altro Reggimento di fanteria, ma per breve tempo, perché questo era stato risciolto nell'anno 1504. In conclusione la roccaforte era chiusa e demilitarizzata. Al tempo rimanevano solamente i manufatti abbandonati e vari ruderi, unici testimoni di un glorioso passato. Altro destino sembrava interessare l'altra rocca, in altre parole, il cimitero dei carri da battaglia. Il mio protagonista aveva scoperto una storia, che già conosceva molto bene, perché l'aveva vissuta per quasi un anno, ma non avrebbe mai pensato che avesse un seguito incredibile. Da vari trattati di disarmo, risultava che il suo Regno aveva in carica un numero impressionante di carri, una cifra paurosa. Com'era stato possibile arrivare ad accumularne così tanti? La risposta era da ricercare nel comportamento del mestiere militare, nella mancanza di fondi da dedicare alle demolizioni. Così, anno dopo anno, quei carri venivano accantonati nel bosco, fino a raggiungere la saturazione completa di tutti i campi, con rischi per


le coltivazioni, facendo, inevitabilmente, scattare l'allarme rosso. Così era stato deciso di affrontare il problema, distruggere completamente i carri in rovina e vendere, ad altri Regni, quelli ancora capaci di combattere. Con il passare del tempo, la scorta si era ridotta, ma restavano sempre però un'enormità. Tra i rovi ne rimanevano, infatti, ancora molti, testimoni della scellerataggine dell'uomo durante le ultime guerriglie. Queste informazioni gli provocavano un profondo stato di angoscia e sgomento. Pensava alla spesa folle affrontata per un tale armamentario mai utilizzato. Chiaramente soldi prelevati al popolo plebeo tramite tasse, poi parcheggiati nei campi senza preoccuparsi più delle loro condizioni per molto tempo e poi destinati a essere smantellati, perché inefficienti. Oppure venderli a altri Regni a un valore molto più basso di quello di costruzione.

Una vera follia umana!



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Sangue brado


Anni ottanta. "Cris" è un bambino che frequenta le cinque classi elementari della scuola del villaggio di "Argilla". Un caseggiato costruito sopra le rovine, di quelle che la storia del luogo vuol tramandare essere delle fortificazioni realizzate circa duemila anni prima. Gli anni di "Cris" si contano sulle dita delle mani, ma lo svilupparsi dentro di lui dell'età della ragione lo porta fin da subito a sentirsi pesante. Camminare su quella terra seminata da regole lo fa vivere come un vinto e non come un vincitore. L'interminabile tempo seduto sulla dura seggiola, con i gomiti appoggiati sul banco, lo porta a sentirsi come rinchiuso in un recinto. Quella vecchia maestra poi, con i suoi continui comandi, come: prendi il quaderno e scrivi; dimmi la tabellina del tre; apri il libro alla pagina dieci e inizia a leggere… Mi raccomando facendo attenzione alla punteggiatura! Così via con altre imposizioni, che continuano per tutta la durata del mattino. Per non parlare di quando giunge il giorno delle interrogazioni! I radiatori emanano implacabili un gran caldo. Il mostro dai capelli tutti ben laccati e le labbra ricoperte di un rosso acceso, come fosse un drago sputa fuoco, apre il registro e sceglie, tra l'elenco di noi dannati, un nome a caso. Il corpo di "Cris" diviene freddo, trema come se fosse seduto fuori in giardino, con la neve fino alle ginocchia. Quando giunge il suo turno, in piedi davanti alla lavagna e in mano il polveroso gesso, si sente come un burattino appeso ai fili del teatro. Alcune volte però mentre risponde alle domande, lui da risposte prive di alcun senso. Questo succedeva perché "Cris" ha il potere straordinario di divenire leggero.

In quel preciso istante, infatti, si stacca da terra ed entra nel suo Mondo bello. Un luogo calmo, dove i suoi compagni di scuola non sono più costretti a vivere dentro recinti fatti di regole schematiche. "Cris" si sente destinato a muoversi libero come le nubi. Durante i periodici incontri tra i docenti e i genitori, nei quali questi sono informati sull'andamento scolastico dei propri figli, accade che la maestra racconta sempre, al suo babbo e alla sua mamma, del suo comportamento distaccato dalla realtà. Vostro figlio è ben educato, impara, è bravo, ma… Capita a volte che ha proprio la testa tra le nuvole! L'avere la testa tra le nuvole per "Cris" è il sinonimo di una parola molto cara: libertà.

Mentre si trova a scuola, pensa continuamente a quei due contadini che vivono vicino a casa sua. Questi trascorrono le loro giornate liberi. Liberi di muoversi in una campagna ancora incontaminata da veleni e brutte notizie. Liberi di vivere di tutto quello che il loro lavoro da contadino gli frutta, senza il dover rispettare orari e imposizioni impartite da un essere pesante, come se fossero i veri comandamenti della vita. I veri comandamenti, che loro riconoscono, sono solamente quelli regalategli da un essere leggero, apparentemente distaccato dal mondo sottostante. Rispettosi solamente di queste prescrizioni di vita, loro vivono immersi nella pace di una natura eterna. "Cris" è ancora piccolo e quindi si deve solo accontentare di osservare da casa tutto ciò che succede all'interno dell'aia di quel podere giallo. Vede di tanto in tanto i due fratelli contadini, che indaffarati si apprestano a camminare in lungo e in largo. Vede il loro gregge pascolare sulle verdi collinette circostanti. Il giallo grano che a ogni passaggio della grande falce meccanica scompare, lasciando a terra un mare di onde dorate. Le balle di paglia, che appoggiate su se stesse, gli ricordano tanto le capanne degli indiani. Così via, con tante scene quotidiane di vita agricola. Questo sfondo a "Cris" rappresenta proprio lo scenario di una serie televisiva a lui tanto cara, della quale, tutti i giorni al ritorno dalla scuola lui si nutrisce, preferendolo tra le varie pietanze che la sua mamma gli prepara. La voglia di vedere quei due contadini all'opera, infatti, è più forte della fame. Si toglie di fretta il nero grembiule e via di corsa giù per le scale fino a giungere in giardino, in quel preciso angolo dove il vuoto che c'è tra i due altissimi cipressi lascia intravedere il podere giallo. "Cris" si accomoda seduto su un confortevole e piccolo sdraio da mare. Con il dito indice fa finta di premere il tasto dell'immaginario telecomando e magicamente quello schermo super gigante inizia a proiettare le scene della sua serie televisiva preferita, dal titolo: "Sangue brado".

Durante questi anni ottanta una serie televisiva che "Cris" segue molto nelle sue giornate da bambino, è "La casa nella prateria". Ora non sto a scrivervi cosa racconta il tema principale del telefilm e quali sono i suoi personaggi, perché mi sembra veramente ridicolo e superfluo, per non dire inopportuno, considerato il successo, che tale opera riscuote in questo decennio da tutti i miei coetanei e non solo. Ciò che però non si mostra superfluo e inopportuno raccontare in questo mio scritto è il ripetere che la serie televisiva tanto amata dal nostro "Cris" è senza dubbio: "Sangue brado". L'occasione di recitare come attore non protagonista in quel telefilm gli viene data nell'anno durante il quale lui compie i suoi dieci anni. Al raggiungimento di tal età, infatti, quasi si annullavano i pericoli derivanti dal camminare in un luogo aspro, come quello contadino. I vari macchinari agricoli sempre pronti a calpestarti, i ferri arrugginiti nascosti nell'erba intenti a farti inciampare, oppure la minaccia degli offensivi insetti che vivono in legame con il gregge. In questo tempo, infatti, la compagnia di sceneggiatura sta cercando un bambino da inserire nella propria comitiva, come nuovo attore non protagonista, per poter così girare gli ultimi quattro episodi del telefilm "Sangue brado". Le riprese del telefilm hanno avuto inizio nel mese di novembre dell'anno precedente, con il primo episodio dedicato alla preparazione del terreno, destinata alla successiva semina di una nuova vita. Per completare l'intera opera mancano all'appello i mesi di luglio, agosto, settembre e ottobre con le loro caratteristiche lavorazioni agricole, da immortalare attraverso una cinepresa. Si raggiungerebbero così le dodici puntate, che poi nel corso degli anni sarebbero trasmesse in diretta televisiva e dedicate a tutti i miei coetanei. "Cris" accetta la proposta con molto entusiasmo, senza chiedere in cambio denaro. Scelto tra mille altri bambini accetta per il solo puro piacere di aver avuto la possibilità di recitare all'interno di quel set cinematografico, visto e amato sempre da lontano.

E' invitato a recarsi all'interno dell'aia del podere giallo, dove come primo giorno di lavoro stringe solamente conoscenza con il regista e gli altri attori. Scopre subito che chi organizza le scene con i conseguenti lavori da svolgere e l'attore principale incarnano la stessa persona. Nell'elenco dei personaggi del telefilm si chiama "Montanaro". Questo nome gli è stato affidato perché interpreta il ruolo del pastore, con l'immancabile cappello in testa, il filo d'erba in bocca e il bastone da montagna legato al polso. Questo trascorre quasi tutte le giornate seduto sulla verde collina a imporre la sua presenza sulle pecore, che pascolano nella valle sottostante.

L'altro attore secondario che interpreta il fratello contadino di quest'ultimo, si chiama "Forestiero". Questo nome perché il ruolo a lui affidato lo porta a essere un individuo riservato, timido, che non sente dentro se stesso, la necessità di un contatto sociale, dell'affetto di amici e familiari. In questo mondo tutto nuovo, per "Cris" tanto reale, ma allo stesso tempo di recitazione, anche a lui deve essere affidato un nuovo nome da utilizzare durante i dialoghi tra i vari personaggi. Il bambino che così andrà a interpretare la parte del personaggio sereno, allegro, dolce, energico, pieno di vita, amante degli animali, ubbidiente al prossimo, dedito al lavoro, rispettoso delle leggi di Cristo e soprattutto libero, si dovrà chiamare "Brado". Così deciso, i personaggi sono stati tutti individuati e istruiti nei vari ruoli da interpretare, compreso la distribuzione a ognuno di loro dei copioni, comprensivi dei dialoghi, da imparare a memoria e poi ripetere durante le riprese. Anche il luogo della sceneggiatura è pronto per fare da sfondo. Sono stati, infatti, ristrutturati e tinteggiati nuovamente tutte le vecchie costruzioni, come il fienile, il granaio, la cantina e l'ovile.

Anno millenovecentoottantacinque. Mese di luglio. I dischi dove si avvolgono i nastri della cinepresa iniziano a girare. Gli attori sono tutti alle loro postazioni di lavoro. Dal fondo della stradina carrareccia, quella che costeggia il vigneto e che porta al grande uliveto, si sta muovendo il carro di legno trainato dal trattore. Alla guida si trova "Forestiero", mentre alla fine della carovana c'è seduto "Brado". Come quando gioca sull'altalena, allo stesso modo, sventola le sue corte gambe nel vuoto… Hanno da crescere ancora, per riuscire a toccare gli scarponi per terra! Ad aspettarli al centro dell'aia c'è "Montanaro", pronto a salire su, per poi dirigere tutte le varie scene.

Il primo discorso della nuova serie televisiva viene pronunciato proprio dal piccolo attore appena arrivato. Una domanda che in tutte le puntate che si susseguiranno, "Brado" ripeterà costantemente al pastore della comitiva, all'inizio di ogni giornata: oggi cosa facciamo?

Iniziano così, le registrazioni dei nuovi episodi di "Sangue brado".

9^ Episodio

Una pioggia d'oro

Oggi cosa facciamo? Oggi dobbiamo far piovere oro, risponde "Montanaro". Disorientato da tale risposta "Brado"si chiede come è possibile far piovere oro. Tale ricchezza non può piovere dal cielo, perché è una fortuna rara, che in pochi hanno il privilegio di possedere. Queste sono le parole che si ricorda uscite dalla bocca dei suoi genitori, quando un giorno gli veniva spiegata la differenza che in questo mondo in bianco e nero, privo di sfumature più vivaci, c'è tra l'essere povero e l'essere ricco. Ascoltando questo pensiero, pronunciato ad alta voce dal bambino, il vecchio contadino amareggiato da tali parole gli risponde: oggi te la spiego io, qual è la differenza tra l'essere povero e l'essere ricco. "Brado" incuriosito, rimane ad ascoltare. Ho visto amici e familiari possedere molti gioielli d'oro comperati con gli ultimi risparmi di una vita, ma che poi si sono ritrovati senza la possibilità economica di poter acquistare neppure un pezzo di pane per potersi sfamare. Avevano la cassaforte piena di tanti oggetti d'oro, ma per sua disgrazia la dispensa era vuota. Sul suo fondo rimanevano solamente poche briciole di pane… Sono quasi morti di fame! Mi hanno sempre guardato dalla loro superba altezza, mentre mi muovevano davanti ai mie occhi i loro bracci ricoperti del metallo privo di sapore. Forse per farmi ingelosire! Io, invece, li guardavo dalla mia modesta bassezza, mentre con la mano gli mostravo la mia collina dalla quale un giorno sarebbero piovuti chicchi, gialli come il loro oro, ma che all'interno custodiscono un ingrediente fondamentale: la vita. Ho dovuto pazientare molto tempo prima di vedere avverarsi la mia legge sulla vita. Una sera, infatti, si presentarono a casa due miei amici. Marito e moglie, completamente spolti dai loro preziosi averi. Con la scusa di venirmi a trovare si erano presentati proprio all'ora di cena. Nel mio essere un contadino… Scarpe grezze, ma cervello fino, capii subito molto bene il perché si erano presentati alla porta di casa, proprio sul momento che stavo per sedermi a tavola, per cibarmi dei frutti campestri. Così, mentre parlavamo del più e del meno, io gli muovevo davanti ai loro affamati occhi un pezzo di pane, ottenuto grazie ai miei grani d'oro. Nel compiere tale gesto ripetevo continuamente dentro di me, senza ombra di pentimento… Tanto a loro cosa importa di avere la pancia vuota! L'importante per loro è di avere i polsi pieni! Finito il lungo discorso, rivolgendosi a "Brado" gli chiede: hai capito la lezione di oggi sulla materia indispensabile, che è il giusto e unico atteggiamento per vivere un'esistenza ricca di sola dignità? Senza rispondere nè sì e nè no "Brado" s'incammina verso il capanno degli attrezzi. La sua intenzione è di prendere l'ombrello per ripararsi dalla pioggia di chicchi che sta per abbattersi su di lui. Che cosa stai facendo? Gli chiede "Montanaro", divertito da tale ingenuo atteggiamento. Far piovere oro, per me, significa raccogliere i frutti del giallo raccolto, che poi come una vera pioggia cadranno nel rimorchio. Allora devo prendere la falce, borbotta sicuro di se "Brado". "Montanaro" lo ferma, afferrandolo per una mano. Stai qui con me e guarda da quella grande capanna laggiù, cosa sta per uscire. All'improvviso il possente rumore del motore annuncia il movimento del gigantesco macchinario. Finalmente "Brado" la riusciva a vedere per la prima volta. Come incredulo durante l'incontro con una creatura mitologica, rimane pietrificato di fronte a quel mostro di ferro. È alta come la casa, è tutta rossa e davanti ha un'enorme bocca, che proprio come un onnivoro dinosauro è pronta a ingoiare tutto quello che trova davanti. "Brado" è impaurito da tanta maestosità. Per tranquillizzarlo, allora, "Montanaro" gli spiega che è solo una macchina e che alla postazione di comando c'è il compagno di riprese "Forestiero". Lo invita poi a salire per così iniziare a registrare le prime scene di quella lavorazione, che sarebbe divenuta la mietitura del grano. La scala è ripida e il primo gradino è alto come il piccolo attore. Una vera impresa salire in testa a questo gigante! Lo aiuta così il vecchio regista. Il nastro della cinepresa inizia a girare. Con le sue enormi ruote anteriori la trebbiatrice cammina su e giù per la collina, mentre la sua larghissima bocca rotante inghiottisce tutta la coltivazione d'oro che si trova davanti. A ogni passaggio sembra come se lasciasse dietro di se un'enorme strada vuota. Con tutto quel mangiare, la pancia del macchinario si piena velocemente. È costretto a svuotarsi, se non vuole perdere il prezioso bottino. Così, dal suo corpo si allunga un braccio che va a finire sopra il rimorchio. Ecco, la tanto attesa pioggia d'oro raccontatami da "Montanaro"! Esclama elettrizzato il piccolo attore. Voglio farmi una doccia, urla a "Forestiero", mentre i chicchi scendevano giù tanto velocemente quanto le gocce di acqua durante un violento temporale. Presto, aiutami a scendere nel rimorchio, prima che la rimpinzata pancia si svuoti completamente. Non mi sento sporco, desidero solamente farmi un bagno sotto questa pioggia portatrice di vita. Così deciso, "Brado" abbandona la grande macchina raccoglitrice e si arrampica su per quel monte che si andava formando. Dopo una polverosa scalata, giunge in cima, proprio nel punto in cui cade lo scroscio del frumento. Chiudendo gli occhi e alzando lo sguardo al cielo burrascoso, con la bocca continuamente riempita dai granelli, parlotta qualcosa. Da quello che il resto della compagnia riesce a capire, il suo discorso recita in parte così: sta dentro il chicco di grano la vera ricchezza della vita e non nel granello d'oro. Poi ancora, il grano è buono da mangiare e ci riempie la pancia. L'oro è bello da vedere, ma ci può riempire solo le braccia!

Cessata la pioggia, i protagonisti di questo episodio, per fare ritorno al podere giallo, si ritrovano a dover navigare su un mare di onde gialle mosse dal caldo vento di scirocco.


Sangue Brado è un racconto dove la vera protagonista è l'amicizia spensierata tra il bambino ed un vecchio contadino, che vive immerso nella natura. Questo profondo sentimento, al bambino appare un'occasione irripetibile.


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Racconti sulla collina




"Sulle spighe non cresceranno

i chicchi di grano,

ma racconti

di un tempo lontano.

Piccoli pensieri,

attraverso i quali

io oggi…Rivivo ieri".

Io…"Trascinio"

I racconti che trovate impressi sulle pagine che seguono provengono dalla mia fantasia creativa. Prima di iniziare a esporvi le mie narrazioni voglio farvi una breve ma doverosa descrizione di me. Ciao a tutti voi. Il mio nome è "Trascinio". Nato durante la stagione calda per i miei genitori sono l'unico figlio. Mi hanno chiamato così perché fin da quando ero nella culla, riconoscevano in me un qualcosa di diverso, che gli altri neonati non avevano. Intendo la forza di un leone, qualità che crescendo mi ha aiutato a diventare un vero combattente, un conquistatore. Un trascinatore appunto. Proprio come un leone mi sento orgoglioso e coraggioso, attratto dall'avventura. Sono anche chiuso e introverso, ma all'occorrenza il ruggito diventa la mia voce. Mi ritengo solamente un solitario, non sono un animale…Io mi sento normale! Sono solamente un bambino riservato che custodisce la sua vita in privato. Non amo stare nel mezzo della folla, preferisco il mare e i territori solitari dove i miei momenti da solo li definisco tempi rari. Sono attratto dalla compagnia poco rumorosa di una luna silenziosa. Per gli altri sono una pecora nera, ma io per questo non mi sento un fuorilegge. Un fuori gregge semmai, che in mezzo alla gente pettegola, che impartire mi vuole la sua lezione, io mi sento un animale in via d'estinzione.

In un tempo passato mi è capitato di essere attraversato da un'insolita sensazione. Mi è successo mentre stavo camminando, oppure mentre mi apprestavo a compiere una qualsiasi altra azione. All'improvviso mi sono sentito strano. Il corpo si muoveva a terra, mentre la mente si trovava su di un pianeta lontano. Succedeva al mattino oppure alla sera, era come se la realtà non fosse vera. Allora ho iniziato a convivere con tali sensazioni con silenzio e indifferenza, perché avevo capito che era solamente il volo della mia intelligenza. Un volo che mi ha portato a esternarvi il mio pensiero interiore, a coltivare racconti sulla collina dove vivo, che poi saranno da voi raccolti. Già avete capito bene, coltivare racconti. Io non possiedo terra da arare, bensì una mente da far fruttare! Non ho messo il seme del grano in terra, che poi è divenuto il raccolto, ma ho coltivato idee nella mia mente, che poi sulla carta sono cresciute e divenute il racconto. Questa mia immaginazione creativa mi è nata dentro un giorno di autunno, quando incuriosito dal volo di molti gabbiani mi sono messo a osservare un contadino che arava la sua terra. Su e giù andava il trattore e a ogni passaggio il campo diveniva sempre più marrone. Il macchinario agricolo perdeva il seme dietro di sé. Chicco che avrebbe creato la piantina di grano, poi in estate divenuta matura sarebbe stato mietuto. Così anch'io, come faceva quel contadino, mi sono messo al lavoro. Non ho tracciato sulla terra i solchi dritti, ma ho impresso sulla carta i righi scritti. Al termine di ogni giorno non mi sono ritrovato un campo che dall'aratro era stato arato, ma un foglio che dalla mia penna era stato inchiostrato.

Buone letture…Scusate, buoni raccolti dei racconti a tutti!

Il cowboy di Sant. Antonio

Oltrepassata la sede ferroviaria dismessa, (un vecchio tracciato utilizzato in un'epoca passata da un treno merci, per il trasporto di materiale simile al carbone estratto dalle miniere vicine) e seguendo ancora il corso del fiume, entriamo nella grande valle. Qui possiamo scorgere i campi resi fertilissimi dalle periodiche alluvioni, le greggi delle pecore e le mandrie delle mucche al pascolo. Nascosto da alti pini, si lascia intravedere il villaggio rurale, che sorge sulla sponda sinistra del fiume, con il suo lungo viale d'ingresso alberato e al centro la grande piazza. Qui"Cri Cri" si reca a giocare a nascondino con i suoi amici. Un caseggiato storico risalente ai primi anni del XVIII secolo con la sua fattoria in rilievo, che in origine era utilizzata per l'accumulo del grano. Qua e là è possibile avvistare alcuni vecchi tralicci arrugginiti, alla loro sommità delle grandi ruote formate da pale. Ricordano delle margherite giganti. In questo grande west di "Cri Cri", così com'era già avvenuto per il Texas, le pompe a vento aiutano i contadini nell'irrigazione delle loro coltivazioni e per l'abbeveraggio di pecore e mucche. La ruota cattura il vento per tirare in superficie l'acqua dolce dei pozzi. Idea ingegnosa! "Cri Cri" osserva quella campagna e con orgoglio ammira quei tralicci protagonisti di tanti film western, emblemi del paesaggio texano, ma anche protagonisti nel panorama maremmano. Sarà forse un caso che da queste parti il centro abitato si chiami Sant'Antonio? Tuttavia non siamo in Texas!

In questa terra vicina alla costa occidentale vive un uomo, che "Cri Cri" conosce molto bene. Questo individuo è forte, coraggioso e fa innamorare di sé "Cri Cri" per come riesce ad affrontare la vita di tutti i giorni. Da quando è andato in pensione ha iniziato a coltivare la sua vera passione, vale a dire la pesca."Cri Cri" è molto piccolo e vedere suo nonno "Raddo" prepararsi per andare a pesca è come vedere un vero cowboy che prepara il suo cavallo per andare a caccia di fuorilegge. In testa il suo cappello di paglia, che "Cri Cri" custodisce molto gelosamente. La canna da pesca legata al cestello e via in sella al suo motorino giù per la discesa. Una pedalata e il motore inizia a scoppiettare…Non lo rivedrà più fino a sera. Fino a quando non sentirà il rumore classico del suo motorino, che faticosamente lo riporterà su per la salita. "Cri Cri" si precipita subito fuori, è curioso di vedere quanti pesci è riuscito a prendere, ma anche perché desidera fare un giro sul motorino. Per primo riesce a scorgere il cappello di paglia, poi i grandi occhiali da sole e infine il cowboy in sella al suo ronzino a due ruote. Purtroppo la vecchiaia con il passare del tempo lo costringerà a rinunciare a quelle sue battute di pesca solitarie. Per suo nonno quelle giornate di pesca rappresentano il massimo della spensieratezza e dello stare bene.

La pesca

"Cri Cri" coltiva la stessa passione di suo nonno, vale a dire la pesca. Da alcuni anni suo nonno ha smesso di lavorare e così può quasi ogni giorno programmare con grande passione le sue solitarie battute di pesca, da affrontare al vicino fiume. "Cri Cri" è ancora piccolo. Frequenta la scuola elementare del vicino villaggio e tutte le mattine deve svegliarsi presto per riuscire a prendere il giallo pullmino, che lo trasporta al luogo d'insegnamento. La settimana è stancante, ma a "Cri Cri" non interessa. Aspetta ugualmente con impazienza il sabato, giorno della settimana in cui la scuola è chiusa. Un numero sul calendario che lui cerchia in rosso, perché per lui è un giorno di festa, di celebrazione. Ricorre la grande giornata da trascorrere interamente e solamente in compagnia di suo nonno, con il solo scopo di catturare il pesce più grande. Oggi questo potrebbe giungere da lontano per cibarsi delle loro esche.

La sveglia suona prestissimo e fuori è ancora buio. Devono cercare di giungere al fiume prima di altri pescatori, se vogliono trovare ancora liberi i luoghi migliori dove pescare. Direzione fiume partono. Sono equipaggiati di tutta l'attrezzatura necessaria: canne da pesca, lenze, ami e naturalmente l'immancabile pranzo al sacco. Giunti sul luogo devono attraversare il campo per raggiungere la sponda sinistra del fiume. Per le gambe dell'anziano nonno questa è una vera impresa. Le sbarazzine gambe di "Cri Cri" si muovono velocemente, mentre quelle di suo nonno molto lentamente e a ogni passo è sempre stanco. "Cri Cri" si deve fermare continuamente, voltarsi indietro e ripetere a suo nonno che con quella loro velocità i pesci non li avrebbero aspettati. Finalmente giungono sulla sponda, quasi a entrare con i piedi nell'acqua, a quell'ora ancora molto fresca.

Con il posizionamento della giusta attrezzatura la grande cattura ha inizio. All'improvviso lo sguardo di "Cri Cri" si rivolge verso l'alto, verso le chiome degli alberi. Sente un cinguettio continuo. Scorge un piccolo nido costruito dagli uccellini su un ramo. Un soffio di vento fa volare dal suo interno, poi cadere in acqua alcune piume. Come piccole barchette spinte dalla forza del fiume iniziano a scivolare via, fino ad allontanarsi. "Cri Cri" sa bene che il corso d'acqua termina il suo percorso al mare. Gli piace pensare che anche quelle bianche piume giungeranno presto in quella sterminata distesa d'acqua. Il galleggiante colorato inizia ad andare su e giù, tanto che l'acqua intorno trema come le mani emozionate di suo nonno. Questo dà un colpo di frusta alla sua canna per catturare la preda, ma il suo equilibrio insicuro lo fa cadere indietro. Con un colpo di coda il pesce si slama….libero di vivere se ne va!

Da quell'ultima volta che "Cri Cri" ha pescato insieme a suo nonno non è più andato a catturare i pesci al fiume. Gli ha promesso che appena sarà diventato grande ritornerà da solo su quella sponda. Giunto sul posto si immaginerà che accanto a lui ci sia ancora almeno per un giorno il suo compagno di pesca, che ora si arrabbia perché il pesce gli è fuggito, che ora cade a terra, perché perde l'equilibrio…Che ora si trova lassù e gli vuole ancora bene.

La caccia

Questa notte è caduta molta neve. "Cri Cri" si è appena svegliato e affacciandosi alla finestra della sua cameretta, con grande sorpresa appare ai suoi occhi un mare bianco, che ha ricoperto tutta la sua campagna. In questo periodo dell'anno la caccia è aperta e suo nonno "Raddo" è un cacciatore. Non uno di quelli appassionato di caccia grossa, compiuta in squadra con altri cacciatori attratti da grandi animali da tana. A lui piace cacciare in solitario i volatili, eseguire quello che nell'ambiente di caccia si chiama : "tiro al volo". Questa mattina suo nonno chiede a "Cri Cri" se vuole andare con lui alla macchia per fargli compagnia mentre pratica la sua caccia, sarebbero ritornati a casa al calar del sole. "Cri Cri" credendo di andare a fare una scampagnata immerso nella natura e pranzare al sacco circondato dagli animali accetta la proposta di suo nonno senza esitazione. Così deciso s'incamminano.

Per giungere a destinazione devono prima attraversare un terreno che separa la loro casa dal luogo di caccia. Lo strato di neve formatosi per terra è molto alto, tanto che per le piccole ed esili gambe di "Cri Cri" è una vera impresa riuscire ad avanzare passo dopo passo. Finalmente dopo tanto faticare giungono alla macchia. Suo nonno inizia subito a segare alcuni rami da utilizzare come sostegno principale per la costruzione di quella che sarebbe stata la loro capanna. All'interno di questa sarebbero poi rimasti, per potersi confondere con l'ambiente durante la caccia. "Cri Cri" essendo piccolo si limita solamente ad aiutarlo a raccogliere le frasche rimaste per terra, per poi cercare di disporle sopra lo scheletro di legni, conficcati nel terreno. La capanna è pronta e loro possono entrare dentro e sistemare il loro materiale occorrente. È giunta la fame però, allora suo nonno stende per terra un telo dove sopra mette il pane e il formaggio. A "Cri Cri" piace molto pranzare circondato dall'odore di terra, dalle radici delle piante, dal muschio che cresce sopra i sassi. È così sereno e felice che si addormenta in una dolce nanna.

Bang bang. Il trambusto improvviso dello sparo lo sveglia poco dopo. Nell'aria percepisce solamente l'odore della polvere da sparo. Poi sente il fruscio dei pallini che cadono sulle frasche, come la pioggia che si abbatte sulla vegetazione. Quelle però non sono gocce di acqua…è piombo! Affacciandosi fuori vede cadere sulla bianca neve le tante piume e le penne colorate del povero volatile, come se fossero una pioggia di coriandoli. Per "Cri Cri" purtroppo ciò che vede non è una festa in maschera, anche se lui e suo nonno si sono travestiti come dei veri soldati. Subito si mette a piangere. A "Cri Cri" gli uccellini piacciono quando cantano.

Finalmente è giunta la sera il sole sta per tramontare. Dimenticato l'orrore vissuto "Cri Cri" si mette in cammino a fianco a suo nonno per ritornare a casa. Durante il tragitto nota in lontananza uno stormo di cornacchie. Queste stanno tranquillamente ritornando ai loro nidi, dove poter passare la notte. Osservando quella scena e tutta la campagna che lo circonda inizia a riflettere su quanto i suoi simili devono vergognarsi per le distruzioni che apportano al creato, alla bellezza della natura stessa. Pensa allora a un regno di pace, di silenzio, dove non si cacciano più gli animali. Un regno dove sono liberi, dove la caccia è vietata. Un'oasi di protezione, dove gli animali vivono nella pace, in armonia con l'ambiente, senza più paura e morte. Giura su se stesso che da grande non sarebbe mai diventato un cacciatore, perché la vita deve mantenere il suo acceso

colore. Non si sarebbe mai trasformato in un cacciatore, invece del fucile avrebbe preso in mano la penna con l'inchiostro.

Diventare uno scrittore…Non un cacciatore!


I racconti sulla collina di Cristiano Benci, rappresentano idealmente un mondo fatto di semplicità e schiettezza che mette però al centro del suo gravitare i grandi temi: il valore dell'amicizia e della condivisione, nelle loro varie sfumature e, ancora, l'amore dell'autore, inestinguibile, per la natura.

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Per mano

Una frase scritta veloce con il lapis, sulla pagina a quadretti, ricorda i compiti da svolgere per il giorno seguente. Il tempo di chiudere il diario e la campanella suona. Come fosse lo scoccare del "via" tutti, come veloci corridori scappano lontano, infastiditi da uno snervante ronzio. Un fastidioso animaletto, infatti, molto cattivo, sta svolazzando nell'aria e trasportato dal vento, attraverso il buco della serratura, entra nelle classi e fa starnutire tutti i bambini che trova a giocare insieme. Essendo brutto e deforme, come un vero scarabocchio, si sente solo, così è invidioso di tutti quelli che vivendo un'amicizia si prendono semplicemente per mano. Anche la maestra, allo scoccare dell'assordante tintinnio, si è allontanata sempre più da quella ormai, vuota e silenziosa stanza, unica vera partenza per l'istruzione di tutti loro bambini. Dove si trova? Basta cliccare su un tasto e come per magia eccola qua, dentro il piccolo schermo. Alle sue spalle non c'è più la nera lavagna! La lezione a distanza ha inizio. La classe è la cucina. Il banco è il tavolo da pranzo. La bidella è la mamma. Oggi, però, nessun compagno può suggerire! Improvvisamente, la pentola a pressione sui fornelli, inizia a fischiare. La bambina chiude gli occhi. Ode, ancora una volta, la campanella suonare.

Dal diario di Melissa.

Primavera 2020.

L'ovile

16/03/2020

E' sera. Con il mio babbo sono andata vicino casa, a salutare il vecchio ovile. Molti anni fa era la casa delle pecore e dei loro agnellini. Oggi, è quasi tutto franato. Che peccato! Ho chiuso gli occhi e ho sentitoBee, bee!

L'ovile

16/03/2020

Sulla collina dove abito con la mia famiglia, la stradina serpeggia tra case abitate e disabitate, proprio come fa un serpente tra le pietre. La nostra abitazione si trova nel mezzo a due disabitate. Quella più vicina è di colore giallo. Come una grande pecora, senza pastore, pascola indisturbata sul verde prato, circondata dai suoi bianchi agnellini, raffigurati da una rimessa per gli attrezzi, un ricovero per cani da caccia e infine da un piccolo ovile. Questa sera chiedo alla mia figlia Mely se ha piacere di accompagnarmi, prima che facesse buio, ad augurare una buonanotte al vecchio ovile. La bambina, incuriosita, mi chiede chi fosse mai questo vecchio. Le rispondo subito che non è un uomo, ma se vuole scoprire la verità, deve seguirmi nella breve passeggiata. Usciamo da casa. Il sole sta per tramontare, ma l'aria mite, che anticipa la nuova primavera, ci rende la nostra scampagnata ancora più piacevole. Il sottile serpente d'asfalto sta strisciando in direzione casa nostra, proprio in questo preciso istante. Come il treno che rispetta la sua fermata alla stazione, si arresta davanti al giardino, per farci salire sulla sua schiena. Giusto il tempo di farci accomodare e il serpente ricomincia a strisciare in direzione sud-est. Giunti davanti alla casa gialla scendiamo. Per un attimo rimaniamo immobili sotto i grandi pini, che crescono all'entrata del grande cortile. Mely non vuole entrare. <Questa casa mi fa venire i brividi>! Esclama, afferrandomi per mano. Poi continuava, con il ripetere incessantemente: <è inquietante>! Non so se avesse mai capito che questa è una casa ormai disabitata da molto tempo. Saremmo passati da qua, credo, migliaia di volte, ma in nessuna occasione, la bambina si è avventurata all'interno di questa proprietà. Capisco bene, perché questa sera, mia figlia, rimane impietrita dalla paura, nel vedere porte e persiane di legno che cadono a pezzi. Porte di ferro, tutte pitturate di color ruggine, dalla prolungata solitudine. Oppure, muri che hanno perso il loro intonaco, lasciando intravedere i rossi mattoni, proprio come il corpo di un vecchio, la cui pelle ormai cadente, fa emergere vene viola e ossa spigolose. Per farle coraggio e convincerla a seguirmi, allora, la interrogo con una domanda. <Ricordi com'era mia nonna>? <Ossa in vista, pelle cadente e in bocca più nessun dente>. Questo risponde lei, ricordandosi la rima che insieme ripetevamo a nonna "Mima", quando questa, ancora era sempre tra noi. Poi continuo a domandarle. <Ti faceva paura>? <No>, risponde lei. <Ti voleva bene>? <Sì>, replica con la stessa sicurezza. <, allora, immaginati almeno per questa sera che la casa gialla sia nostra nonna, che non ci fa paura, ma che ci vuole bene e ci racconterà questa breve storia>. Rassicurata dalle mie parole, mia figlia inizia a tirarmi per il braccio, smaniosa di scoprire chi sia quel vecchio ovile.

Così, dopo aver costeggiato un piccolo vigneto, ci troviamo di fronte a quattro muri che ormai hanno da molto tempo perso il loro equilibrio. Come vecchi ubriachi stanno barcollando uno in qua e gli altri in là. Il tetto non esiste quasi più. In quel lontanissimo ieri, queste pareti, che si stanno pian piano sgretolando, formavano la casa delle pecore e dei loro agnellini. Oggi, purtroppo, è quasi tutto franato. <Che peccato>! Esclama mia figlia. <È proprio un vero peccato>. Rispondo dispiaciuto io. <Quando ero piccolo come te, trascorrevo gran parte delle mie giornate ad aiutare il contadino di questo posto, a occuparsi delle sue pecore. Di mattino presto c'era da compiere la mungitura, per estrarre il loro latte. Proseguivamo con il servirle la colazione, riempiendo la mangiatoia con tanto profumato fieno. Con l'inizio dell'estate, poi, mi divertivo come un matto a cercar di toglierle di dosso quel pesantissimo maglione di lana…Che fatica che facevo per tenerle ferme>! Divertita da questo racconto, Mely, allora, mi chiede di prenderla in braccio. Vicino a quei vecchi muri l'orzo selvatico è troppo alto per lei, che quasi le oltrepassa la testa. Insieme con me si vuole avvicinare a uno di quei tre vuoti quadrati, che in quel tempo lontano erano le finestre dalle quali si affacciavano le residenti di questa casa e di restare in silenzio per un attimo. Chiudiamo gli occhi. Udiamo…Bee, bee!

Il rimorchio rosso e blù

19/03/2020

Vicino casa mia, sotto ad una baracca, c'è un rimorchio rosso e blù. E' sempre solo. Oggi, con mamma e babbo sono andata a trovarlo. Poverino! Ora ho capito perché è sempre lì fermo!

Come me deve stare a casa.

AnziNo.Ha le ruote tutte sgonfie!

Il rimorchio rosso e blu

19/03/2020

E' primavera. Il sole sta pian piano risvegliandosi dal suo invernale letargo. Così, decido di andare a offrire un poco della mia compagnia, insieme a mia figlia Mely e alla sua mamma, al rimorchio rosso e blu. Poverino! E' sempre solo! Il vecchio carro trova riparo, ormai da molti anni, sotto un capanno di legno marcio e lamiere arrugginite, quasi tutte accartocciate dal forte vento. Giunti davanti alla catapecchia racconto a Mely la storia del rimorchio rosso e blu. <Molte primavere prima che tu nascessi, questo, dal primo canto del gallo, faceva il suo ingresso nella campagna, trainato dall'arancione trattore. Su e giù si spostava per il campo, fermandosi solamente di fianco ai monticelli gialli. Passato un poco di tempo ripartiva. Sulle spalle era stato caricato a più non posso con il profumato fieno, da portare alla stalla. Sgobbava fino al tramonto, quando stanco, sbadigliava e aprendo la bocca, il fieno dalle spalle si scrollava>. <Oggi è primavera>. Afferma mia figlia rompendo il suo silenzio. Poi mi pone una domanda. <Perché il trattore non gli viene più incontro, offrendogli la sua mano>? La vedo, poi, allungare il suo braccio, ma con sua grande delusione il rimorchio non le contraccambia l'aggancio. All'improvviso esclama. <Ho capito perché è, sempre qui fermo>! <Come me è costretto a stare in casa>! Continua, poi, a parlare. <Io non posso sedermi al mio banco di scuola e lui non può passeggiare su e giù per la campagna>. <Anzi…No>. Afferma sicura di se stessa, che poi continua con un'esclamazione. <Non si può muovere perché ha tutte le ruote sgonfie>! A questo punto mi sento in dovere di spiegarle la verità.

<Oggi è primavera, ma dalla stalla non provengono più i muggiti dei buoi che lo chiamano. È per questo motivo che l'arancione trattore non gli viene più incontro, offrendogli la sua mano. In tale modo il rimorchio non deve più sgobbare tutto il giorno, per portare quel pesante carico sulle sue spalle. Anche se sono giorni di tanto sole, purtroppo, te, non lo vedrai mai fare la sua trionfale entrata nella profumata campagna e recitare quella faticosa scena, proprio come se fosse sul palco di un teatro, intitolata: "Il raccolto del fieno". Di questo, tu, ne devi essere consapevole. Comunque, non essere triste! Anche se il contadino in cielo è volato, grazie alla nostra compagnia, questo carro, non si sentirà mai abbandonato>. Rallegrata da tali parole, Mely, afferrandomi per mano inizia a tirarmi, proprio come faceva un tempo il trattore con il rimorchio, per fare ritorno a casa. Durante il cammino, voltandosi indietro gridando esclama:< se nella stalla non ci sono più i buoi, non preoccuparti, qualcuno ti verrà a prendere, prima o poi>! Vi ho raccontato la nostra avventura con il rimorchio rosso e blu, anche se, per le molte primavere trascorse, questi colori, sulla sua pelle non ci sono quasi più.

Il saluto di Marley

25/03/2020

Questa mattina insieme a mia sorella sono andata a salutare il mio cagnolino. Appena mi sono avvicinata lui si è messo seduto. Poi ha sollevato la zampetta. Forse mi voleva dare la sua manina.

E' un cagnolino educato!

Il saluto di Marley

25/03/2020

Prima di inoltrarci nella lettura di questo racconto mi è doveroso spiegarvi chi è Marley. Quel giorno di metà dicembre, di alcuni anni fa, mi ero ritrovato a passare, per motivi lavorativi, da un costruttore edile, mia vecchia conoscenza. La sua casa si trovava lungo la strada, che tutt'oggi porta al mare. Mentre parlavamo di questioni di lavoro, eravamo, continuamente, interrotti da un incessante abbaio assordante. Ci invadeva, infatti, come le onde di un fiume in piena, un numero imprecisato di cagnolini, che saltavano qua e là per tutto il cortile. Non so quanti potessero essere, ma ricordo bene che non potevo fare un passo senza che inevitabilmente e involontariamente ne calpestassi uno. Perché quell'uomo possedeva un gran numero imprecisato di assordanti cagnolini? Forse perché il loro gran baccano suonava come un allarme, utile a proteggere la proprietà dall'intrusione di eventuali malintenzionati? Vi sembrerà strano ma la risposta giusta non è questa. La verità è che la moglie di quell'uomo, come piacere personale, allevava e poi regalava, ai bambini che si trovavano a passare con i loro genitori, da quella strada, per raggiungere il mare, uno di quei cagnolini così piccoli e morbidi da sembrare dei veri peluche da camera. All'ingresso della proprietà, infatti, si trovava esposto un enorme cartello che riportava la scritta: "regalasi morbidi amici", con tanto di foto di alcuni di questi. Così, per tutte le famiglie, che avevano un bambino, era divenuto inevitabile passare davanti a quella casa, leggere quell'attraente insegna e di conseguenza fermarsi. Quel giorno io ero semplicemente lì per motivi legati al mio lavoro ma quell'uomo dall'animo tanto buono, sapendo che avevo una figlia piccola, mi disse che potevo sceglierne uno e portarlo a casa. Nel ringraziarlo, per la sua gentilezza, gli risposi che già avevo un cagnolino e che questo mi bastava. L'uomo, però, sorridendo e con atteggiamento sicuro di se mi disse: <abiti in campagna, hai tutto lo spazio necessario per tenere gli animali che vuoi>. Con tali semplici parole mi convinse. Dopo tanto guardarmi intorno, ne scelsi uno. Era nato da pochi mesi ed era una palla di pelo bianco. Lungo la strada di ritorno a casa cercavo di battezzarlo con un nome, così, tanto per presentarlo a mia figlia. Non mi veniva in mente nulla. Osservandolo bene, però, con tutto quel pelo lungo e increspato, mi fece ricordare un famoso cantante da me molto apprezzato. Così decisi di chiamarlo Marley. Ecco, ora che avete capito chi è Marley, leggeremo insieme questo capitolo, a lui dedicato.

È primavera. Purtroppo, per tutto questo mese di marzo, mia figlia Mely non è potuta andare a scuola. Così, come accade ogni giorno, anche in questo colorato mattino, non agguanta per la cinghia il suo zaino pieno di libri. Afferra per mano, però, sua sorella Ana e insieme si recano al recinto, dove vive il suo cagnolino preferito, al fine di offrirgli il suo buongiorno. Un breve percorso, attraversando ulivi e lecci. Appena oltrepassata, poi, la legnaia, giungono davanti alla verde recinzione. Come le vede avvicinarsi, Marley si è messo seduto davanti alla sua piccola cuccia. Una vera casa completa di tetto, porta d'ingresso e finestra sul retro. Affacciandosi osserva e sorveglia, come un vero guardiano, tutta la campagna circostante e dalla quale lancia i suoi terrificanti abbai, contro gli animali selvatici che dalla macchia si avvicinano minacciosi. Sbadigliando, poi, ha sollevato una zampetta, appoggiandola sulla maglia della rete. Essendo anche per lui l'ora della colazione, Mely crede che Marley voglia la sua buona merendina riempita di appetitose crocchette. Sua sorella Ana, però, le fa notare che la scodella è già stata riempita di buon cibo, dal loro nonno. Perché, allora, il cagnolino allunga la zampetta verso la sua padroncina, con l'intento di toccarla? Semplicemente perché è sua intenzione afferrarla per mano, invitandola a farlo uscire per andare a passeggiare insieme, nell'agreste verde della speranza. Proprio come fanno due piccoli amici, che all'entrata di scuola si afferrano per mano. <A differenza del tuo Birillo che invece ha bisogno del guinzaglio, il mio Marley è un cagnolino ben educato>. Questo ripete più volte Mely, con aria da maestrina, a sua sorella Ana.

Biancanera e i 5 miao

11/05/2020

Sono dietro casa con babbo e mia sorella. Nel verde grano c'è una macchia nera. Era la gatta che stava partorendo. Ho preso i miei 5 miao e li ho messi in una gabbia di legno. Così la volpe non li mangerà. Li ho battezzati due: Pannolino West e Vitamina Jeans. Cosa ne pensate?

Biancanera e i 5 miao

11/05/2020

È pomeriggio. Abbiamo da poco finito di pranzare. Insieme alla piccola Mely e sua sorella Nana, per mandare giù il cibo, decido di fare una passeggiata dietro casa, tra gli ulivi. Calpestiamo avanti e indietro innumerevoli volte, come fosse uno zerbino, il giardino, che si cresce tra la legnaia e lo stenditoio dei panni. A ogni giro, poi, ci soffermiamo a riposarci un po', all'ombra del grande pero. L'imponente creatura, con le sue braccia nascoste dalle molte foglie e ogni giorno piegati sempre più verso terra, vinti dal peso delle pere, gioca con noi a fare il dispettoso, nascondendoci i vicini villaggi. Pian piano, che ci avviciniamo al suo tronco, cala il buio. La campagna sembra quasi scomparire tutt'intorno a noi. Non riusciamo più a vedere quasi nulla. Decidiamo, così, di chiudere gli occhi e aprire il cuore. Tanti cori si espandono nell'ambiente, dal cinguettio degli uccellini, ai canti dei fagiani. Improvvisamente un sofferente miagolio interrompe il piacevole concerto. Riaprendo gli occhi, noto una macchia nera nel verde grano. La prima immagine che mi passa per la mente è di un quadro ritraente un paesaggio collinare, dove al centro, per sbaglio, è caduta al pittore una goccia del suo colore nero. Desideroso di conoscere la verità mi avvicino e non credendo a ciò che vedo, mi soffermo a fissare, per alcuni secondi, quella rara stranezza. Svelato finalmente il mistero chiamo accanto a me le mie figlie, perché, anche loro, fossero spettatori di quell'insolita scena. <Affrettatevi>. <Venite un po' a vedere>! Mely e Nana corrono verso il campo. Il grano, però, in questo mese è già molto alto, tanto che Mely non riesce a scorgere nulla. Solamente un' infinita distesa di fili giallastri, alti più o meno quanto lei, si presenta davanti ai suoi occhi. Prova, allora, ad allungare il collo, mentre con le mani cerca di nuotare in quel profumato mare. Pian piano riesce ad aprirsi un varco davanti a se, ma improvvisamente si fa prendere da un profondo stato di agitazione, come se stesse sbracciando per paura di annegare. Così, sua sorella, per timore che travolgesse la dolce sorpresa la prende in braccio. Subito vede quattro palline nere, che ad occhi chiusi, fanno le capriole intorno alla gatta Biancanera. Fortunatamente, è riuscita a seguire anche l'intera impresa dell'ultimo micio a venire fuori dalla pancia della sua mamma. Prima il sedere, poi le minuscole zampette e infine la testolina. Come impazzita, per ciò che sta assistendo, ci fa tutti divertire con una sua battuta da bambina della sua età. <Mentre il suo bambino nasceva, sembrava che la gatta stesse gonfiando un palloncino>! Accorsa proprio in questo istante, la sua mamma, afferrandola per mano le spiega che anche lei è nata in questa precisa maniera e che il parto non è stato così piacevole, proprio come gonfiare un palloncino. Intanto, mentre tutti loro accudiscono Biancanera, ormai stremata dalla grande fatica, io mi appresto a costruire una scatola, con tavole di legno, recuperate qua e la nella legnaia. Ad opera compiuta mi sento soddisfatto per il risultato ottenuto. Una casina sicura e confortevole con tanto di sportello apribile. Credo proprio che la nuova famigliola sarà felice di trascorrere un po' di tempo all'interno di quest'ambiente, sentendosi al riparo dalla pioggia e al sicuro, dagli attacchi notturni dell'affamata volpe. Pertanto, molto delicatamente, prendo in braccio mamma gatta e la sistemo, con cura all'interno della scatola. Questa, stanca e indebolita, si sdraia, non riuscendo, neppure minimamente, ad alzare la testa, per vedere dove fossero finiti i suoi piccoli mici. Mely e sua sorella Nana, tuttavia, non tardano un attimo a prendere in mano quelle piccole palline pelose, ancora calde e riunirle alla loro mamma. Sembrano proprio dei cornetti appena sfornati! Nel luogo del parto rimane così un nido vuoto, fatto solamente di grano giallastro ben pestato a terra e delle chiazze rosse sparse qua e là. <Ora fate silenzio>. In questo momento sono già tutti incollati ai seni di mamma gatta. Ogni seno un micio. Ogni micio un seno. Sono i cinque miao della piccola Mely. Venendomi in mente alcuni nomi simpatici, io li battezzo due. Uno grigio si chiama Pannolino West. Quello bianco e nero Vitamina Jeans. Mely storce subito la bocca, in segno di disapprovazione. Anche Nana non è d'accordo. Per loro sembrano solamente nomi ridicoli. A questo punto del racconto non mi rimane che chiedere a te che stai leggendo. <Cosa ne pensi>? Ho appena descritto la storia di Biancanera e i 5 miao, che però non è una favola, ma un'avventura vera, vissuta in un caldo pomeriggio di quasi metà maggio.


Bau bau dice il cagnolino.

Miao miao risponde il gattino.

Ma il virus? Qual è la sua voce? Il suo silenzio è atroce. Lui non ha la parola.

Però voglio gridargli una cosa solaIo voglio tornare a scuola!

"A volte, basta poco per far battere forte un cuore.

Una padella e un bicchiere possono disegnare forme tondeggiati.

Due bambine s'incontrano sul verde prato e appoggiando le teste, si afferrano finalmente per mano"

Per mano (Dal diario di Melissa. Primavera 2020) è il il diario pieno di candore e fantasia, di una bambina che vive l'esperienza del lockdown durante la primavera 2020, dovuto alla pandemia.

Una frase scritta veloce con il lapis, sulla pagina a quadretti, ricorda i compiti da svolgere per il giorno seguente. Il tempo di chiudere il diario e la campanella suona. Come fosse lo scoccare del "via" tutti, come veloci corridori scappano lontano, infastiditi da uno snervante ronzio. Un fastidioso animaletto, infatti, molto cattivo, sta svolazzando nell'aria e trasportato dal vento, attraverso il buco della serratura, entra nelle classi e fa starnutire tutti i bambini che trova a giocare insieme. Essendo brutto e deforme, come un vero scarabocchio, si sente solo, così è invidioso di tutti quelli che vivendo un'amicizia si prendono semplicemente per mano. Anche la maestra, allo scoccare dell'assordante tintinnio, si è allontanata sempre più da quella ormai, vuota e silenziosa stanza, unica vera partenza per l'istruzione di tutti loro bambini. Dove si trova? Basta cliccare su un tasto e come per magia eccola qua, dentro il piccolo schermo. Alle sue spalle non c'è più la nera lavagna! La lezione a distanza ha inizio. La classe è la cucina. Il banco è il tavolo da pranzo. La bidella è la mamma. Oggi, però, nessun compagno può suggerire! Improvvisamente, la pentola a pressione sui fornelli, inizia a fischiare. La bambina chiude gli occhi. Ode, ancora una volta, la campanella suonare. 

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Il corpo dorme... La mente lascia le orme

Con un calcio Crin allontanò il sasso che teneva socchiusa la porticina di ferro e allungò la gamba destra per fare il suo ingresso in quella fresca cantina interrata, utilizzata da sua nonna per le scorte alimentari. Oltre la porticina però non c'era nessun pianerottolo a sorreggergli il piede, ma dalla semioscurità si fecero intravedere quattro gradini, tutti malconci e stonacati, che lasciavano scorgere la sottostante ossatura di mattoni rossi. Detti scalini, con una disagevole alzata accompagnavano verso il fondale di quel casotto, che a Crin parve un abisso profondo, dove il buio sembrò addirittura più nero del carbone. Ecco l'ultimo scalino ma Crin scivolò su un mucchio di pezzi di laterizio, che con il passare degli anni si erano staccati dal soffitto, ritrovandosi sdraiato sull'umido pavimento. Il tempo di rialzarsi e intravide immediatamente sua nonna. L'aveva scoperta per caso, seguendo un lamentoso piagnucolio, che inizialmente gli sembrò uno gnaulio di un gatto in amore. Era nascosta, per metà corpo, dietro un grande sacco di iuta, pieno, per il momento, di non si sa cosa. La luce entrava dalla piccola apertura posta in alto. La vecchietta si mostrò al nipote come se dormisse. Improvvisamente una lacrima scivolò dentro uno di quei profondi solchi del suo viso, disegnando lo stesso percorso di una stella cadente. Il nipote, rivolgendo lo sguardo al cupo soffitto, comunicò, in silenzio, il suo desiderio. Purtroppo gli occhi di sua nonna non si sbottonarono più. Crin prese in braccio sua nonna per portarla in casa e farla riposare, per l'ultima volta, sul suo letto. Usciti dall'interrata cantina, un brusco colpo di vento fece cadere a terra, i tanti bianchi petali del gigante mandorlo, come se fossero una pioggia di coriandoli. Era da pochi giorni iniziato il mese di marzo, ma sfortunatamente, Crin e sua nonna non stavano vivendo una festa in maschera. Durante il percorso, dalle tasche del nero grembiule della nonna, ogni tanto fuoriusciva una caramella rossa che cadeva lungo lo sterrato sentiero. Il giorno si fece sera. La sera si fece notte. Una notte lugubre, cupa come il volto della nonna, quando la tavola di legno, tutta intarsiata di croci, tramontò, fino a coprire i suoi scarniti piedi.

Da quel tetro sbatter di tavole, poco tempo passò, quando Crin nel rivedere l'immagine della vecchietta, dall'immancabile fazzoletto nero in testa, sopra il mobile del soggiorno, rivisse quella storia angosciosa, che gli sprigionò un grande malessere interiore. Le urla dolorose e drammatiche del ritrovamento di sua nonna, sdraiata sul pavimento della cantina, intenta a farsi un eterno pisolino, riecheggiarono su per la collina, diffondendo ansia e tormento. Crin credeva di aver sepolto l'amaro tempo passato e invece questo era ancora presente nella sua vita, pronto ad accompagnarlo in una profonda fragilità interiore. Nel frattempo i mesi primaverili, in fila uno dietro l'altro, continuarono, senza stancarsi il loro cammino verso quel luogo caldo chiamato estate e i bianchi coriandoli smisero di cadere dai mandorli. Marzo si stava spogliando del suo colorato costume per andare a dormire, ma nelle notturne visioni burrascose di Crin, questo altro non era, che il nero grembiule che quotidianamente indossava al mattino e si toglieva alla sera sua nonna. Proprio così. "Mentre il corpo dorme…La mente lascia le orme". Eccovi, allora, in prima visione assoluta, alcuni estivi film in bianco e nero, dai titoli inquietanti. Protagonista è il pensiero del nostro attore protagonista, che solitario, nel buio, interpreta scene confuse e indefinite di persecuzione per opera di spiriti maligni, decisi a non lasciarlo più in pace neppure durante la notte, quando provava a riposare un poco. Siamo giunti così alle pagine di questo drammatico racconto dedicato alle passeggiate della mente di Crin, in quelle notti estive, durante le quali, il nostro protagonista è condannato a ricordare, come giusta punizione, per il commesso peccato dell'abbandono di sua nonna.

"Come gli animali lasciano impresse, al loro passaggio, le loro orme sul terreno fangoso, gli accadimenti, hanno lasciato le loro impronte nella mia mente. Mentre le prime, con il vento, con la pioggia scompaiono, le seconde non si cancellano, perché nel mio cervello, come sulla Luna, né tira vento, né piove, allora rimangono lì, impresse, sulla grigia coltre, per l'eterno.

Vivo tali sensazioni in silenzio, con indifferenza…E' solo il volo della mia intelligenza"!

La casa storta

Dentro Crin è ancora vivo il ricordo di quando, da bambino, durante l'ultimo mese estivo, trascorreva, con i suoi genitori, un paio di settimane nel paese natale di suo padre, ospitati dai nonni paterni nella loro casa, oggi di altra proprietà. La casa si trova tutt'oggi ai piedi di un'imponente roccia, portante sulle proprie spalle la medievale torre dell'orologio. Questa, dal suo punto più elevato, con il ripetuto girare delle sue lunghe lance, ricorda, a tutto il paese, quanto tempo ancora rimane al sudato sole per fare il bagno in mare e rinfrescarsi tutta la notte. Dalla cima del poggio dove abita, Crin, tutte le sere, rivolge lo sguardo a nord. Eccolo lassù. Per il disegno del crinale e per l'architettura del paese, sdraiato sulla collina tutta di roccia, questo gli sembra una grande nave incagliata sullo scoglio, sballottata da un mare di fronde di ulivi in tempesta e l'alta torre, la rispettiva ciminiera, che nel buio, di un arancione fuoco s'illumina. Crin riesce a racchiuderla tutta in una mano e mettersela in tasca, per poi giocarci sul guanciale prima di dormire. A operazione di salvataggio compiuta, affidandosi alla sua sconfinata immaginazione e senso di orientamento, puntando lo sguardo un po' più in basso, è capace perfino di scorgere l'abitazione dei nonni. Chiude gli occhi. Ancora una volta riesce a vederli in piedi sul terrazzino della cucina, che tenendosi per mano lo salutano. Stessa immagine di quando, finito il soggiorno settembrino, in quella triste giornata, Crin li salutava dal finestrino dell'auto, che pian piano si allontanava su per la lunga salita, che accompagnava all'uscita del paese. Purtroppo a breve sarebbe iniziato un nuovo anno scolastico! Nel paese, il cui nome ricorda una strada serpeggiante tra la grande roccia, Crin aveva le sue amicizie che in quel periodo dell'anno ritrovava per giocare, fare escursioni e semplicemente stare insieme. Scorrazzavano tra le contrade del paese, in quei giorni abbellite dalle tipiche bandiere colorate, fissate ai davanzali delle finestre, testimoni di sfide in varie gare umoristiche, onorando la tradizione popolare.

In conseguenza di questo vivo ricordo durante la notte…

…Crin, insieme a sua moglie e alle due figlie si ritrova in piedi di fronte all'ingresso di quella villetta bifamiliare. Sono sul sopraelevato passaggio rettangolare, pavimentato con piccole mattonelle rosse, che collega la strada paesana al maestoso portone d'entrata all'androne comune dei due appartamenti. Per la sua fattezza a Crin detto corridoio, gli ha sempre ricordato un vero ponte levatoio come quello dei medievali castelli. Ai lati lunghi sono ancorate le sverniciate ringhiere di protezione e sotto il profondo fossato. Nella realtà questo era uno stretto passaggio seminterrato che portava alla piccola e buia legnaia dei suoi nonni. L'angusto varco era confinato a sinistra dal fabbricato e a destra da un muro in pietre, sorreggente un terrapieno, dove sopra cresceva un altissimo abete. Crin osserva sconcertato le finestre del loro piano primo. Queste pendono tutte, verso sinistra. Sembrano proprio dei quadri appesi storti alle pareti. Le scalcinate cornici non custodiscono, purtroppo, verdi paesaggi ma persiane di legno, prive del loro originario colore, ormai cancellato dal tempo, serrate e tutte le stecche scassate, come se si fosse abbattuta su loro una violenta grandinata di pietre. Se questo non bastasse a scompigliare il cuore di Crin, un'altra visione lo rattrista. Ai davanzali delle finestre non ci sono fissate le tipiche bandiere bianche e blu della contrada ma nidi di paglia e legni costruiti dai piccioni che hanno fatto suo lo stretto anfratto per potersi riparare dalla pioggia e dal vento di tramontana. Uno scatto di fotografia in bianco e nero di quello che nelle lontane estati era un fabbricato pitturato di un verde acceso ma che in questo giorno si mostra agli occhi di tutta la famiglia, con gli intonaci neri, scrostati come se fossero mangiucchiati qua e là dalla crudele e vorace muffa. Una pelle cadente che lascia in primo piano un'ossatura sempre più sporgente. Insomma, una pelle ormai raggrinzita da innumerevoli solchi, segni di vecchiaia di una casa con una schiena sempre più ricurva su se stessa, che quasi tocca terra con la testa. Una botta coraggiosa al maestoso portone di legno e tutti i membri della famiglia si ritrovano dentro quell'enorme scatola nera. Davanti a loro li sta aspettando la scalinata per accompagnarli al piano superiore. È tutta in pietra di graniglia con i lati frontali dei gradini tutti arrotondati. Per un attimo Crin si ricorda molto bene di come su questa scalinata ci trascorreva parte di quelle lontane giornate estive. Il fresco della pietra lo refrigerava dal caldo esterno e i gradini essendo molto levigati, lo invitavano a giocarci a scivolo. Alzata dopo alzata, la famiglia, sta salendo verso la porta d'ingresso del loro appartamento. Il loro salire però non è regolare. Crin si accorge che il ripido percorso pende verso il lato del muro, tanto da non riuscire ad evitare di strusciarci il braccio sinistro. Com'è possibile? Eppure Crin, interrogandosi dentro di se, si risponde che al suo svegliarsi ha fatto colazione con il latte e non con il vino! Giunti sul pianerottolo d'ingresso, Crin scopre con meraviglia di avere tutta la manica della camicia, dalla spalla al polso, stracciata. Non è una sua immaginazione, la casa pendeva veramente! Con incredulità, scopre che la porta di accesso non è chiusa a chiave. Forse qualcuno li sta aspettando? Soprattutto chi? I nonni no. Sfortunatamente avevano deciso di andare a vivere sulle nuvole già da molto tempo. Combattuto tra eroismo e paura Crin decide di afferrare la maniglia e spingerla verso l'interno. Il forte odore di aria marcita lo fa ritornare un passo indietro, ma tutta la famiglia, decisa ormai a passare la notte dentro quelle abbandonate stanze, si spinge ugualmente dentro. Sul pavimento del salotto c'è un topo mummificato. Subito, come se una forza invisibile li avesse spinti alle spalle, i quattro si ritrovano in un attimo all'angolo opposto del soggiorno. Non c'è nessuna forza invisibile! Il pavimento pende a vista d'occhio in avanti e nel camminare è inevitabile tendere a raggiungere il punto più basso delle stanze, vinti dalla forza di gravità, proprio come avrebbe fatto una pallina lasciata cadere sulla pavimentazione. Tutto è storto in questa casa. Persino la minestra nel piatto preparata per la cena, ha l'aspetto di un laghetto in tempesta! Per non parlare di quando Crin si reca in bagno per fare pipì. Un'inevitabile calda annaffiata alla gamba. Non c'è però niente di comico in quel rigo, che invece di centrare il water… . Il silenzio della notte è interrotto da rumori continui. Tanti sono i pesanti passi che rimbombavano su e giù per il lungo corridoio. Improvvisamente Crin si sveglia e mettendosi a sedere sul letto urla: maiali, maiali! Ci sono i maiali! Sua moglie intontita dal sonno e da quel pazzoide comportamento di suo marito, come se questo fosse posseduto da qualche demone, cerca di calmarlo rassicurandolo che aveva fatto solo un brutto sogno. Crin è seriamente convinto che la casa sia piena di maiali riferendo alla moglie che nel suo cervello risuona ancora l'inconfondibile verso: "oink oink", "oink oink". La moglie per convincerlo del contrario porta il marito fuori dalla camera. Accende la luce. Il corridoio è vuoto. Le uniche gambe che riescono a vedere solo quelle di una piccola cristalliera posta a metà di quello stretto e lungo passaggio. I due tornano a letto. Il mattino seguente al loro risveglio, marito e moglie, vedono che il lampadario è sopra di loro. La lumiera non dovrebbe stare al centro della stanza? Si domanda Crin. Continua a domandarsi. Perché si è spostato sopra il letto? In realtà non era il lampadario a essersi spostato sopra il letto, ma questo, sempre in conseguenza del pavimento pendente, durante la notte era andato a rifinire al centro della camera. Se questa scena non basta a traumatizzare i due, al capezzale di legno scoprono che è rimasto appeso un piccolo scorpione nero, essiccato ormai da molto tempo. La zona rocciosa, infatti, era l'ambiente ideale per questi piccoli mostriciattoli velenosi. Crin pensa che da quest'oscuro ambiente, dall'atmosfera spettrale, sia meglio uscire al più presto. Non c'è più il tempo di fare colazione e neppure l'ultima pipì storta. La famiglia sale in auto per il ritorno.

Al risveglio Crin si convince che quel sogno, altro non è, che l'abituale passeggiata notturna della sua mente. Questa notte, lungo una stradina di campagna ha incontrato la "Signora in nero" inviata direttamente dal Diavolo, che lo avrebbe invitato a seguirla. Il demone per punirlo del ritardato aiuto a sua nonna, durante una qualsiasi notte, soffierebbe, sulla collina, con tutta la sua forza, il vento freddo di tramontana, tanto da storcere la casa, come se fosse una normale scatola di cartone per le scarpe, per farla crollare addosso a Crin. Senza svegliarlo accompagnarlo nel sonno infinito.


"Il corpo dorme...La mente lascia le ormedi Cristiano Benci è un romanzo di memorie, ricordi in un mondo agreste e onirico, dove ogni cosa è incantata e lo stupore, mano nella mano con la paura, invade la mente del protagonista Crin. "

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Coriandoli (neri) dai mandorli

Esistette, in un tempo remoto, il borgo agricolo di Terracotta.

Situato sulla sponda sinistra del fiume, nasce dalla volontà dei contadini che abitano la campagna in quella lontana epoca. La loro intenzione è di costruire un villaggio che ricoprisse il ruolo di pastore, per tutti i poderi sparsi qua e la, nell'immenso territorio. Sentono la necessità di migliorare la qualità della loro vita, realizzando, sul posto, un disegno rivolto al bene comune. Il miglioramento della generale condizione sociale, con conseguente mutamento della struttura demografica, come l'aumento della durata media della vita e la registrazione di sempre più nascite, comporta la necessità di pensare ad ambienti dedicati alle cure delle persone, alla cultura e alle relazioni in generale. Le nuove costruzioni comprendono: una chiesa, una scuola, un locale per il medico, uno per il servizio postale, uno per il barbiere, una piccola macelleria, un panificio e una piazza, dove poter danzare tutti i fine settimana di quei lontani mesi estivi. Il borgo, nato al centro della grande campagna, oltre a soddisfare le necessità di tutta la comunità, con i propri nuovi mestieri, crea posti di lavoro, con conseguente beneficio per le risorse umane impegnate. Questo insieme di servizi, utili a tutta la popolazione, con il passare del tempo, diviene circondato da case abitate da coloro che, non lavorando nella campagna, si ritrovano nella posizione di poter lasciare i loro poderi e farvi richiesta di nuova residenza. Dopo la posa del primo mattone pochi anni passano per giungere al suo completamento. Le costruzioni si realizzano così rapidamente che dopo soli quattro anni avviene l'inaugurazione del borgo. Appena nato già conta una popolazione di un centinaio di persone. Il nome Terracotta è ideato e voluto fortemente da tutta la popolazione contadina, consapevole che lo stesso terreno coltivato può essere impiegato per la realizzazione dei mattoni, da utilizzare nelle nuove murature. Tra questi individui ci sono anche coloro che non solo coltivano i propri terreni, ma posseggano anche allevamenti di ovini e bovini. Mentre i coltivatori offrono la disponibilità a scavare nella loro proprietà e far trasportare il terreno fino al luogo di trasformazione, gli allevatori mettono a disposizione la paglia che avanza loro dall'impagliatura delle stalle. Durante i quattro anni di costruzione, gli agricoltori ottengono ottimi guadagni dalla collaborazione impostata con la fornace partoriente, giorno e notte, i mattoni ottenuti dalla cottura dell'impasto di terra e paglia. La soluzione per realizzare il miglior mattone, resistente e in grado di mantenere un ambiente temperato, è data da un imprenditore del nord, al quel tempo, realizzante laterizi in altre parti del Mondo. Il benestante industriale, in un'epoca antecedente alla costruzione del villaggio, acquista un podere di proprietà di un contadino, che ormai prossimo alla vecchiaia, si ritrova costretto ad andare a vivere, con sua figlia, in quel paese più a nord che prende il nome dalla gigantesca roccia attraversata dalla strada. L'imprenditore sceglie di acquistare detta proprietà, perché facendosi una gita, con la sua famiglia, in quel territorio, rimane stregato dalla sterminata campagna ancora verde. Ancora incontaminata. Un giorno racconta a Benjamin il perché di tanta purezza e limpidezza. Gli rivela, in tutta confidenza, che al suo paese, sparso nella grande pianura del nord, i pomodori non contengono ormai più il loro sapore originario. Anche il loro colore è cambiato, da quando lui era un bambino. Da questa perdita di sapori autentici, nasce in lui la necessità di cercare un luogo per trascorrerci le vacanze estive, dove la campagna fosse ancora rigogliosa, con i propri frutti colorati da tinte forti e non scolorati da chissà quale veleno. Quest'amicizia intima tra Benjamin e l'imprenditore da dove nasce? Da dove deriva il loro conoscersi? La risposta è semplice. Il grande podere giallo, dove l'imprenditore viene a starci durante i mesi caldi, confina con la casa dove vive Benjamin. Si conoscono così…Semplicemente presentandosi e stringendosi la mano. L'incontro avviene in una calda sera di luglio. Benjamin sta giocando a carte, insieme al suo babbo e al suo nonno in giardino. Congedato dal servizio militare proprio all'inizio della lontana estate, dopo un anno passato distante da casa, sente il desiderio di non uscire con gli amici, ma di trascorrere le sere calde insieme ai suoi familiari. Riscopre così i valori autentici della sua famiglia, come giocare con loro, allo stesso modo di quando era ancora un bambino. Trascorrono pochi giorni, da quando il signore benestante si trasferisce al suo podere in campagna, che una sera decide di incontrare e conoscere i suoi confinanti. Invece di incamminarsi verso la cima della collina, si dirige verso la valle, proprio in direzione della casa di Benjamin. Quest'ultimo, vedendo quel signore che cammina verso di lui, rivolgendosi ai suoi familiari, domanda…<Chissà perché ha scelto di venire a conoscere prima noi>? Riflettendo un attimo trova la risposta. <Semplice...Invece di camminare in salita, ha scelto la soluzione più facile, percorrere la strada in discesa>. Comunque, non pensando troppo a qual è il vero motivo, per cui l'imprenditore sceglie di conoscere prima la famiglia di Benjamin, l'importante è che quest'ultimo rimane contento della scelta, anche perché l'incontro gli modificherà per sempre il sentiero della sua vita. Un mutamento in positivo oppure in negativo? Non siate troppo curiosi! Continuate a leggere. A presentazioni fatte l'educato e sapiente personaggio inizia a raccontare il suo lavoro. Di cosa si occupa nella sua vita? Riferisce che è un imprenditore impegnato nel settore edile. Non costruisce direttamente le abitazioni ma grazie alle sue fornaci, sparse un po' in tutto il Mondo, produce i mattoni da utilizzare per tale destinazione. Insomma, grazie ai suoi prodotti, si può costruire case, anche in quei paesi non ancora sviluppati. Benjamin rimane affascinato dalla narrazione dell'uomo, soprattutto perché, a differenza di lui, ha potuto conoscere altri paesi lontani e molto diversi dal nostro, sia per cultura, sia per paesaggio. Benjamin si diploma nello stesso anno, durante il quale deve svolgere anche il servizio di leva militare. Per tali ragioni, non potendo lavorare e quindi mettere da parte i soldi necessari, non ha la possibilità di visitare altri territori stranieri. Vede, nell'interlocutore, seduto davanti a lui, un vero maestro intento a spiegare da dietro la cattedra, trasbordante di sapere, come fosse un manuale di geografia tirato giù dallo scaffale e appoggiato aperto su quella seggiola. Un libro illustrato, raffigurante di tutti i paesi: Europa, Africa, Australia, Asia, Stati Uniti, America meridionale e tanti altri, da sfogliare a colpi di domande, una dopo l'altra. La luna, intanto, compie gran parte della sua arcata, rispecchiandosi nell'impetuoso fiume di parole e passando, in un attimo, sull'altra sponda. E' il momento di salutarsi e andare a coricarsi. Benjamin non dorme per tutta la notte. Ripensa costantemente alla fortuna incontrata nel conoscere il nuovo vicino di casa. Un sentiero senza ostacoli gli si presenta davanti, grazie al nuovo personaggio, entrato da poche ore nella sua vita, portatore di un'immensa cultura e conoscenza. Germi di un'intelligenza unica, durante la sera stessa diffusi nell' ambiente familiare dove vive, come un'epidemia da virus. C'è proprio bisogno di un po' di cultura, da seminare nel vasto territorio, fino a quel momento sfruttato solo per la coltura. Benjamin viene presto a conoscenza dell'intenzione dei contadini, di costruire un villaggio che servisse da raggruppamento per i mestieri utili a tutta la popolazione della zona. Uno di quei contadini è suo nonno. E' pensiero comune di costruire un borgo tutto nuovo, dalle fondazioni al tetto, passando dai muri di sostegno perimetrali. La manodopera non manca ma il materiale da costruzione sì, come gli elementi da murare tra se. L'unica soluzione presentatasi è di farli giungere da lontano, con conseguente notevole consumo di denaro, andando ad aggravare una già mediocre situazione economica di tutti i residenti della zona, consapevoli, comunque, di quanta ricchezza la loro campagna potesse offrire. Nessun oro nascosto, ma la fortuna striscia, tuttavia, sotto i loro piedi, nel terreno che loro calpestano tutti i giorni. Rimane solamente da scavare. Che il tipo di terreno è particolarmente adatto per la realizzazione di mattoni, lo capiscono dalla pioggia. L'acqua bagnando la terra, la rende pastosa e plasmabile, proprio come la malta da costruzione. La terra, poi, asciugandosi sotto il sole, indurendo mantiene la forma assunta da bagnata. Anche suo nonno nota questo comportamento della terra. Durante le piogge, gli animali, da lui allevati, lasciano profonde impronte nel terreno, con il loro camminare a destra e a sinistra. Bastano pochi giorni di sole e la terra, indurendosi, forma profonde buche, che subito si devono ricoprire, per non inciamparci, col rischio di farsi del male. La terra diviene tanto dura e compatta che per lavorarla e livellarla si deve ricorrere all'uso della piccozza.

La materia prima non manca. Ciò di cui i contadini sono privi, fin dall'inizio, sembrano essere i macchinari giusti necessari a produrre mattoni della stessa forma e dimensioni, da cuocere in forni capaci di fornire ogni giorno grandi quantità di elementi costruttivi, pronti per essere impiegati nel vicino cantiere. Ai contadini manca anche il denaro necessario per realizzare la fornace. Provenendo, per di più, tutti dal lavoro nei campi, del mondo dei materiali da costruzione non conoscono proprio niente. La persona giusta, professionalmente preparata, portatrice di tale competenza, grazie al mestiere che svolge, fortunatamente, l'ha appena conosciuta Benjamin. Mattino seguente. Appena svegliato, si precipita immediatamente al vicino podere giallo, per dare il buongiorno all'imprenditore, ma soprattutto per porgli una domanda. Mentre cammina, Benjamin pensa dentro di se che le possibilità di risposta siano solamente due. Non ci sono altre possibilità. Se la risposta sarà positiva, si avvererà la scenografia tanto immaginata da lui per tutta la notte, con conseguente beneficio generale per tutto il territorio e la sua gente, trasformata per l'occasione nella vera protagonista del film di successo. Se invece la risposta sarà negativa, non riesce a immaginare quale scenario svantaggioso potrà essere destinato alla rurale zona. Per un attimo diviene una persona negativa. Pensa che il villaggio, tanto desiderato, non potrà mai essere costruito, rimanendo un territorio arretrato, privo di ogni servizio utile per gli abitanti. Come conseguenza, lui, perderebbe un'occasione d'oro per trovare un posto di lavoro, considerato che è appena ritornato dallo svolgere il servizio militare e ha bisogno di una sua dignitosa indipendenza economica. Il buongiorno dell'imprenditore lo riporta a concentrarsi su ciò che deve chiedergli e ad abbandonare i brutti pensieri. Si salutano come vecchi amici, poi, trovando il coraggio, non perché ha paura di lui, ma della sua risposta, Benjamin gli pronuncia la tanto studiata domanda. <Scusami il disturbo, ti voglio chiedere se ti può interessare la realizzazione di una fornace, per la produzione di mattoni in terra cotta, da utilizzare nella costruzione di un intero borgo. Il nuovo villaggio rappresenterà il centro di aggregazione per tutta la popolazione di questa vasta e meravigliosa campagna> . Continua. <Se t'incuriosisce il progetto e hai piacere a saperne di più, sono felice di spiegarti meglio>. L'imprenditore, non troppo sorpreso dalla richiesta, risponde: <sono onorato che tu abbia pensato a me per risolvere questo vostro urgente bisogno>. Continua. <Attento Benjamin, devi seguirmi in ciò che ti racconto>. L'inesperto e giovane ragazzo rimane in silenzio ad ascoltare. <Devi sapere che io lavoro proprio così. Realizzo le mie fornaci, dove c'è un effettivo bisogno di costruire nuovi villaggi. Sono chiamato direttamente dalla gente bisognosa di costruirsi il proprio benessere intorno, per uscire dalle varie situazioni di degrado e sottosviluppo. Insomma, per quanto mi riguarda, cerco di portare, un certo progresso nelle zone sparse qua e la, per il Mondo, che vivono nell'ignoranza, intesa come non conoscenza, lontane dai servizi fondamentali per una vita meritevole. Ecco perché non sono molto sorpreso dalla tua richiesta. Comunque, sentendomi anch'io, parte di questo territorio, accetto ben volentieri la tua proposta e ti aggiungo un concetto importante. Se mi aiuti a organizzare l'intero progetto, insieme alla popolazione, fino alla realizzazione della benedetta fornace, con sua successiva produzione, prometto che ti prendo a lavoro con me. Ti posso assumere come operaio magazziniere all'interno dell'impianto>. Questa mattina Benjamin non cerca altre parole, all'infuori di queste enunciate dall'imprenditore. E' andato a caccia di tali comunicazioni, proprio come fa un bambino correndo in qua e la, per il giardino dietro alle farfalle, con il suo retino. Ottiene il suo bottino e con la testa piena di note musicali uscite dalla bocca dell'imprenditore, ritorna a casa. Passa prima dal frutteto di suo nonno e raccoglie tanti buoni frutti maturi. Entrando in casa li consegna a sua mamma dicendole: <con tale raccolto prepara una bella e buona crostata, questo è un giorno da ricordare festeggiandolo con la gioia dello zucchero in bocca>. Giunge il momento del pranzo e tutta la famiglia si riunisce intorno alla tavola per fare festa e ascoltare le spiegazioni del loro ragazzo. Con poche parole racconta che, durante la mattina si è recato a trovare il loro vicino di casa, per chiedergli se fosse interessato ad aiutare la popolazione della zona, nella costruzione del loro tanto voluto borgo. Riferisce che l'industriale ha accettato. E' il suo lavoro, ma anche perché si sente parte di questa gente e della campagna, più bella di quella dove è nato lui. Aspetta che la sua mamma serve il dolce, per esporre la notizia, ancora più gradevole della prima: <se il progetto va a buon fine entro a lavoro alla fornace>. Per l'emozione, infischiandosene pure del suo terribile nemico "diabete", suo nonno, finisce in solitario, fetta dopo fetta, la grande crostata. Nei giorni che seguono Benjamin si impegna molto per organizzare una serata, durante la quale far incontrare l'imprenditore con gli agricoltori. Un po' tramite telefono e un po' andando direttamente a casa delle persone riesce a divulgare il suo progetto, invitandole alla riunione, molto importante per tutti. Il luogo che tutti conoscono bene, Benjamin lo individua nel piazzale fronteggiante la vecchia fattoria, utilizzata dai contadini per la rimessa e lo stoccaggio del grano, frutto della mietitura estiva. L'appuntamento avviene in una sera di metà maggio. Sembra di essere a scuola! Lassù, davanti alla porta del granaio, c'è seduto l'imprenditore e proprio come un maestro ha di gomiti appoggiati alla scrivania. A riempire la piazza sono presenti tutti o quasi, gli agricoltori e allevatori della zona. Benjamin, con atteggiamento da primo della classe, consapevole che è lui la forza sovrannaturale che ha mosso la sterminata massa di persone, portandola fino a lì per una serata di crescita generale, si dispone in prima fila e guai a chi cerca di spingerlo, con il rischio di allontanarlo dalla cattedra. Si ricorda, per un attimo, di quando frequenta la scuola. Tutti i giorni il maestro, all'inizio della lezione, gli ripete: <mi raccomando, fate silenzio e state attenti, vorrei, quando suona la campanella e uscite da quella porta, tutti voi siate più grandi di ieri di almeno tanto così>. Parlando fa segno con le dita ravvicinate, che quasi si toccano. Durante tutta la sera la classe sta in silenzio e molto attenta a ciò che l'istruito signore, parlando molto correttamente, cerca di spiegare e insegnare. Come veri alunni, i contadini, con molta educazione, che quasi non si accosta a un uomo rozzo, calzante grandi scarponi, alzano, a turno, la propria mano. Le domande sommergono l'imprenditore, com'è abitudine del fiume fare in quella zona, quando la sua piena travolge tutto ciò che incontrava lungo il tortuoso percorso. I mesi successivi sono necessari per preparare i progetti della fornace e presentarli al comune che amministra il territorio, al fine di ottenere i permessi, per procedere con la nuova realizzazione. Le autorità di competenza non ci impiegano molto tempo a rilasciare le autorizzazioni. Hanno accolto, loro stesse, molto positivamente quale fosse l'utilità del grande impianto produttivo. Aiutare l'intera popolazione della zona a costruire un loro sogno, promuovendo la valorizzazione dell'intero territorio comunale, risultando, non solo, essere un importante centro di aggregazione, ma con le varie funzioni di comune utilità necessita di un certo numero di artigiani e dipendenti, valorizzando anche le risorse umane del luogo, creando nuovi posti di lavoro. Giugno. I nastri trasportatori iniziano a girare. Ci sono orizzontali, inclinati e sulle spalle portano montagne di terra e paglia, provenienti dai terreni circostanti. La lavorazione delle materie prime avviene all'interno del capannone, mentre i mattoni prodotti sono stoccati all'estero, a riempire l'enorme piazzale, in attesa di essere trasportati in cantiere per essere murati. I sacchi di terra raffinata da impastare con acqua, per utilizzarla come malta, trovano ricovero sotto un'enorme tettoia di metallo. Come da promessa fattagli dall'amico imprenditore, Benjamin varca il possente cancello di ferro, per il suo primo giorno di lavoro, a produzione già iniziata da qualche settimana. Durante la prima fase di lavorazione, incentrata tutta sulla realizzazione dei primi mattoni, sono entrati in attività coloro scelti come addetti ai nastri trasportatori. Benjamin entra all'intero dell'area produttiva, rimanendo come paralizzato, mentre alle sue spalle il cancello si richiude. Ciò che lo immobilizza, impedendogli, per un istante di continuare a camminare, per raggiungere gli uffici, è la vista dello sterminato piazzale, pieno d'imballi, contenenti centinaia di mattoni. Rimane terrorizzato da tanta maestosità. Per un attimo pensa che, non avendo alcuna esperienza lavorativa, non sia la persona giusta per svolgere, con competenza, l'incarico affidato. Il tempo necessario per scambiarsi il buongiorno con gli impiegati in amministrazione e via, correndo, a prendere il primo muletto disponibile. La direzione è composta dallo stesso imprenditore con sua moglie e la loro figlia, che per il tempo strettamente necessario a costruire il villaggio, si sono tutti trasferiti nel loro podere di campagna. Non ci distraiamo. Corriamo a vedere come si comporta Benjamin, per la prima volta in assoluto, a manovrare un muletto, tra i tanti ostacoli da schivare. Come suo primo compito deve scaricare un enorme carrello pieno di imballi di mattoni ancora caldi, provenienti dall'intero del capannone e posizionarlo sopra gli altri, già presenti nella zona di magazzinaggio. Compito non facile per il disorientato operaio. Il terreno è tutto poggi e buche, tanto da non riuscire a infilare le maledette forche sotto l'involucro. Molto tempo gli occorreva per portare a termine detta operazione. Che paura sollevare, fino all'ultimo piano, come fosse un ascensore, l'ultimo pacco! Il muletto rimane sempre inclinato su un lato. Mentre procede in avanti, il macchinario pende, ora a destra, poi a sinistra. Che paura! Con il peso posto in alto e quest'oscillazione penso proprio che alla fine finirò col ribaltarmi, oppure l'imballo cadrà all'indietro rischiando di schiacciarmi. Questo pensa Benjamin mentre, con le gambe tremolanti, tenta, disperatamente, di portare a termine il suo lavoro. Deve, comunque, comportarsi bene e far vedere a tutti che sa svolgere il lavoro di magazziniere. Mansione difficile, almeno per i primi giorni, ma lui si sente forte e determinato ad andare avanti…Non intende certo perdere il posto di lavoro! E' troppo importante per la sua indipendenza economica. Così, grazie alle sue doti come pazienza e testardaggine, riscontrando altresì un atteggiamento familiare, rivoltogli da chi amministra, riesce a lasciarsi alle spalle i neri primi giorni. Nei giorni avvenire prendere, poi, sempre più confidenza con quel difficoltoso, pronto a disarcionarlo, proprio come fa il toro con il cowboy sulla groppa, durante un rodeo. I giorni divengono settimane. Le settimane divengono mesi. I mesi divengono anni. All'intero del piazzale, Benjamin non riesce a riposarsi un attimo. Dalla mattina alla sera c'è da scaricare gli imballi che provenivano dal capannone produttivo e stivarli nei rispettivi spazi. Quando vengono i costruttori a prenderli, c'è da inforcarli nuovamente e caricarli sui loro camion. E' una lavorazione continua. Per fortuna giunge anche la sera! Momento piacevole è quando Benjamin, da fuori, sente il continuo calare del rumore proveniente dai nastri trasportatori interni, fino al loro completo spegnimento. E' giunta l'ora di andare a casa. Stanco raggiunge l'auto e si fa trasportare sulla vicina collina, che al calar del sole, rappresenta una vera e propria sorgente di pace e benessere per il suo essere interiore. Succede alcune sere che, per la stanchezza, conduce la sua auto come se fosse ancora seduto sul muletto. Così eccolo lì, fermo lungo la fossetta della strada che cerca di maneggiare le leve e i comandi in modo errato. Come si arrabbia quando l'auto non gli ubbidisce! In un attimo di lucidità comprende il perché di quella situazione imbarazzante. Come un qualunque diciottenne al primo giorno di guida, si rifila due schiaffetti come rimprovero e via con l'inserimento della marcia giusta. Lungo il percorso si volta sempre a destra, incuriosito da come proseguono i lavori di costruzione. Riesce a scorgere in qua e là i nuovi scavi per le fondazioni, altri riempiti già di cemento e nuove murature portanti. In alcune costruzioni sono già arrivati a chiudere le grandi scatole con il tetto! Benjamin ha un pensiero. Se le costruzioni procedono tanto rapidamente, in breve tempo il villaggio è completato e la fornace è costretta a fermare per sempre i suoi nastri, senza motivo di produrre mattoni. Elementi che, per la loro forma squadrata e per ciò che, economicamente rappresentano Benjamin li immedesima in lingotti d'oro. Negli anni che seguono cerca di pensare di più al proprio lavoro e il meno possibile a quale scenario negativo si potesse aprire con l'inaugurazione del villaggio e la conseguente chiusura dell'impianto di produzione.

Fino a quando…


Coriandoli (neri) tra i mandorli di Cristiano Benci è un racconto agreste che ci fa rivivere nella quiete della natura, riscoprire momenti magici, quando il sole sorge lentamente all'orizzonte e i primi raggi si filtrano tra le foglie degli alberi e ci si trova immersi in uno spettacolo senza tempo. La bellezza della natura si svela in ogni suo dettaglio, come un dipinto vivente dipinto con i colori più vivaci. Il protagonista del racconto Benjamin ci condurrà in un mondo magico al confine tra l'inconscio e il santuario della natura.
Tuttavia la sua esistenza prenderà un declivio pericoloso quando a causa di un problema economico prenderà una decisione dalle conseguenze drammatiche.

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Vi rivedo lassù... Vi ricordo quaggiù

Ai miei nonni:

Vecchio Guerriero

Testimone della Fede

Messaggera di Dio

Sasso Squadrato

Goccia del Mare

Agresti Costellazioni

Scaglia la freccia, l'arco cacciatore.

Dall'etrusche spalle, come fosse zucca,

laggiù in basso, ruzzola

l'"Insanguinata Criniera".

Lungo la groppa rimbalza tra brucanti olivi.

Greggi di "Arieti",

con occhi incendiati dalla "Vergine Pastora"

pascolano in agresti costellazioni.

Sulla soffice lana,

il volo della luccicante "Testimone della Fede,

diviene di un equilibrio carente.

Inciampando nel vagabondo "Sasso Squadrato",

si spegne a terra, mutandosi nella "Messaggera di Dio".

Sopra la testa del "Vecchio Guerriero"

osservo la corsa di un "Capricorno".

Dalla cima della medievale torre,

la terrestre orma si tuffa,

divenendo una "Goccia del Mare",

in questo sferico "Acquario".

Trafitto il "Leone", di entrare in scena,

ognuno di loro ne è consapevole.

Cupola agreste,

animata per la conservazione della memoria…

…Recupero di un tempo che ormai è passato.

Io ne ho sempre più bisogno.

Sgobbano dal primo canto della civetta.

Il "Grande Carro" è pieno di fieno giallo.

Lungo la stradina bianca

lo accompagna la passeggera lucciola.

Stanco si siede davanti alla luminosa stalla.

C'e il toro da sfamare!

Nella stagione della fienagione

questa era la loro occupazione.

Una forza li trainava.

Sapevano di essere una famiglia.

Questo pensiero a loro bastava.

Da tutti loro, io oggi, mi sento abbandonato.

Allungo il mio braccio…

…non ricevo nessun aggancio.

Qualcuno di loro

mi verrà a prendere prima o poi!

Intanto, dalle stalle,

non giungono più i muggiti dei buoi.

Oggi, in terra, ci sono le "stalle decadenti".

La chitarra e la fisarmonica

In queste sere d'inverno a chi si ritrova a passare nelle vicinanze della casa di "Seguace di Cristo" può assistere a un concerto di musica. Per meglio raccontarvi, ci si può ritrovare per caso ad ascoltare il piagnucolio di alcuni strumenti musicali. Solamente l'orecchio ben allenato dei più esperti in musica è capace di riconoscere un'improvvisata orchestra formata solamente da una chitarra e da una fisarmonica. Questi due strumenti sono costretti a suonare quasi tutte le sere, esclusivamente per un solo spettatore. È inutile dirvi che l'incasso è misero! Costretti a suonare dopo la cena, solo perché promettono al piccolo "Seguace di Cristo" che se lui a tavola placa la sua troppa vivacità di bambino e mangia tutta la pappa loro organizzano esclusivamente solo per lui un singolare concerto musicale. È presente il palco improvvisato con seggiole e platea per il pubblico con posti a sedere. Ovviamente non mancano le caramelle da lanciare alla fine di ogni brano sonoro. A sentire queste parole "Seguace di Cristo" stregato da quei due strumenti, che tutte le sere lo accompagnano nella sua nanna, all'improvviso smette di essere un bambino e inizia a comportarsi come un adulto. Mangia la pappa in silenzio senza le solite perdite di tempo e le immancabili bizze da pagliaccio. Quello che riescono a trasmettergli nel suo profondo animo quella chitarra e quella fisarmonica nessuno riesce a capirlo. L'importante è che i risultati appaiono chiari agli occhi di tutti i suoi familiari. La cena volge al termine.

In salotto ci sono già pronte due seggiole vicine con sopra una chitarra e la fisarmonica. La chitarra è in legno, con corde in metallo perfettamente tirate. La fisarmonica si presenta tutta in plastica di color bianca e rossa, con i tasti per le note alcuni bianchi, alcuni neri. Il piccolo spettatore si accomoda. E'pronto per rallegrare il suo udito. Le corde sono pizzicate, i tasti premuti. Le note si diffondono nell'aria deliziando il piccolo "Seguace di Cristo". Certo…Quella non gli sembra a suo modesto parere una buona musica! Non gli assomiglia neppure vagamente a quella che proviene dalla televisione, oppure dallo stereo.

A questo punto "Seguace di Cristo" non è più certo che da quei due sono messe insieme le giuste note. Segni che ha visto altre volte rappresentati in raffigurazioni strane per lui indecifrabili. Il dubbio lo assale. Durante quegli strani concerti, davanti agli strumenti non c'è mai quel libro aperto con quei disegni strampalati. L'importante però è che quello è il concerto di quei due piccoli strumenti che, anche se di suonare stanno facendo finta, il loro forte legame dimostrato sul palco, rappresenta la loro competizione vinta.

Ora si trovano ben riposti in un vecchio armadio. Dopo tante battaglie si stanno riposando in silenzio. Le corde non si pizzicano più, i tasti non si premano più. Non ci sono più note che escono, non c'è più musica che si spande nell'aria. Quei due musicisti imbroglioni si sono licenziati da quell'orchestra. Hanno detto che l'incasso era misero. Beh…Come dargli torto!…Con un solo spettatore ogni sera! Hanno deciso così di andare a suonare in cielo. Sembra che lassù ci siano molte più buone anime paganti.

Contenti loro!



In concerto con nonno

Io alla chitarra,

tu alla fisarmonica.

Anche se non suonavamo buona musica,

cosa ti spetti, che io, a chi legge dica?

Di mettere insieme le giuste note

non ne ero certo,

ma l'importante, per noi, era che quello,

fosse il nostro concerto.

Di suonar bene tu facevi finta,

il nostro forte legame,

era già la nostra sfida vinta.

Una carcassa di coccinella

In un tempo andato non troppo lontano, ma neppure troppo recente, veniva costruita dal vecchio contadino una piccola casetta. All'esterno non era colorata come le altre costruzioni che "Seguace di Cristo" poteva scorgere nelle vicinanze, non aveva neppure le porte e le finestre. Era bassa di altezza, tanto che il nostro protagonista anche se è piccolo alzandosi sulle punte dei piedi e allungando il braccio può benissimo toccare la gronda del tetto. Ha una forma stretta e lunga, è divisa in tre piccoli ambienti. In uno di questi ci vive un maialino, in un altro le galline con i loro nidi per le uova da covare. Nell'ultima parte si trova un vecchio forno a legna, utilizzato molti anni prima per la cottura del pane. Oggi non è più necessario per tale funzione, tanto che il nonno di "Seguace di Cristo" l'ha trasformato in pollaio per far crescere i pulcini fino a che non diventano un po' più grandi.

Proprio dietro il pollaio suo nonno ha parcheggiato la sua prima auto, che ormai vecchia non può più essere utilizzata. Ha pensato di non disfarsene, almeno per il momento, ma di posizionarla in quel luogo e trasformarla in un piccolo magazzino. Per ottenere più spazio al suo interno le ha tolto il motore, i sedili, pure il volano. A questo punto, mancando completamente il motore con tutte le relative parti meccaniche come i freni, è stato costretto pure a togliere tutte le ruote e appoggiarla su quattro grandi ciocchi di legno, così da renderla più sicura. Il risultato di questa trasformazione? Una carcassa, un ammasso di lamiere. L'importante è che nonno "Vecchio Guerriero" è rimasto soddisfatto del risultato ottenuto, soprattutto perché svolge bene la funzione per la quale è stata trasfigurata. Nonostante l'apparenza a "Seguace di Cristo" quello scheletro di auto piace molto. È bianca con il cofano rosso e per i suoi lineamenti esteriori gli sembra proprio una gigantesca coccinella. Ai suoi occhi è proprio bella! Decide di riesumarla, di darle un'altra opportunità, di farla sentire nuovamente importante per qualcuno. Diventerà la sua giostra privata, dove al suo interno trascorrere le sue giornate da bambino.

Deve dare una sistemata al suo interno, mettere in ordine gli arnesi e gli altri oggetti che suo nonno ha gettato là un po' alla rinfusa. Così fatto la giostra è pronta per partire. Si può accomodare e dare sfogo alla sua fantasia, che lo porterà nei giorni avvenire a viaggiare lontano. Un giorno s'improvvisa pilota di auto da corsa, un altro un autista che accompagna i bambini piccoli all'asilo.

"Seguace di Cristo" gioca in quell'auto, o meglio quello che rimaneva di una macchina, sempre da solo, ma si diverte come un pazzo. Certo, per spassarsela così un po' di sacrificio lo deve fare, il piccolo "Seguace di Cristo". Il prezzo da pagare? Stare per ore, dentro quella carcassa di ferro senza aria condizionata. Scusate mi correggo, l'aria condizionata c'e…Condizionata dalle stagioni! Durante l'inverno è freddo e durante l'estate è caldo. A "Seguace di Cristo" però questo non importa. La voglia di giocare dentro quella coccinella è più forte di qualsiasi sensazione di freddo e di caldo da dover sopportare. Poi le vuole bene. E' stata per molti anni l'automobile di suo nonno "Vecchio Guerriero".

La vecchia 600

Da tempo nascosta dietro il pollaio,

ti era rimasto solo il telaio.

Niente motore, niente sedili,

una vera carcassa eri.

Io ti ricordo come se fosse ieri.

Neppure le ruote tenevi,

sopra quattro ciocchi sedevi.

Bianca con il cofano rosso, eri proprio bella!

A me sembravi una coccinella!

Un giorno pilota,

un giorno autista,

però mancava pure il volano!

La mia fantasia doveva viaggiare lontano.

In un magazzino trasformata,

io ti avevo riesumata,

nella mia giostra privata.

In quell'ammasso di lamiere,

che freddo d'inverno!

D'estate poi c'era un gran caldo.

Non mi importava,

quella era stata l'automobile di mio nonno!

Il vecchio ape arancione

Settembre. Le vacanze estive iniziate con la fine dell'anno scolastico stanno per terminare. C'è solamente tempo per l'ultimo periodo di villeggiatura, che il nostro "Seguace di Cristo" lo trascorre insieme ai suoi genitori nella casa natale del suo babbo. Sono ospiti di nonno "Sasso Squadrato" e di nonna "Goccia del Mare" in quel paese che sembra sdraiato su di una collina tutta di pietra che si trova lassù. "Seguace di Cristo" lo può scorgere anche dalla cima della collina dove abita, basta che si reca dietro casa. Qui rivolge lo sguardo in direzione nord ed eccolo là, quasi riesce a racchiuderlo tutto in una mano. Con un po' d'immaginazione e senso di orientamento è capace perfino di vedere l'abitazione dei nonni, che affacciati alla finestra lo salutano con la mano.

In questo periodo del mese il paese è tutto in festa. Sono organizzati molti giochi, gare per adulti e bambini. Il luogo dove si svolgono le competizioni si trova molto vicino alla casa dei nonni di "Seguace di Cristo", tanto che lo accompagna suo nonno "Sasso Squadrato" sulle sue spalle. Al nostro piccolo campione piace da matti gareggiare su piccoli trattori a pedali di plastica. La gara consiste nell'attraversare un piazzale in cemento e raggiungere il traguardo, naturalmente prima degli altri bambini. Vince sempre lui. È fortissimo. Nipote e nonno portano sempre a casa il trofeo del primo posto. Naturalmente "Seguace di Cristo" a fine gara è affaticato, quindi il viaggio di ritorno lo ripercorre seduto sulle spalle di suo nonno.

Di mattino però il primo impegno che devono affrontare insieme è un altro. Escono da casa molto presto e si recano in garage, che i suoi nonni chiamano il fondo. Lì trova riparo il vecchio ape 50 di suo nonno "Sasso Squadrato". Una carcassa di lamiere di colore arancione, con tanto di stretto abitacolo, piccolissimo cassone e tre ruote tutte storte, che "Seguace di Cristo" non riesce a capire come possono girare nel modo corretto. Salgono dentro il posto di guida, prima suo nonno e poi lui. Già questa prima operazione è una vera impresa.

"Seguace di Cristo" è piccolo, ma suo nonno è un uomo molto grande, tanto che chiudendo lo sportello si ritrova come pressato, quasi non riesce a respirare. Se questo non basta a rendere la situazione già molto complicata, a peggiorare quel momento di partenza ci pensa l'accensione del piccolo motore. Questa la compie suo nonno tirando a se una leva di ferro, che attiva il risveglio del già stanco ape arancione. Il colpo con il braccio è forte, tanto che tutto l'abitacolo barcolla, proprio come fa la barca in mezzo al mare in tempesta. Comunque a parte questo piccolo particolare il motore inizia a scoppiettare come fa il fuoco di un falò. A questo punto suo nonno gira il polso verso l'alto, innescando la prima marcia in avanti. La carcassa si muove, è pronta per trasportarli a destinazione. Nonno "Sasso Squadrato" è sempre sereno quando porta con sé il nipote al suo terreno. Questo si trova appena fuori il paese, in aperta campagna. C'è da dare il mangime ai polli, da zappare l'orto e da innaffiare le piccole piantine. Al momento del pranzo i due ritornano a casa molto stanchi ma felici di aver lavorato insieme quel terreno, che i nonni chiamano, nel loro gergo paesano, la cetina. " Seguace di Cristo" non è mai riuscito a capire il vero significato di quella parola a lui tanto strana.

L'estate sta terminando e "Cri Cri" deve fare ritorno alla sua casa per dover iniziare un altro pesante anno scolastico. Rivedrà i nonni durante i successivi fine settimana, per poi rivivere quelle indimenticabili avventure estive nel prossimo mese di settembre. Purtroppo quei periodi di festa paesana sono stati troppo pochi, trascorsi con i nonni paterni, soprattutto con nonno "Sasso Squadrato". "Seguace di Cristo" è ancora molto piccolo quando suo nonno è portato in cielo da una logorante malattia, regalatagli dalla miniera di carbone dove ha lavorato da giovane. Oggi "Seguace di Cristo" rivolgendo lo sguardo a nord lo pensa e lo ricorda ancora, con i brividi di nostalgia che gli scendono giù lungo la sua schiena. Oggi lo rivede girovagare per le strade del paradiso con il suo vecchio ape 50 tutto arancione.

Sasso squadrato

Sasso squadrato il tuo nome, io, ancora, ti penso,

in ogni dove.

Sotto la grande rocca stavi, con questo nome,

eran tanti i nostri avi.

Sempre con te

le domeniche da bambino, giravamo con il tuo apino. Sempre sereno,

quando andavamo al tuo terreno. Polli da governare,

orto da zappare.

Poi c'era da innaffiare il seme. Alla sera stanchi,

ma soddisfatti dell'operato insieme. Alla festa paesana, poi,

mi ci portavi sulle spalle,

io vincevo alla corsa dei trattori, ma anche a quella delle balle.

Dalla miniera, però,

una logorante malattia ti eri portato, ancora troppo giovane,

te ne sei andato.

Sasso squadrato il tuo nome, io, ancora, ti penso,

in ogni dove.

"I nonni sono un tesoro prezioso e un legame speciale nella vita di molte persone. Possono offrire una prospettiva unica, un'infinita quantità di amore e saggezza derivata dalle loro esperienze di vita. Svolgono un ruolo cruciale nell'arricchire la vita dei loro nipoti, donando loro amore, saggezza e un senso di continuità familiare. Il loro impatto dura per generazioni, lasciando un'eredità preziosa di affetto e apprendimento.
Vi rivedo lassù...Vi ricordo qua giù...è un omaggio delicato e intimo per i propri nonni, i cui tanti ricordi, dipinti dall'autore, ci rimandano in un'epoca piena di nostalgia".


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Orme nel sentiero del tempo

Apro il cuore alla natura libera, dove vivo. Il creato diventa il luogo della memoria ricca di ricordi, dove i pensieri, sulla carta, divengono il racconto, grazie ad una mente da far fruttare. Cammino per mano alla mia campagna. Una tranquilla collina, con la quale dialogo ogni giorno. Un territorio raro dove tutti gli animali vivono allo stato brado. Una natura libera che, aprendomi il cuore, diviene il luogo di una memoria ricca di ricordi, a volte nostalgici. Ricordo che sul quel terreno, oltre la siepe, viveva il vigneto, dove oggi mi rivedo da bambino nel mezzo ai suoi paralleli filari, che cammino su e giù, lasciando le mie piccole impronte sul fangoso terreno. A ogni passaggio l'autunnale frutto avevo raccolto. Per me, durante quei lontani giorni di vendemmia era festa in questo posto.

Oggi, chiudendo gli occhi, rivedo con la mente la vecchia cantina dove, con mio nonno, rimescolo il mosto nel grande tino, facendomi avvolgere dal suo buon profumo. Ripenso anche all'amicizia spensierata tra me e il vecchio contadino. Un profondo sentimento che a me bambino mi si presentò come un'occasione di crescita irrepetibile. Voltando lo sguardo a sinistra vedo, come pitturati sullo sfondo agreste, alcuni vecchi attrezzi agricoli, un tempo sfavillanti, ma oggi sommersi da una vita di passività, in una condizione di conservazione fragile e disabile. Avverto il forte desiderio di bloccare nel tempo le storie più importanti, animando un personale progetto di conservazione della memoria. Recuperare quel tempo ormai passato, ma che della sua profondità ho ancora bisogno. Durante il susseguirsi delle quattro stagioni osservavo quell'indaffarato contadino, che arava la sua terra, dopo, disponeva con cura il seme. Questo nasceva, cresceva fino a diventare un giallo grano, che durante il solleone veniva mietuto. Osservando queste lavorazioni agricole, pensai: non possiedo terre da arare e neppure animali da allevare, ma sono dotato di una mente da far fruttare! I miei pensieri, sulla carta, diverranno il racconto, non ritrovandomi un campo arato, ma un foglio inchiostrato, dove le parole impresse saranno come i chicchi del grano che riempiono la spiga. Come un cancello di legno che si spalanca per far uscire o entrare gli animali di una fattoria, allo stesso modo il mio cuore si apre per far addentrare, chi lo desideri, nello sterminato territorio della mia mente. Racconto un mondo fatto di una natura semplice e schietta, con il compito di mettere al centro del suo gravitare i grandi temi, come il valore dell'amicizia e della condivisione, il mio amore inestinguibile per il creato e la continua ricerca autentica dell'essenza delle varie realtà che mi circondano.

"Da una battaglia spirituale e interiore combattuta nel passato, il mio io è risorto. La mia anima immortale ne è uscita vincitrice. La provvidenza mi ha illuminato e fatto capire tutto nel modo migliore e più adatto alla mia mente. Ho iniziato a pensare con il cuore e con il cervello…Allora ho ricordato, immaginato, conosciuto, voluto, contemplato. Mi sono sentito illuminato e ispirato, iniziando un cammino, dall'alba al tramonto, tra colori e profumi della natura, lasciante orme meritevoli di restare impresse nel sentiero del mio tempo.

Serpentone verde: m'incanta la visione

del tuo tortuoso strisciare,

tra grandi massi pascolanti

Il fiume Ombrone, facendosi strada nel paesaggio a nord, entra nella pianura sottostante dove, assumendo un percorso tortuoso, continua il suo cammino attraversando la maremma, fino giungere al mare.

Territori solitari,

per i miei momenti rari.

Luna silenziosa

Sono un solitario. Sono riservato, la mia vita custodisco gelosamente in privato.

Spiaggia desolata,

luce offuscata.

Vola il mio pensiero interiore.

La solitudine è il mio segreto amore. In sua compagnia, esterno il mio pensiero interiore.

Chiudo gli occhi.

Odo echi provenire dal passato.

Orme nel sentiero del tempo

Tutto intorno a me è avvolto dalla nebbia. La mia mente mi sta nascondendo qualcosa. Poi scorgo orme, impresse nel terreno fertile della mia memoria.

Racconto agreste:

confine tra inconscio senza tempo e

luogo sacro della natura

Il sole sorge lentamente e i primi raggi si filtrano tra le foglie degli alberi. Ci si trova immersi in uno spettacolo senza tempo. La bellezza della natura si svela in ogni suo dettaglio, come un dipinto vivente, pitturato con i colori più vivaci.

Vecchio contadino:

bambino immerso nella natura.

Occasione irrepetibile

Protagonista è l'amicizia spensierata tra il bambino e un vecchio contadino, che vive immerso nella natura. Questo profondo sentimento, al bambino appare un'occasione unica.

Cuore agreste:

cancello campestre,

aperto nello sterminato territorio della mente

Davanti si mostra il grande cancello di legno. Tolgo l'anello che lo tiene serrato. Questo si spalanca come un manoscritto. Subito intenso giunge al nostro naso un buon odore di selvatico. Racconti pascolano nella vastità della mia mente.

Creature senza tracce di lacrime,

arcobaleno senza sfumature di nero.

Pascolo con scie di lucciole

Non stupidi esercizi sotto un tendone colorato, ma un cartone colorato, dagli animali interpretato.

Spiaggia: natura libera,

luogo di memoria.

Infiniti granelli di ricordi nostalgici

La spiaggia diventa il luogo della memoria, ricco di ricordi, anche molto nostalgici.


Il corpo dorme…La mente lascia le orme.

Memorie, ricordi agresti.

Stupore e paura invadono la mente

Protagonista è il pensiero, che solitario, nel buio, interpreta scene confuse e indefinite di persecuzione per opera di spiriti maligni. Storie angosciose, che sprigionano un grande malessere interiore, diffondendo ansia e tormento.

Batte forte un cuore.

Due creature, appoggiando le teste,

si afferrano per mano

Due bambine s'incontrano, dopo molto tempo, sul verde prato e appoggiando le teste, si afferrano finalmente per mano, disegnando forme tondeggianti che ricordano un cuore pulsante.

Vuota, silenziosa stanza,

ricordo d'istruzione.

Alla spalle non c'è più la nera lavagna

Sono tornato a farmi una camminata nel vecchio cortile delle elementari, rivedendo le avventure più strampalate durante le ricreazioni, riguardando dal vetro quella spensierata e magica stanza.

Ricordo, racconto.

Pensieri impazziti

camminano nella mia mente

Attraverso una mente vivace, esploro con entusiasmo ogni angolo della mia scuola, guidandovi nelle avventure quotidiane di un piccolo studente.

Smettono di scendere le lacrime.

Tuffandomi nella storia

cammino sulle pietrose strade

Mi commuovo nel sentire per l'ultima volta la campanella suonare. Ora, camminando, con il pensiero, sulle pietrose strade dell'antica Roma, simbolo di quell'ultima gita elementare, smetto di piangere.

Mattonelle consumate dai salti.

Muri stanchi delle grida.

Piange il gesso sulla schiena della lavagna

Sto per sedermi, per l'ultima volta, al mio banco. Con meraviglia ogni angolo dell'aula diventa un'opportunità per costruire ricordi che dureranno per tutta la vita.

Non piangere gesso…

…Un giorno tornerò a farmi una camminata in questo vecchio cortile.

Parole, fiumi, montagne, villaggi preistorici. Sconfiggo eserciti di numeri.

Vene invase da un traffico d'emozioni

Ricordo ogni giorno di scuola come un'opportunità per imparare qualcosa di nuovo. Grazie maestra per avermi accompagnato in quest'avventura, oltrepassando i confini della geografia, conoscendo popoli di ogni era, rialzandoci dopo essere caduti inciampando su serpeggianti numeri.

"Orme nel sentiero del tempo è un racconto poetico e fotografico di un mondo idilliaco e immerso nella natura, della cui più intima essenza il protagonista si nutre, in un susseguirsi di incantevoli sensazioni."


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Ricordi elementari

Ricordo, racconto…

Suona la campanella

Io sono qui, con i piedi sulla soglia d'ingresso, pronta a oltrepassarla per l'ultima volta. Oggi, vi leggo l'ultimo capitolo della mia storia elementare. Quanti ricordi! Quanti pensieri camminano, come impazziti, nella mia mente! Nel primo capitolo di questo libro, lungo cinque anni, vi ho letto di una bambina timida e chiusa in se stessa. Con lo sfogliare le pagine, la protagonista è cresciuta, acquisendo sempre più fiducia della propria coscienza. Prima di tutto il nuovo superpotere coraggio, afferrandola per mano, l'ha accompagnata nella sua cameretta. Insieme hanno affrontato la paura, sconfiggendo quella figura nera, che tutte le notti, da dietro il guanciale la osservava. A scuola ha imparato a giocare con i suoi compagni e a ripetere, con migliore comunicazione, la lezione alle sue insegnanti. Credo proprio che tale crescita le tornerà utile dal prossimo settembre. Un mattino si ritroverà a girare la copertina del nuovo libro, dalle impresse parole ancora più impegnative da memorizzare, dal titolo: "la media educazione"…

Mi presento

Da quanto riportato su un calendario di un antico popolo, l'anno 2012 doveva rappresentare la fine del mondo e invece…

… Provenendo dalla costellazione del capricorno e svolazzando tra greggi di stelle al pascolo, un'ape sbatte sul pianeta terra. Attratta dai suoi colori e profumi decide di fermarmi per riposare un poco.

Gennaio.

Bersaglio di calci e pugni, una diga si rompe, facendo riversare, sulla pianura di mattonelle quadrate, una grande quantità d'acqua. Travolgente è l'inondazione di emozioni, con conseguente fuga di persone in ogni direzione. Cavalcando l'ultima onda, sono spinta verso la mia meta prefissa: un cuore immenso di mamma. Non avendo le ali non posso certo ingannarvi e convincervi che sono un angioletto! Direi più un diavoletto, irresistibilmente attratto dal distruggere piatti e bicchieri. A parte questa dote, il mio babbo, ghiotto del nettare dei fiori, ha voluto battezzarmi con un nome che porta, sulle spalle, il significato di "ape". Ora ho le ali. Non mi sono ancora trasformata in un angelo, ma comunque, grazie a questo corpo piccolo come un insetto, mi sento libera di volare da un abbraccio e l'altro. Durante la primavera e l'estate mi piace svolazzare tra i vasi dei fiori in giardino, mentre rincorro i mici impauriti dal mio fastidiosissimo ronzio. D'inverno sorvolo qua e là la mia scatola riscaldata, scorgendo dall'alto alcune leggendarie immagini del mio atterraggio su questo mondo. Danzare tra un abbraccio e l'altro mi piace molto, ma questo corpo sempre più pesante, mi costringe a camminare con le mie gambe. Sto imparando anche a mettere la testa sott'acqua, come fossi un pesce, anche se tutt'oggi io mi sento sempre una leggera e spensierata ape… Questo quando sono circondata dai miei simili. Invece con i miei genitori e mia sorella ho un rapporto litigioso, perché in casa si ritrovano a convivere, in accordi poco armonici, un capricorno, due leoni e uno scorpione.

Mi piace guardare

Il mio cartone animato preferito

Il mio cartone animato preferito è ambientato sotto il mare. Ho preso l'abitudine di guardarlo al mattino del sabato e della domenica. Appena apro gli occhi, corro subito in cucina, dove trovo la mia mamma che mi prepara la colazione con latte, miele e marmellata. Il tempo di un abbraccio e mi tuffo subito sul telecomando per collegarmi al canale giusto. Ecco, vi presento il mio cartone preferito. Il protagonista è una spugna gialla che vive in una casa a forma di ananas. Il suo animaletto di compagnia è una lumaca che girella lasciando la striscia di bava. Gli altri personaggi sono: un polpo e un granchio che lavorano in un ristorante, una stella marina che vive dentro una roccia, uno scoiattolo scienziato che dimora su un albero dentro una bolla e un insetto dall'occhio gigante che intende rubare le ricette del ristorante per farle sue e usarle nella propria trattoria. Ogni volta che io guardo questo cartone animato, provo felicità. A me piace molto il mare e gli animali che vi abitano, anche se, in tale disegno animato, i personaggi sono insoliti, così come sono strane le case, dove abitano. Non è certo da tutti i giorni, vedere uno scoiattolo che vive su un albero dentro una bolla!

Mi piace guardare

Il mio film preferito

A me piace il film catastrofico. Lo guardo sempre il mercoledì sera. Come accendo la televisione, un paese degli Stati Uniti d'America trema. Non certo per il freddo! Tutta colpa della terra che si muove, in ogni direzione, come se avesse perso la pazienza e fosse impazzita. I buoni sono gli abitanti della zona e il cattivo è il terremoto. Il protagonista di tutta la storia è l'uomo muscoloso. Grazie alla forza e al coraggio, porta in salvo tutte le persone che si trovano in pericolo. Ieri sera, sconfitta anche l'ultima scossa, ho abbuiato i paesaggi mozzafiato di quel lontano territorio e sono andata nella mia cameretta per dormire. Come ho chiuso gli occhi, il maleducato terremoto, senza neppure chiedere il permesso, è entrato in casa mia. Mattino seguente. Pian piano mi sbottono gli occhi. Ho paura di vedere il soffitto crollato. Con sorpresa scorgo che le travi di legno sono sempre orizzontali e i miei pupazzi non sono scappati, ma stanno sempre dormendo abbracciati, tra se, in fondo al letto. Anche per questa volta non c'è bisogno che l'uomo muscoloso venga a salvarmi. Aspetto che il cuore smetta di galoppare e corro in cucina a guardare il mio cartone animato preferito ambientato al mare. Vedendo il caldo movimento delle onde mi dimentico subito del freddo tremore della terra.

La mia casa

Oggi vi descrivo dove abito. Oltrepassato il paesino di poche case, entriamo nella valle del serpeggiante fiume dominata da una collinetta, sulle cui spalle si trova seduta, come una vecchietta stanca, la mia casa. È circondata solamente dalla campagna. Tutt'intorno a me vedo lunghissimi filari di vite, i molti ulivi amanti della pace e una distesa di giallo grano che, spinto dallo scirocco, ondeggia come il mare. Di mattino, quando mi reco a scuola, le pascolanti mucche, per un attimo, alzano le corna da terra e smettendo di strappare l'erba mi salutano, raccomandandosi di portare loro un buon voto. Vicino alla mia abitazione vive anche un boschetto, dimora di tanti animali, come il capriolo che, tutte le sere, vedo saltellare sotto il frutteto. All'ingresso del cortile crescono indisturbati due giganteschi cipressi, guardiani della collina. Le pareti della mia casa sono bianche. Sopra il suo cappello di rosse tegole, se ne sta in piedi il camino, come fosse un missile pronto al decollo, diretto verso la luna. Sulla grondaia di rame vedo un colorato pallone, appollaiato come un uccellino, ricordo di un gioco estivo. Tutti i davanzali delle finestre fanno da divano ai vasi di fiori. In giardino, alcune sere d'estate, incontro anche delle lucciole, somiglianti a stelle, facenti capolino tra i cespugli del rosmarino e le pietre del muretto. Forse sono volontariamente cadute dall'avvelenato cielo, per venire a respirare l'aria pulita della mia campagna!

La mia cameretta

Oggi vi descrivo la mia cameretta. Appena spalanco la porta di castagno, davanti a me, si presenta un grande armadio color lilla, con la pancia piena dei miei vestiti e di tanti giocattoli. A sinistra si trova un basso mobile bianco, contenete la mia biancheria intima. Sulla parete di destra è appesa la finestra per guardare fuori, nascosta da una tenda a linee verticali colorate. Di fronte al lettino è sistemata una scrivania sempre di color lilla che sorregge, sulle spalle, un grande fardello pieno di penne di ogni genere e la grande televisione. Sopra la testa della scrivania, si vede, appeso al muro, un altro mobile contenente: lampade di ogni forma, salvadanaio, libri, diari e pupazzi di ogni razza. La mia cameretta è piccina come una formichina, ma è il nascondiglio preferito di un paffuto guanciale campione del mondo di morbidezza. Quando il mattino mi sveglio per andare a scuola, non vorrei mai smettere di abbracciarlo.

… rifletto

... Ritorniamo a oggi

La vedo commuoversi, nel rileggere, il quarto capitolo delle elementari racconta della maestra di matematica, improvvisamente scappata via dai suoi bambini chiassosi per rifugiarsi nella pacifica isola della pensione. All'istante le lacrime smettono di scendere e le sale l'entusiasmo nel tuffarsi nella storia. Ora cammina sulle pietrose strade dell'antica Roma: il Colosseo le rimarrà, per tutta la vita, il simbolo di quell'ultima elementare gita. Addio cara aula, ti lasciamo le mattonelle consumate dai salti e muri stanchi delle grida. Addio cortile, sulla tua erba abbiamo corso, inciampato e siamo caduti, poi rialzati, come da una brutta interrogazione. Vecchia lavagna, mai scorderò lo stridulo del gesso, mentre scivola sulla tua schiena. Alle mie maestre dico grazie per averci accompagnato in questa avventura, attraversando parole, fiumi, montagne, incontrato villaggi preistorici e sconfitto eserciti di numeri. Oggi le mie vene sono autostrade invase da un traffico di emozioni. Ora vi devo salutare, sto per sedermi, per l'ultima volta, al mio banco. Comunque le scuole medie non sono lontane! Un giorno tornerò a farmi una camminata in questo vecchio cortile…

… Magari senza inciampare!




Affascinante racconto che ci porta indietro nel tempo, nei giorni spensierati dell'infanzia di Cristiano alle elementari. Attraverso gli occhi curiosi e la mente vivace di questo bambino, esploriamo il mondo magico e sorprendente che si svela dietro ogni angolo della scuola.
Cristiano, con il suo entusiasmo contagioso, ci guida attraverso le avventure quotidiane di un piccolo studente: dalla scoperta delle lettere dell'alfabeto, alle prime amicizie che sbocciano come fiori in primavera, fino alle avventure più strampalate durante le ricreazioni. Il racconto cattura l'innocenza e la meraviglia di un periodo in cui ogni giornata è un'opportunità per imparare qualcosa di nuovo e costruire ricordi che dureranno per sempre.

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Il volto della forza

Mi sarebbe piaciuto rimanere un bambino spensierato, come una piuma che incoraggiata dal vento vola leggera senza mai toccare terra. Invece il mio corpo è cresciuto divenendo sempre più pesante, costretto dalla maestra "vita" ad aprire libri pieni di problemi (non matematici), di responsabilità, lavoro e famiglia. Questa nuova scuola, lasciandomi poco tempo libero e catapultandomi velocemente nel futuro, mi ha fatto perdere di vista il mio tempo passato, interrompendo i rapporti con i compagni delle scuole elementari, mettendo al centro della nuova classe me stesso, come unico "io", non esistendo più intorno a me banchi occupati da altri "tu", "noi", "voi" e "essi". I pronomi personali mi hanno sempre fatto paura a impararli uno dopo l'altro, ma oggi che mi sento solo in questa distesa infinita di mattonelle consumate dai nostri salti, ogni volta che ascolto mia figlia, nel ripetere i verbi, come fossero poesie, durante la sua lezione pomeridiana, io non mi sento più solo, ricostruendo ricordi belli che dureranno per sempre.

Oggi, per continuare la tradizione del bravo alunno in italiano, avendo redatto ottimi temi, scrivo racconti e poesie ispirandomi al mondo agro pastorale che mi circonda, con contenuto la vita nei campi, interpretata dai miei nonni, come personaggi principali. Proprio alcuni di questi racconti raccolti in un libro dal titolo "la vecchia aia"sono diventati un testo teatrale interpretati su un palcoscenico di un teatro locale. Come si scoprirà nel corso dello spettacolo, vecchi attrezzi agricoli, un tempo sfavillanti, si raccontano, animati dalla conservazione della memoria di un tempo passato, della cui profondità abbiamo sempre più bisogno.

Primavera. Il mio personale piccione viaggiatore elettronico mi recapita un messaggio scritto.

<Ciao, sono io. Come va? Tutto bene? Ho scoperto che scrivi libri sui racconti di campagna e tradizioni agresti. Ci tengo a farti sapere che anche a me piace molto questo genere di letteratura. Anch'io ho scritto racconti simili, purtroppo salvati e scordati dentro una cartellina del computer. Trattano di personaggi vissuti nei paesi vicini, raccontatami da mia nonna, ma anche di leggende locali, tesori ritrovati, misteri, fantasmi, insomma la storia dei nostri luoghi, con i suoi ruderi di medievali castelli che non esistono più. E' stato il Sig. Internet a informarmi del tuo interesse per la scrittura, ma ho scoperto personalmente questa tua ammirevole passione leggendo qua e là, locandine appese ai muri, di pubblicità per lo spettacolo teatrale dedicato alle

"esperienze dalla vecchia aia, testimonianze della vecchiaia". So che rimarrai male, ma non amo i posti dove si svolgono questo tipo di rassegne, perché sarà presente sicuramente molta gente e io non mi sentirei a mio agio e soprattutto non sarei di compagnia. Niente di personale, ma il giorno rincaso molto presto, appena finito di lavorare, evitando ogni forma di vita sociale. La mia salute sta peggiorando. Riesco a parlare con fatica. Neppure la mia mamma riesce a capirmi bene! La mia condizione fisica, che tu conosci molto bene, sta peggiorando. Lingua, bocca e gola si stanno ingrossando sempre più. Capirai perfettamente del perché evito posti affollati. So che un modo sbagliato di affrontare il problema, ma in questo momento non ho armi ben affilate per combattere questo mostro, che lentamente mi sta mangiando dall'interno. Se qualcuno ti chiederà di me, rispondi semplicemente che non posso essere presente alla tua rassegna, perché crescendo sono diventato un uomo molto riservato. Questa scusa non la userò con te. Un giorno tu ed io ci possiamo rivedere e magari passeggiare soli per la strada vicina casa tua. Sono legato a codesta campagna, che rivedo sempre volentieri. Qualche volta, infatti, di nascosto a tutti, ritorno a farci un'escursione, addentrandomi nei luoghi dell'infanzia. Terminate le scuole medie sono stato costretto ad andare a abitare in città, perché mio nonno, non andando d'accordo con suo fratello che abitava al piano terra, un giorno decise di vendere e abbandonare la campagna, altrimenti qualche cosa di brutto sarebbe successo. Io in questa decisione importante di famiglia non sono mai stato interpellato. Forse essendo ancora piccolo a nessuno importava il mio parere. Pensa a com'ero legato io ai miei campi e al silenzio del nostro territorio! Da bambino innocente avrei dovuto godere di codesta agreste ricchezza, vivendo un'adolescenza spensierata, come è successo per te, invece a me è toccato trascorrerla frequentando ospedali, dove gli esperimenti medici hanno solamente peggiorato la mia situazione fisica e psicologica. Ero sempre nervoso! Le stesse anestesie iniettatemi ogni due mesi circa mi mandavano fuori di cervello. Ho cercato per anni la mia tranquillità ma non l'ho mai trovata. Forse si è sempre ben mimetizzata tra la pace della nostra campagna, nascondendosi bene tra gli ulivi e le viti. Così come un bambino sempre irritabile, non riuscendo mai a vincere al gioco del chiapparello, la mia ansia rimbalzava tra le stelle, come la pallina che sbatte nel flipper, quando il

telefono di casa squillava, perché giorno o notte, c'era da affrontare il viaggio verso l'ospedale del nord. Il tragitto non era una piacevole passeggiata e in quella stessa sala operatoria le anonime tute dei medici non erano certo i colorati e strampalati vestiti dei pagliacci del circo, pronti a farmi divertire con i loro scherzi.

Nonostante quest'avventura negativa della mia vita, custodisco bei ricordi. Tu ed io eravamo molto legati. Ricordo tutte le positive avventure. Non mancherà occasione per incontrarsi. Tra tutti i nostri compagni, tu ed io siamo sempre stati i più uniti. Salvando pochi, ricordo i dispetti dei più prepotenti, quando alle scuole medie mi gettavano la cartella per terra, trascinandola come uno straccio e poi mi facevano a pezzi il vario materiale scolastico, custodito come fosse una vera reliquia. Non sono arrabbiato con te altrimenti non ti avrei ricercato. Di tutti gli altri compagni, invece, non voglio più sapere notizie. Nel tempo ho incontrato solamente una nostra compagna che mi ha fatto notare come non guardo nel volto la gente quando faccio conversazione. Le ho risposto che forse era lei a sentirsi in disagio nel guardarmi, schivando i miei sguardi, io non mi vergogno del mio volto, al contrario, ti fisso negli occhi, proprio come fa un toro pronto a sfidarti. Ritornando alla nostra amicizia ricordo le nostre invenzioni. L'elicottero costruito con una carriola e la tavola di legno come elica. La bottiglia dello spumante con una cannuccia infilata a forza, facendo pressione sopraggiungeva il tonfo da fucilata e la fumata. I bicchierini da bibita pieni ci cemento ai quali sul fondo si metteva un ritaglio di pallone di gomma e un cordino centrale, che poi mirando verso il nemico si tirava scaturendo addosso una nuvola di polvere cementizia. Il micidiale spara tappi che se avevi i pantaloncini corti ritornavi a casa con le gambe sbucciate come una mela. Ci si divertiva costruendo queste armi semplici, usate poi per preparare un'amichevole guerra, combattute per le fossette della strada poderale, che per le nostre corte gambe raffiguravano vere e proprie trincee da difesa. Autentici e genuini divertimenti, ambientati sul campo. Niente a che vedere con i passatempi innaturali e finti dei ragazzi di oggi, come la playstation e il telefono cellulare, che per la loro scenografia basta una semplice stanza da letto. Le nostre ricette di gioco erano semplici, ci bastava un fagiano o un

gatto da rincorrere. La nostra sconclusionata pesca la ricordi? Io ho accumulato tante canne e mulinelli che neppure ho mai trovato il tempo di provare! Resteranno per sempre nuove. A chi andranno? Te, almeno, hai figli! Io ho tanto di quel materiale accumulato, che sarà gettato, senza mai essere tramandato: orologi da polso e da tasca, monete, canne da pesca e tante altre cose. Colleziono di tutto, chiedimi l'impensabile ed io lo tengo.

Come già scritto in precedenza in questo momento non ho armi ben affilate per combattere il mio male, ma ho una matita ben appuntita con la quale infilzare gli spiriti maligni del mio passato. Da una battaglia spirituale e interiore combattuta in quei l,ontani giorni, il mio essere "io" è risorto. La mia anima immortale ne è uscita vincitrice. La provvidenza mi ha illuminato e fatto capire tutto nel modo migliore e più adatto alla mia mente. Ho iniziato a pensare con l'anima e con il cervello… Allora ho ricordato, immaginato, conosciuto, voluto, contemplato. Mi sono sentito illuminato e ispirato. Ho creato così racconti che considero veri mattoni del mio cammino esistenziale, capitoli che fanno riflettere. Se vorrai usare questi racconti rielaborandoli, correggendo la grammatica, l'ortografia e la punteggiatura, per poterli dedicare ai ragazzi delle scuole elementari e medie, come messaggio alla non violenza, a me va bene, l'importante è di rimanere in anonimato, senza passaggi scritti che facciano riferimenti a fatti dai quali si capiscono i soggetti coinvolti. Verrebbe un bel libro! Essendoci persi di vista ci tengo a farti sapere che al liceo non ho mai subito le prepotenze degli altri, anzi… I ragazzi più grandi mi rispettavano nella mia diversità fisica e psicologica e se comunque qualcuno avrebbe osato offendermi, mi avrebbero sicuramente difeso.

Grazie per aver sicuramente letto questo lungo messaggio, rispondimi quando avrai un po' di tempo, al fine di accordarsi per incontrarci e se deciderai di iniziare a scrivere i capitoli della mia coraggiosa storia, non potrai altro che farmi piacere.

A presto>.


"Questa storia mostra come il coraggio e il talento di un ragazzo possano cambiare non solo la sua vita, ma anche quella di chi lo circonda, portando a una trasformazione positiva che va oltre le difficoltà iniziali."


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Sfogliando pagine d'una agreste memoria


Nel frequentare la scuola elementare mi sono innamorato di una mia compagna di classe. Si chiama, tutt'oggi, Storia. Capelli biondi, lunghi e lisci, come la coda dei cavalli combattenti ai piedi dei castelli. Occhi azzurri come il mare dei tempi della creazione. Per mano abbiamo fatto lunghe passeggiate su e giù per la campagna e armato di carta, penna e tante domande in tasca, ho giocato a fare l'archeologo, scavando in quel luogo misterioso che era la mente di mia nonna Mry, al tempo degli accadimenti ragazzina. Oggi la sua mente è oscurata da nere nuvole, gonfie d'incalcolabili giorni passati. Basta punzecchiarle con alcune domande ben appuntite, che iniziano a grondare una pioggia frammentata di ricordi. Un fiume in piena di memorie inondanti il villaggio dove viveva, scavando e riportando in superficie, una storica rievocazione agreste, con pagine che parlano di: Una querce piena d'oro che brucia, lo spirito di una ragazza deceduta che si materializza in un bosco, un torrente liberato dal demonio invitando il soccorso divino, una pentola di antiche monete protetta dallo stretto abbraccio di radici di un gigantesco ulivo, un tesoro custodito nella gola della collina, un fantasma dell'antico casolare agricolo, uno spirito maligno, servitore del Diavolo da combattere a colpi di speranza, fede, amore e provvidenza, un lupo mannaro divenuto folclore del villaggio per la sua spaventosa mostruosità. Un elenco di capitoli, testimonianti un lontano e tenebroso passato. Mentre mia nonna Mry racconta, un brivido d'emozione mi graffia la schiena. Sfogliando le pagine della sua agreste memoria è come se, con i piedi, calpesto le ossa, di una storia non riportata in alcun libro scolastico, sminuzzate dal tempo e dalle lavorazioni agricole, come avviene per vasi, anfore di un sito archeologico. Ascolto … Percepisco ancora la presenza di quei personaggi, protagonisti di questi capitoli, frammenti di un'ancora viva memoria, che appiccicandoli alla meglio, ricostruisco questo mio personale antico testamento.

Del villaggio dove è nata mia nonna non vi sono più tracce. Per certo ho notizia che sorgeva su un terreno sabbioso e ghiaioso, dove il fiume e il torrente, dopo piovuto molto, fissavano il loro punto d'incontro, per andare insieme al mare. Da questa zona di confluenza era facile controllare la strategica strada di comunicazione, strisciante tra le gambe delle circostanti olivate colline, aventi sulle spalle i castelli fortificati, che a guardarli dalla valle, oggi sembrano raffigurare proprio fieri cavalieri a cavallo del loro destriero, fissati dal tempo in un quadro medioevale. Nel villaggio erano presenti: Una chiesa, un giardino del Regno dell'eterno sonno, due botteghe di calzolai, una fornace, un vasaio, due fabbri e un macello. Il resto degli abitanti erano contadini che scambiavano polli, uova, prosciutti e altri regali della terra, come grano e olio, con scarpe e vestiti portati al villaggio da venditori ambulanti. La vita andava vanti tra alti e bassi. Alcuni anni le vacche grasse, forse chissà … Essendo più pesanti si facevano sorpassare dalle loro simili, più magre e quindi più agili e veloci, nel portare lo scarso raccolto al granaio. Passavano i venditori di cianfrusaglie che chiedevano di fermarsi per la notte, dormendo nella stalla, con i suoi monti di paglia e resa accogliente dal caldo fiato dei buoi. Ospitalità sacra, tale sistemazione, anche per i rari nomadi circensi, che per la gioia dei bambini si fermavano al villaggio ogni anno a primavera. Portavano con sé delle valigie di cartone legate con lo spago sulle spalle e un tavolo chiudibile con attaccate varie mercanzie, come: fiammiferi, forcine per i capelli, ferri per cucire la lana e gli immancabili cornetti rossi portafortuna. Ce ne voleva tanta di fortuna! Molte persone si ammalavano di malesseri non spiegabili e curabili dalla medicina conosciuta. Forse i lavori usuranti nei campi stavano presentando il conto in vecchiaia? O forse un buio mistero si stava diffondendo come un virus per tutto il caseggiato? Mia nonna era ancora piccola quando il caseggiato, del quale oggi rimane solamente un cimitero d'ossa, e frammentarie notizie, veniva strappato dalle sue radici, come filo d'erba, dallo straripante galoppo del fiume. Rimbombanti erano gli echi dei suoi lamenti, mentre, come impetuoso cavallo, travolgente in battaglia, si contorceva cercando di liberarsi dagli ostacoli trovati davanti. In seguito all'abbandono delle case, i superstiti davano origine a fattorie e piccoli poderi, pascolanti, come sparse pecore, sulla groppa dei dominanti poggi. Proprio in una di queste proprietà ci sono cresciuto io, circondato da campi di grano, balle di paglia e galline, dalle quali ali ho strappato le più colorate penne, per scrivervi i miei più oscuri racconti.

Brucia la cava quercia

È una fredda mattina d'inverno. I tagliatori di legna s'incamminano lungo la serpeggiante stradina carrareccia, che accompagna alla macchia. Faticosamente trasportano la pesante lama dentata manuale, necessaria per segare i grandi alberi. Trascinati dalla grande forza di volontà, proseguono nel calpestare il fangoso e buio sentiero. Nonostante hanno le mani e i piedi informicoliti dal freddo, come una maestra, la severa zona di taglio li chiama al loro dovere. Un cinghiale che trotterella in lontananza è l'immancabile compagno di viaggio. Come veri esploratori riescono ad aprirsi un varco nella fitta vegetazione, giungendo a destinazione … Una gola profonda, buia e tenebrosa. Il paffuto sole, incuriosito da questi uomini tanto affaccendati, inizia a spiarli, tentando di nascondersi dietro i magri rami. Deliziati dalla simpatica e allegra faccia, dai rossicci zigomi, come fosse uomo alticcio, trattenente con i suoi racconti, i tagliaboschi decidono di raccattare frasche e ramoscelli per alimentare un falò utile a scaldare le loro gelide estremità e cuocere la nutriente colazione. Lo sguardo sbatte su una vecchia pianta, dall'enorme tronco deforme, vivente distaccata da tutti i suoi simili. Dalla raggrinzita pelle gli uomini capiscono di trovarsi di fronte ad una quercia, la cui schiena, tanto aggobbita da farle toccare il terreno con la calva chioma, sembra voler comunicare con loro, desiderosa di raccontare la storia del luogo, vissuta dalle sue lunghe e contorte braccia. Quante ne ha vissute … Il veterano fusto! Chissà … Nato spontaneamente? Seminato volutamente dai frati dell'antico convento, costruito sul sovrastante colle, durante la lontana età di mezzo? Il territorio è noto ai vecchi come scenografia di battaglie, interpretate dagli attori del tempo, quali i grandi condottieri militari, ma anche origine di storie leggendarie, raccontate dai nonni, durante la veglia serale, momento in cui un drago, scivolato dal tetto, cade in trappola nel camino e con i suoi sbruffi di sottofondo riscalda tutta la famiglia. I più giovani ascoltano, increduli, la narrazione di un misterioso sasso, che se toccato al calar del buio, procura una brutta febbre. Altro fantastico capitolo storico, tramandato a voce, parla addirittura del passaggio, in questa campagna, di Carlo Magno. Per coloro che ancora non hanno sonno, gli sono sfogliate altre pagine dell'agreste memoria, sprofondando, come in un fangoso terreno, nell'irreale scoperta di un tesoro nascosto nel letto del vicino travolgente torrente.

Chiudiamo per un attimo il libro dei lontani racconti contadini e concentriamoci sul tempo presente.

Non riuscendo a recuperare la necessaria legna asciutta, i taglialegna decidono di sacrificare il vecchio tronco incavato, pensando che del groviglio di rami secchi non importi a nessuno, tanto meno ai suoi simili, i quali l'hanno scansato ai margini del bosco. Così deciso, tentano di dargli fuoco dalle radici, sporgenti come veterane vene dalla solcata pelle. La quercia piange lacrime di resina, che scivolando giù per la corteccia, perdendo l'equilibrio, come fossero stelle cadenti, riescono a spegnere le piccole fiamme, desiderosa dire a quegli insensibili uomini di non bruciarla, nel rispetto della memoria dell'antico spirito, vivente ancora nella sua cavità. Ben presto il tronco rimane arido di linfa, così le lingue di fuoco, approfittando dell'indebolimento della combattiva quercia, velocemente si arrampicano su per la grande gobba, raggiungendo la testa. Ciò che rappresenta il male per la pianta, diviene il bene per i boscaioli, felici di placare il loro freddo. Confortati dal calore, possono iniziare il lavoro di taglio. A poco a poco le piante, inciampando nel mostro dai denti di ferro, cadono a terra, con conseguente ampliamento della zona disboscata. Senza rendersene conto si ritrovano naufraghi in un mare di legni e frasche in burrasca, ma quel lontano ciocco acceso, ormai per loro non rappresenta più un caldo faro di salvataggio. Arrogantemente troppo presto si sono scordati che poco tempo prima li ha salvati dai graffianti artigli del freddo. Senza alcuna utilità apparente, l'annerito ceppo brucia giorno e notte … Speriamo almeno che del suo rimanente calore illuminante se ne sia servito qualche animale!

Mattino seguente.

Ripercorrendo il solito sentiero, i taglialegna non immaginano neppure lontanamente cosa stanno per trovarsi davanti nell'avvicinarsi ai resti mortali della sventurata quercia, consumata dai lamenti infernali. Meraviglia. Stupore. Non riescono a credere a ciò che i loro occhi li stanno raccontando. I luccicanti globi oculari, impazziti come palle di biliardo, narrano di una copiosa colata di lunghe lingue gialle, correnti a riempire le spaccature del terreno circostante, restituendo alla macchia la rinascita della vecchia quercia, originandosi da radici d'orate. Con certezza realizzano di aver bruciato un tesoro. Ora si tolgono i guanti da lavoro, perché non digeribili e si mangiano le mani, mentre in testa gli ronza, come api, uno sciame di punti interrogativi. Chi l'ha nascosto nella cavità della quercia? In quale epoca? Si tratta di monete? Di una statua? Oppure di oro grezzo? Come intontiti, rimangono per molto tempo a fissare la gialla colata, ormai quasi inghiottita dalla terra e a rimpiangere di non aver stanato la fortuna prima di sguinzagliare l'aggressivo segugio, che ha braccato la preda, senza portarla al cacciatore. Risvegliati dall'incubo, si ricordano dei racconti dei vecchi nonni, aventi come protagonista un uomo povero dalla nascita. Per sopravvivere lavora la terra, ma improvvisamente e inspiegabilmente si arricchisce, tanto da acquistare in breve tempo due poderi in campagna, dietro lo stupore di tutti i confinanti, che increduli si domandano dove ha trovato tanta fortuna. La verità la conosce solamente il misterioso e schivo uomo.

Questa storia ci insegna che i tesori non si nascondano solamente dietro la fantasia di chi racconta, ma è successo che qualche preziosa scoperta è stata veramente vissuta da qualcuno, sempre per la casualità di come si sono svolte le vicende, in questo territorio, al tempo delle preziose avventure, ancora incontaminato. I maestosi trattori che lavorano oggi in profondità, rivoltando la terra, al tempo di questo racconto, non esistevano e i lavori agricoli erano effettuati solamente superficialmente utilizzando piccoli aratri trainati dai buoi, lasciando sepolta la storia di questi luoghi. Ai taglialegna rimane solamente la possibilità di raccontare l'avventura vissuta durante questo mattino, che certamente non gli cambierà la vita, infatti, per tirare avanti dovranno continuare a faticare nei boschi per molto tempo ancora. Non solo sono stati ciechi, perché non hanno visto il tesoro nascosto, ma la bramosia di scaldarsi li ha resi anche sordi.

La vecchia e calva quercia ha tentato di avvisarli … Non bruciate la memoria dell'antico spirito, che vive dentro di me!



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