BENCICLOPEDIA
I 2 cipressi
FOGLIE
Come foglie, con un soffio di vento, si separano dall'albero fruttuoso della mia mente, fino a raggiungere il vostro giardino, sotto forma di pensieri scritti. Pensieri semplici, che intendono trasmettere il mio stato d'animo, la mia immaginazione, i vari momenti di vita vissuta. Ricordi del presente, memorie del passato, situazioni varie, da me vissute a voi raccontate.
Sulle spighe non cresceranno
i chicchi di grano,
ma racconti
di un tempo lontano.
Piccoli pensieri,
attraverso i quali
io oggi rivivo ieri.
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Fruttamente
Non posseggo terre da arare,
non posseggo animali da allevare,
non sono ricco,neppure povero.
Posseggo una mente da far fruttare!
Non seme che in terra
diviene il raccolto,
ma pensieri che sulla carta,
divengono il racconto.
Sulla Terra i solchi dritti,
sulla carta i righi scritti.
Campo dall'aratro arato,
pagina dalla penna inchiostrato.
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Il mio Regno
È un presto mattino
cip cip canta l'uccellino
dal colmo del camino.
Piove sulla campagna,
la frasca si bagna.
Un timido sole dalla montagna appare,
pian piano la nebbia scompare.
Oltre gli ulivi la macchia,
craaak craaak canta la cornacchia.
Il volo del fagiano,
la corsa del capriolo,
immerso in questa natura,
voglio rimanere solo.
Esce il fumo dal camino,
in lontananza prepara la semina il contadino.
Contemplo il mio regno
seduto sulla sedia di legno.
Un regno da un Dio creato,
da tanta bellezza rimango incantato.
Il sole ha compiuto la sua arcata,
sul ramoscello si posa la capinera,
il giorno lascia il posto alla sera.
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Le piume
Scorre il fiume,
un soffio di vento,
cadono in acqua, dal nido, le piume.
Come vele sono libere di scivolare,
giungeranno presto al mare.
Nel mezzo a quell'immensità,
saranno libere di sognare.
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A caccia con nonno
Della beccaccia
Te ne andavi a caccia.
Al mattino, alla macchia, andavi,
fino al calar del sole non tornavi.
Un giorno con te mi portavi.
Era piccola la capanna,
a me piaceva farci la nanna.
Il trambusto dello sparo mi svegliava,
il volatile, a terra, cascava,
il mio occhio piangente non guardava.
Sulla frasca una pioggia di pallini,
sono belli quando cantano gli uccellini!
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I miei poggi
Le tranquille colline formose,
minacciose onde tempestose.
Dal solleone arse sono le piagge,
come il fuoco bruciano le spiagge.
Spuma dal vento trasportata,
polvere che alla pelle rimani attaccata.
Sparse qua e là sono le case bianche,
sembran tante galleggianti barche.
Aquiloni colorati,
girasoli, dal vento, accarezzati.
Si ripetono le onde,
ora si asciuga… Ora si bagna…
Ora si asciuga… Ora si bagna,
così fa, quando piove,
poi esce il sole, la campagna.
Laggiù la valle lontana,
dove scorre l'Ombrone,
un abisso profondo,
dove il buio è più nero del carbone.
Il crinale dei poggi,
di tanto tempo fa,
il fondale del mare di oggi.
Questo, il mio terreno,
una volta, il mar Tirreno.
Acqua, con il movimento eterno, terra,
nel tuo profondo c'è l'inferno.
Nel lungo cammino mi sono allontanato,
nella vastità mi sono ritrovato.
Da lontano una fioca luce, vedo,
forse un faro sullo scoglio.
Sono salvo… Almeno credo!
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Come dentro una macchina
per scrivere
Sulla scrivania
una pagina del quaderno a righe vedo.
Su quel terreno,
oltre la siepe, cresceva il vigneto.
Righe dritte,
dove si sdraiano le parole scritte.
Filari paralleli,
nel mezzo ai quali,
io oggi, mi rivedo camminare ieri.
La penna si muove
da sinistra verso destra.
Oggi, fa una similitudine, la mia testa.
Ogni lettera disegnata
un'orma, sul terreno, lasciata.
Ogni parola formata
una distanza colmata.
A fine frase colloco il puntino tondo.
Intanto, al filare,
ero giunto in fondo.
Un passaggio di vita racconto.
L'autunnale frutto raccolgo.
In quel passato ieri,
era festa in questo posto.
In questo presente oggi,
io, odoro ancora
il buon profumo di mosto.
Di me stesso sono il burattino.
La penna muove i fili
di quel bambino.
In mezzo ai filari
lui cammina e ride,
ora va avanti, ora va indietro
la macchina per scrive.
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Sangue brado
Molti i cuori appesi.
Pompano sangue nelle vecchie vene,
di quei contadini
che non si sono mai arresi.
Vene come intrecciati tralci.
Da molto tempo
non fanno il loro lavoro le falci.
Alto è, allora, l'orzo selvatico.
Nascosto striscia il veleno antipatico.
La falce taglia il raspo,
tingendosi del rosso aspro.
Guardiana del sacro raccolto,
con il pugnale, punge la vespe.
C'è ancora sangue,
nelle vecchie vene
del contadino Oreste.
Sulla fronte
scivola la goccia di sudore,
era combattuta la vita al podere.
Senza pastore
pascola come un brado gregge.
Non c'è più bastone
che la sorregge.
Vite appese come burattini
ai fili del teatro.
Poco più là riposa, interrato,
l'arrugginito aratro.
Dalla cima della collina laggiù,
l'infuocate frecce
trafiggono i vuoti occhi
del vecchio ovile.
Ormai ho pieno il barile.
Aspro, brado,
ho raccolto le ultime gocce
di un sangue raro.
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