Orme e foglie


A mio nonno, detto il "Mosca".


"Pagine destinate alla lettura di coloro che, udendo echi provenire da una valle lontana, siano spinti dal desiderio di intraprendere il cammino attraverso un sentiero boscato, seguendo le orme impresse nel terreno, testimoni di un passato battagliero".


Commento di apertura

Le pagine che seguiranno raccontano la vera storia di "Seguace di Cristo", componente del popolo plebeo dei "Mosca", razza guerriera distintasi per aver dato i natali a numerosi cavalieri. Per motivi legati al mio mestiere, io mi ero ritrovato a passare da quelle zone, alcuni anni fa. Un giorno avevo conosciuto proprio lui, il protagonista in assoluto di questo scritto. Subito, tra noi due, nasceva una profonda amicizia. Tanto che, nella più totale confidenza, apriva il suo cuore a me, rivelandomi che aveva delle storie da raccontarmi. Un passato che avrebbe poi voluto fissare nel tempo, in qualche modo, così da farlo conoscere ai membri del suo popolo. Purtroppo lui non sapeva né leggere né scrivere e quindi aveva visto in me quella possibilità tanto aspettata, quell'uomo istruito che, per caso, si era ritrovato a passare dal suo villaggio. Gli chiedevo, allora, di iniziare a raccontarmi qualcosa della sua vita, tanto per capire di cosa si trattasse, se valeva veramente la pena di dedicargli il mio tempo, standolo ad ascoltare per giornate intere. "Seguace di Cristo" si metteva a raccontare, solamente alcuni episodi di quegli avvenimenti, ma dopo poco parlare, lo interrompevo subito. Senza spiegare nulla, gli dicevo solamente che accettavo la sua volontà. Mi doveva solo dare del tempo per recuperare della carta Ci saremmo incontrati al mattino seguente, per iniziare a registrare sulle pagine la sua voce. Così stabilito noi facevamo. Le bianche pagine iniziavano a riempirsi.

Giunto alla soglia dei suoi primi quarant'anni, "Seguace di Cristo", si era ritrovato a pensare a com'era stata la sua vita fino a quel momento e facendo una profonda riflessione poteva affermare, con certezza, di considerarla una vera battaglia. Così aveva avvertito il forte desiderio di bloccare nel tempo alcuni


accadimenti, che aveva dovuto affrontare. Questi avevano cambiato il corso della sua vita, alcuni lasciando per sempre orme impresse come cicatrici dentro di lui.

La sua vita aveva delle storie da raccontare, vicende non banali e non importava se, all'inizio, mi sembra tutto così difficile. Lui credeva in loro ed io dovevo trovare il coraggio di mettermi in gioco per aiutarlo.

E allora ecco come gli accadimenti del passato si sono impressi nella sua mente, come le orme lasciate dagli animali sul terreno, poi…


L'inizio del cammino

Età di mezzo, villaggio agricolo di "Terra sopra il fiume".

Erano trascorsi quattro secoli e un quarto dall'inizio del primo millennio. Era l'anno Santo del Rinnovamento delle coscienze e della Riconciliazione collettiva. Purtroppo una guerra finiva, un'altra iniziava. Tutti conflitti sporchi e crudeli, combattuti senza un perché… Questo lui pensava.

Durante il periodo del solleone nasceva "Seguace di Cristo", rivelato poi unico figlio per i suoi capi famiglia. Era nato nel segno del potere. Le sue migliori doti erano la volontà e la determinazione. Come il suo segno zodiacale si riteneva un cacciatore del sesso femminile. Si sentiva molto attratto dalla conquista, che fosse essa rivolta alla sua lei, o riguardasse altro tipo di preda in battaglia. Si sentiva orgoglioso e coraggioso. Tutte doti che lo aiuteranno, nella sua vita terrena, a comportarsi come un capo, trasformandosi in un vero leader autoritario nelle sue lotte contro gli altri. Questo suo somigliare caratterialmente al re della savana, lo portava a sognare di andare, almeno per una volta nella vita, nel continente nero per ritrovarsi al tramonto a rifocillarsi insieme al popolo locale.

Ora smettiamo di sognare e facciamo ritorno alla realtà.

Suo padre, "Sasso Squadrato Secondo", aveva contribuito alla costruzione della strada carrareccia, che portava al suo villaggio. Portava un nome importante, ricco di storia. Era il nome che Gesù aveva dato al primo pontefice della storia, dicendogli che sulla pietra avrebbe edificato la sua Chiesa. Proprio come la pietra era forte e resistente. Aveva tante idee per la testa, era abile nelle attività manuali, gli piaceva stare all'aria aperta e, come a suo figlio, fare lunghe passeggiate.


Sua madre "Creatura", invece, era la massaia del casato. Era una lavoratrice instancabile, molto dinamica e creativa, soprattutto nel preparare le vivande ed era sempre pronta a collaborare per aiutare tutti. Per questo le capitava, infatti, di essere coinvolta in diverse attività contemporaneamente… Sembrava essere una costante della sua vita! Era una persona trasparente come l'acqua, mostrando il suo essere interiore, svelando sempre cosa pensava e sentiva. Soprattutto con la sua praticità e la tanta volontà era sempre in grado di compiere qualsiasi attività, anche faticosa, che di solito la maggior parte degli altri individui si rifiutavano di eseguire.

Tornando al protagonista, nelle sue vene scorreva il sangue di grandi cavalieri. Il nome del suo casato aveva un ceppo particolarmente importante in quella magica terra immersa nel periodo medievale, di cui aveva riscontri storici documentati risalenti all'anno 1178.

Lui credeva molto in quel periodo storico in cui viveva. Fin da piccolo era sempre stato attratto da quell'affascinante e intrigante mondo medievale, fin dai tempi della sua educazione, con i suoi castelli nascosti nella nebbia e avvolti da leggende, miti e misteri. Tutte atmosfere ricche di fascino, tipiche dell'età di mezzo. Con i suoi protagonisti, come i falconieri e i loro rapaci. L'esibizione in volo di questi ultimi e le mostre delle armi come la spada, l'arco e la balestra, delle quali era molto attratto. Riteneva, infatti, che la caccia, così come la praticasse il suo popolo, fosse corretta nei confronti degli animali. Questo pensiero perché, se anche dette armi non facevano trambusto e quindi non davano la possibilità agli altri animali di scappare, era anche vero, però, che queste avevano a disposizione una sola freccia alla volta.

Viveva in una dimora fatta di sassi, paglia e argilla posta in campagna, disposta su due livelli con numerosi spazi sia interni


che esterni. Era in ordine, guarnita con cura, pulita e luminosa. Da qui lui traeva beneficio da un notevole spettacolo panoramico e, la sera, da un incantevole tramonto. Si trovava in una piccola frazione situata nella parte meridionale del territorio comunale, confinata dal fiume principale e da un imprevedibile e impetuoso torrente. Prendeva il nome dalle piccole fortificazioni che si trovavano lungo il percorso principale, costruite per la difesa dei viandanti nel periodo romano. Queste costruzioni erano la testimonianza di un antico passato, così come lo erano alcuni borghi agricoli, allo stesso modo di quello in cui viveva, costruito in posizione collinare dominante.

L'economia del luogo si basava esclusivamente sul settore agricolo con presenza di pascoli, distese di grano, viti e oliveti. Qualche anno indietro, il luogo acquistava grande interesse storico perché erano stati ritrovati i resti fossili di alcuni mammiferi marini erbivori, vissuti nella zona circa quattro milioni e mezzo di anni prima. Nel periodo pliocenico, infatti, gli attuali affioramenti sabbiosi costituivano il fondale del mar tirreno. Poi lassù, dal punto più alto dell'intero territorio, si ergeva, a dominio della valle del fiume, maestoso il complesso fortificato della rocca principale. Una torre di guardia, trasformata in seguito nel campanile della chiesa. Furono realizzate tra il XII e il XIII secolo per delimitare il borgo del comune medioevale, nato come possesso di un'abbazia vicina, poi passava sotto il dominio del potente casato di quel periodo. L'uccisione del signore proprietario decideva il passaggio del castello sotto un potere maggiore. Dopo alcune vicende entrava a far parte dei beni signorili di "Terra Antica". Ecco… Questo era il luogo dove risiedeva "Seguace di Cristo". Ci viveva da quando aveva sei anni. Prima abitava in un villaggio più grande, poi però i suoi capi famiglia, non riuscendo a inserirsi in quella vita fatta di saccheggi e prepotenze, decisero di emigrare in altro luogo. A oggi, a distanza di diversi anni, poteva affermare che


quella si è rilevata la scelta giusta Gli piaceva vivere immerso nella natura, in un luogo che si distingueva per la scarsità di presenza umana. Non riusciva neppure ad immaginarsi come sarebbe stata la sua vita nel grande villaggio, circondato da molte dimore e da tanta confusione. Individui dello stesso borgo, ma che magari neppure avrebbe conosciuto, negandosi la possibilità di comprendere un posto da apprezzare per la pace, l'isolamento e la natura ancora incontaminata.

Lui amava la natura e questa amava lui… Lo chiamava! Nelle sere d'estate, grazie al canto di un simpatico animaletto, l'invocazione si diffondeva ovunque, in un coro unanime… "CRI, CRI… CRI, CRI… CRI, CRI…" si sentiva il "Cristo" di quel posto.

1^ Orma

Servizio militare

L'estate non era ancora finita quando un giorno, appena dopo aver pasteggiato, si presentava a casa il messaggero. Lui quel giorno non si era allontanato da casa e se ne stava all'ombra di una pianta. L'ambasciatore scese da cavallo e gli andava incontro dicendogli: "Tieni, questo messaggio è per te". Era lui! Bello come il sole. Riportava solamente poche righe, che poi fece leggere a suo padre. Avrebbe fatto parte del dodicesimo contingente di quell'anno. Si doveva presentare al mattino di un giorno di metà inverno del medesimo anno, presso una fortificazione situata al nord, nel Regno di "Terra Stretta". Per lui c'era una carovana che stava per passare, dalla città di "Terra sotto il Mare", per prenderlo e portarlo via. Il convoglio partiva dalla città a notte inoltrata. Per accompagnarlo andavano con lui suo padre "Sasso Squadrato Secondo" e il fratello di suo padre "Dono di Dio Libero". Con lui dei sacchi pieni di panni civili. Il convoglio era tutto al completo. Tutti ragazzi che come lui andavano incontro ad un destino ignoto. "Seguace di Cristo" ero sereno, soddisfatto, perché quel momento, che aspettavo da molto tempo, era arrivato. Giunti a destinazione aveva ancora del tempo a disposizione, per poter mangiare qualche cosa insieme a "Sasso Squadrato Secondo" e a "Dono di Dio Libero" e scambiarsi gli ultimi saluti, per poi subito dopo incamminarsi in direzione della fortificazione. Arrivato all'accesso, l'attenzione andò a un'insegna di presentazione, appesa al muro di cinta. Chiedeva ad altri di leggere quella scritta. Riportava che la rocca era gestita dal reggimento di fanteria dell'Esercito del "Regno tra i Mari", la cui unità svolgeva funzioni di Centro Addestramento Soldati, ossia il reclutamento ed


addestramento per i fanti del Regno. Soprattutto era una "fortificazione operativa e punitiva". Non prometteva niente di buono. Comunque varcava l'entrata e si metteva a disposizione dei superiori. Quel primo giorno era tutto dedicato alle normali prassi d'igiene personale. Al taglio dei capelli, all'assegnazione del posto branda, all'interno di un immenso ambiente e della gamella, un fodero con dentro un coltello, un cucchiaio, una forchetta ed una coppa, da portarsela con sé per tutta la durata del servizio militare. Poi erano accompagnati ai rispettivi posti branda, dove i superiori gli insegnavano a come rifarla al mattino. Lo chiamavano il "cubo", consisteva nel ripiegare in due il pagliericcio e avvolgerlo con le lenzuola e le coperte. Doveva essere perfetto, non si potevano notare orecchie che sporgevano, altrimenti in vista c'era una punizione, che consisteva nell'affidarti qualche servizio da svolgere: fare il piantone durante la notte, oppure svolgere il servizio del refettorio e altri ancora. Per chi non lo sapesse il piantone non era un soldato che veniva scelto per farlo piangere tutta la notte. Tutte le notti, a turno, dovevano effettuare un servizio di sorveglianza, all'interno di quello stanzone, controllare che tutti rimanessero nella loro branda, non avvenissero disordini e quando qualcuno doveva fare pipì, lo doveva chiedere, perché nessuno poteva prendere iniziative personali. Le stesse punizioni se le beccavano anche se, ogni mattino, non si tagliavano la barba perfettamente. Prima dell'alza stendardo, infatti, loro tutti inquadrati, venivamo controllati ad uno ad uno, se i pantaloni e la casacca erano stati indossati correttamente. Poi avveniva il controllo della barba, che consisteva nel passare la lama del coltello sul viso per sentire se la pelle era liscia o ruvida. Questi controlli lui li aveva sempre superati bene, senza problemi, con buoni risultati. Che fatica però ottenerli! Di mattino avevano poco tempo per sistemare il giaciglio, vestirsi, tagliarsi la


barba e uscire dalla camerata e inquadrarsi per marciare verso il refettorio dove fare il primo pasto della giornata. Per lui era un inferno tagliarsi la barba, con quel golf dal colletto alto. Allora elaborava una strategia di sopravvivenza. Iniziava a radersi la sera quando andavano in libera uscita. Era consuetudine frequentare un locale di ritrovo, situato nel centro di quel villaggio, dove lui con la scusa di andare nel vespasiano, si recava in realtà a tagliarsi la barba. L'occorrente lo nascondeva sotto i vestiti. Così bastava che al mattino si effettuasse una sistemata, anche veloce, che risultava perfetto. Il problema era risolto. Comunque facciamo un passo indietro e ritorniamo al primo mattino. Alla prima levata. "SVEGLIA! SVEGLIA!" all'improvviso urla impressionanti riecheggiavano in tutto l'ambiente, poi giù calci alle brande, tanto per fargli capire che non erano a casa. I bei tempi con i loro agi erano finiti. Loro erano i signori che comandavano, ai quali tutti dovevano ubbidire, altrimenti erano guai. In quello stesso momento "Seguace di Cristo" capiva che a lui di servire il suo Regno, non gliene sarebbe interessato niente. Era troppo abituato al suo benessere, alle sue comodità. Abituarsi a quella vita, si dimostrava, fin da subito, molto complicato e poi, se quello era l'inizio…Figuriamoci il continuo!

Intanto lui si canticchiava nella mente un motivetto dedicato all'aurora, a lui, tanto cara che scandiva un altro giorno pesante che iniziava, ma che poi finiva e quindi un giorno in meno alla promessa al Regno con il conseguente periodo di libertà. Non sapeva se quel sogno che faceva tutte le notti si sarebbe mai avverato. Lui però avrebbe continuato a sognare dal profondo del suo cuore, vivendo per aspettare l'ultima aurora, vista da dentro quell'alto recinto, per poi uscire fuori e, finalmente, respirare un'aria nuova.


Erano inquadrati, poi marciavano e alla fine allineati nuovamente, per tutto quello che facevano, dall'alza stendardo, al primo pasto, all'addestramento militare, all'esercizio corporeo. Tutti i giorni erano uguali. Ripetevano le operazioni ogni dì, per circa quarantacinque giorni. Fino a giungere al tanto aspettato giorno della "promessa". Alla cerimonia assistevano suo padre e la sua amorosa del momento. In tutto quell'arco di tempo lui non era mai potuto tornare a casa per una breve libertà perché, purtroppo, un giorno era stato punito. La sua colpa? Aver assunto per un attimo una posizione un po' troppo civile e poco militare, sulle scale dell'entrata dell'ambiente dove vivevano e dormivano. Comunque era ancora vivo, anche se era dimagrito notevolmente e ora era lì, inquadrato, in quell'immenso spiazzo. Uniforme impeccabile e arma stretta al petto, a servire quell'emozionante rito, che consacrava la loro promessa di fedeltà e devozione al loro amato e caro Regno. Ma all'ordine impartitogli, dopo un lungo discorso patriottico, dal loro superiore… "DITE LO GIURO!", un coro unitario e assordante, scandiva la frase… "L'HO DURO!" Indubitabile, la rima la faceva e poi nell'urlo rimbombante non si notava la differenza. Certo, quello che usciva dalle loro bocche poco si sposava con i valori patriottici, che gli erano stati insegnati durante il periodo di addestramento! Per tutto quel periodo "Seguace di Cristo", sapendo che la sua gente avrebbe, ancora, avuto bisogno di lui, era rimasto legato alla vita. Scoprendo quanto fosse buono l'odore di neve, sfidava quel doloroso luogo privo di amabili profumi, evitando, così, di toccare il fondo nel vuoto che c'era dentro il suo pensiero.

Comunque avevano terminato e si apprestavano a marciare verso il deposito armi per la loro riconsegna. Dopodiché tutti ai rispettivi posti branda per togliersi le uniformi, indossare i panni civili e raggiungere i loro cari fuori dalla fortificazione, salire sulla


prima carovana disponibile e via verso casa, per alcuni giorni di libertà…Ben guadagnati. I giorni volavano tra spensieratezza, riposo e svago. Purtroppo però arrivava anche il giorno che doveva ripresentarsi alla rocca, per conoscere quale sarebbe stato il suo destino, o meglio la sua destinazione. Una qualsiasi roccaforte posta in qualche luogo, il più inimmaginabile, del nostro intero Regno. Nord, centro, sud, poteva capitargli di tutto. Quel giorno erano tutti seduti per terra, ad ascoltare, uno per uno a quale complesso erano stati assegnati per lo svolgimento dell'effettivo servizio militare. Dopo tanto aspettare, in uno stato d'ansia pazzesco, arrivava anche il suo momento. Mentre gli era letto il verdetto, lui dentro di sé sperava vivamente che gli fosse stato assegnato un posto al centro, ma purtroppo quello che udiva erano nomi ben diversi e lontani. La sua destinazione era un centro di rifornimento e cavalleria sperso tra i boschi e le risaie del nord. Una delusione logorante. Si sentiva, nei primi momenti, come un vegetale, privo di ogni cognizione sensoriale. Il tutto esasperato dai commenti bastardi dei superiori. Per provare il suo carattere e il suo stato d'animo gli spiegavano che quella era una fortezza operativa punitiva, dove la vita sarebbe stata tutt'altro che facile. A lui, le loro parole, mettevano solo paura. Chissà se era tutto vero? Poi iniziavano giorni terribili. Si sforzava di capire, di chiedere notizie. Faceva di tutto per cercare di conoscere la verità su quel misterioso posto, ma non riusciva ad avere le notizie giuste. Era il buio completo. Stava andando verso un luogo, di cui non sapeva niente, solo parole preoccupanti di chi, forse voleva solo mettergli paura. In lui viveva l'incertezza, grazie alla quale nutriva un minimo di speranza, l'unica sensazione che lo faceva sentire ancora vivo. Intanto, una sera, mentre passeggiava, in libera uscita per le vie del villaggio, apprendeva la triste notizia che un brutto male si era portato via un bravissimo cantastorie, da lui


amato per le sue cantiche uniche. Così, con la tristezza nell'anima, arrivava al giorno della partenza. Carichi come muli e tutti inquadrati, come un vero plotone, erano scortati nel luogo dove sarebbe passata la carovana. Sullo spiazzo un'infinità di fardelli e sacche militari piene di panni civili e militari e in mano un tascapane con dentro un pezzo di pane e un piccolo trancio di pesce essiccato… Era tutto il loro pranzo! Ora che era là davanti al tracciato ad aspettare il convoglio, mi descriveva il complesso dove aveva svolto il periodo di addestramento. Era costituito da una fortezza rettangolare e a nord di questa si trovava il cancello d'entrata, unito da due manufatti. A est della fortezza si ergevano altri due fabbricati per il condottiero della rocca. All'interno, oltre allo spiazzo dell'adunata, erano presenti dodici capanni e a sud il refettorio per le truppe del reggimento. L'armeria era localizzata sotto il campo per l'addestramento fisico. Descrizione breve e semplice, ma era arrivata la carovana e doveva salire sù. Si posizionava dentro il barroccio, insieme ad altri soldati che andavano dove si dirigeva lui. I carri partivano, convogliandosi verso le grandi risaie. Dopo un breve tratto lasciavano la "Terra Stretta" ed entravano nella "Terra ai piedi della Montagna". Lì il paesaggio cambiava. Da uno scenario di mare passavano a uno di montagna, completamente diverso. Certamente più triste, anche perché erano in pieno inverno e da una fessura, presente nel legno, riusciva a vedere solo i boschi imbiancati dalla neve che stava scendendo giù. Già, stava pure nevicando. Più triste di così non riusciva ad immaginarsi altra situazione disperata. Stava vivendo una situazione surreale. Anche se non ci era mai stato e conosceva solamente grazie ad alcuni racconti fatti dagli anziani del suo villaggio, sia per i paesaggi incontrati, sia per la stagione invernale, gli sembrava di essere sopra la famosa carovana della Transiberiana. Questa in un viaggio interminabile, attraversava la


steppa russa e la Siberia. Dopo qualche tempo passato giungevano a destinazione, una piccola zona di sosta spersa nella campagna di "Terra ai piedi della Montagna". Qui li aspettavano due barrocci per portarli alla destinazione finale. Dopo aver percorso un tratto di sentiero anonimo, senza incontrare nessun cartello che la indicasse, arrivavano all'ingresso della nuova roccaforte. L'enorme cancello metallico si apriva da sinistra verso destra. Il barroccio varcava l'ingresso e, passando il posto di guardia, continuava il suo viaggio, percorrendo un sentiero in terra battuta, immerso tra un'infinità di alberi. "Seguace di Cristo" ricorda che si stava facendo buio e l'unica cosa che riusciva a capire, da pochi fuggevoli sguardi rivolti alle strutture incontrate, che era una vecchia rocca e in un campo c'erano collocati molti carri da battaglia. Giungevano al manufatto principale, dove si trovavano alloggiati i posti branda. Ad aspettarli c'erano i "nonni", pronti a fargli passare la prima notte un inferno, con le loro burle. Comunque, prima di andare loro in pasto, come nelle bocche dei leoni, la prima azione che dovevano fare era quella di procurarsi le coperte. Poi salire al piano superiore e posizionarsi nelle zone dove dormire, che venivano assegnate sul momento. Lui doveva dividere quell'ambiente, formato da quattro posti branda, con un altro soldato arrivato insieme e ad altri militari più anziani. Fortunatamente quelli avevano altro cui pensare, che a fargli gli stupidi scherni. Erano in crisi con le loro rispettive amorose e quindi giù di morale peggio di loro, che erano appena arrivati. Gli altri compagni di contingente erano stati più fortunati. Passavano la notte a subire ogni tipo di canzonature e di umiliazione. La prima notte scorreva abbastanza tranquilla. Il mattino seguente, gli anziani gli spiegavano che ogni giorno, a turno, dovevamo pulire il loro ambiente, prima di scendere per l'adunata e l'alza vessillo. Dopo scendevano nello spiazzo per


inquadrarsi sotto lo stendardo colorato. Finito il cantico e la chiamata per nome, erano scortati al refettorio per il primo pasto della giornata. Poi ritornavano alla rocca principale per l'assegnazione del mestiere, che ognuno di loro doveva svolgere fino al giorno della fine del militare. Il mio protagonista era assegnato al deposito, dove erano riparati i vari carri militari. Lì, recuperando alcuni oggetti di scarto, costruiva la sua stecca, cioè un registro del tempo. Serviva a loro soldati per ricordare sia il tempo svolto, sia il periodo che rimaneva alla fine. La sua stecca era diversa da tutte le altre. Non era un semplice filo colorato, dove al compimento di una parte del tempo, il soldato faceva un nodo. La sua era più complessa. Era formata da una catenella di ferro, dove dentro le maglie scorreva il filo colorato e dove le parti di tempo erano rappresentate dall'inserimento di piccoli frammenti di ferro. Reliquie recuperate dallo smontaggio dei carri da battaglia. A parte questa breve parentesi, tutti loro lavoravano dal mattino, dopo aver compiuto il primo pasto, fino la sera. A quel punto erano liberi di muoversi all'interno della fortezza come meglio gli piaceva. Lui stesso poteva ritirarsi nella zona dove dormire, andare al locale di ritrovo tra soldati, oppure a correre per i vari sentieri che si intrecciavano sotto quella immensa coltre d'alberi. La maggior parte delle volte era proprio questo ciò che faceva. Andare a correre lo aiutava a scaricare la tensione, facendogli bene sia al corpo che alla mente. Era stato durante queste sue escursioni che aveva conosciuto meglio com'era strutturato quel posto. Con grande sorpresa e incredulità quello che scopriva era uno scenario inimmaginabile. Centinaia, l'uno accanto all'altro, allineati lungo più file. Non riusciva a contarli. Una scena incredibile, migliaia di carri da guerriglia schierati tutt'insieme nei campi sterminati. Tali armamenti, negli ultimi tempi, erano stati accantonati senza più curarsi del loro destino. Tanti terreni definiti da palizzate, pieni di


carri buttati ovunque, con alberi e cespugli che li avvolgevano. Sembrava di vivere all'interno di qualche passatempo da tavolo, Purtroppo però lì i protagonisti non erano i minuscoli carri, piccoli come sassolini, pronti a invadere qualche territorio. Quelli erano veri giganti di legno e ferro, ancora capaci di combattere e fare strage sui campi di battaglia!

Osservando poi, tra le file, poteva comprendere meglio le storie delle missioni di ogni barroccio. Sulle fiancate di ognuno erano sempre ben leggibili gli emblemi delle varie scorribande, anche quelle svolte in territori fuori dal loro Regno. Alcuni dei carri migliori erano ceduti, credo a eserciti di altri regni. Non poteva mai capire la verità della loro effettiva destinazione, anche perché lui non aveva mai fatto parte a tali operazioni. L'unica cosa certa era che, all'interno della fortezza, passava un tracciato, di tanto in tanto percorso da questi barrocci. Erano scelti un certo numero, Trainati da cavalli venivano fatti uscire e portati via verso qualche destinazione. Proprio durante un'operazione di queste, qualche tempo prima, era stato lo scenario macabro della morte di un soldato che, assistendo alle manovre, veniva travolto da un carro in movimento. Da qui tante storie erano narrate dai soldati semplici, ma anche dai superiori, circa il girovagare dello spirito del giovane soldato per gli spettrali boschi. Gli si narrava anche di paglia e corde intrecciate, durante certe notti. Poi storie di gnomi e folletti, che sembravano abitassero proprio in quei luoghi. La storia più inquietante? La vicenda raccontata da un superiore, avveratasi una sera di guardia al cancello d'entrata. L'episodio si consumava qualche tempo prima proprio lì al cancello d'ingresso, una sera, durante la quale era lui in servizio come ufficiale a capo del corpo di guardia. Durante la notte era fuori che stava compiendo il servizio di osservazione dell'area, quando all'improvviso qualcosa


attirava la sua l'attenzione. Nel bosco limitrofo c'era qualcosa che si muoveva, allora provava a tirargli un sasso. Se fosse stato un animale si sarebbe spaventato e fuggito. Invece niente, regnava il silenzio completo. Capiva quindi che poteva essere un ficcanaso. Allora assumeva un comportamento più risoluto, dettato dalle norme militari di comportamento per quel caso specifico. Afferrava la balestra e inizia a urlare… "ALTO LÀ, CHI VA LÀ, FERMO O SPARO!", ma la presenza continuava a vagheggiare tra gli alberi, senza allontanarsi. Allora ancora una volta… "ALTO LÀ, CHI VA LÀ, FERMO O SPARO!". Niente, quella figura non lo stava ad ascoltare. Si trovava costretto a sparare il primo colpo in aria e non ottenendo il risultato sperato, era costretto a spararne un primo e poi un secondo in direzione di quella presenza. Era convinto di averla trafitta, ma con grande sorpresa, quell'essere continuava a muoversi e solo in quel momento si avvicinava ancora di più. Il protagonista di questa vicenda era vicino, riusciva a vederla bene. Con grande stupore e spavento percepiva che non era un uomo, ma una figura antropomorfa, dalla quale si potevano identificare alcune caratteristiche umane. Un fantasma, tanto per farla breve. Lo spettro non mostrava alcun segno di paura, ma dopo essersi fatto vedere, all'improvviso rientrava nel bosco, scomparendo tra gli alberi e il nero della notte. L'ufficiale mostrava, senza vergognarsi, i segni della paura che quella strana notte gli avevano lasciato. Quella è stata l'unica volta, e fino a quel momento l'ultima volta, che lo spirito era apparso. Una storia veramente terrificante. Se si somma al carattere lugubre del posto, alle notti invernali, dove tutto era avvolto dalla nebbia, in uno scenario degno dell'orrore più spaventoso, a "Seguace di Cristo" gli faceva gelare il sangue ogni volta che entrava in servizio di guardia. Quando calava la notte e si ritrovava a compiere il suo turno di sentinella, era inevitabile che il


pensiero andasse a quella storia, com'era inevitabile che lo sguardo era sempre rivolto verso il bosco. Ogni turno notturno era un dramma. Un tempo che non passava mai, diviso tra noia, paura e l'arma, che teneva sempre stretta al petto. A sua disposizione due custodie piene di frecce, ma questo non serviva a farlo stare tranquillo. Si chiedeva come si sarebbe comportato se quello spettro decideva di mostrarsi proprio a lui. Lo avrebbe affrontato da vero soldato, facendogli fuoco come aveva eseguito il suo superiore? Oppure sarebbe scappato a nascondersi all'interno del corpo di guardia? Con ogni probabilità sarebbe rimasto impietrito, con tutti i muscoli paralizzati, oppure avrebbe perso i sensi. Tutti dubbi che, per fortuna, sono rimasti tali, irrisolti poiché, durante la sua permanenza, non aveva mai avuto il piacere di conoscere quel simpaticone di fantasma.

Un'altra storia raccontata riguardava la presenza di manufatti destinati, in tempi andati a stalle per il ricovero dei cavalli da battaglia, localizzate all'interno del bosco. L'impresa prevedeva la partenza dal posto di guardia, localizzato all'ingresso della caserma. Individuare poi nelle immediate vicinanze il sentiero giusto tra la fitta vegetazione, percorrerlo per un breve tratto, fino giungere alle vecchie stalle abbandonate. La storia lo faceva incuriosire. L'idea di andare alla ricerca di quelle scuderie in disuso ormai da molto tempo, stuzzicava la sua fantasia. Chissà quale mistero avvolgeva tali realizzazioni? Di notte il bosco gli metteva terrore, ma di giorno era solo un'immensa distesa di alberi abitata da soli animali. Durante un servizio di guardia, allora, quando il turno lo copriva un altro soldato, lui e un terzo militare s'inoltravano all'interno della selva per intraprendere quella interessante escursione. Il sentiero non era altro che un corridoio stretto di terra battuta nel corso degli anni, immerso tra le fitte piante. Lo percorrevano con paura di smarrirsi. Avevano a


disposizione solo poco tempo, poi dovevano ritornare per dare il cambio alla guardia. Dopo un non breve cammino, scorgevano tra la vegetazione le stalle in rovina. Erano completamente pericolanti, senza porte, con la vegetazione che le avvolgeva e le entrava dentro. Qui gli alberi erano così vicini che i raggi del sole avevano difficoltà a filtrare, rendendo l'atmosfera buia e tetra. Sembrava un altro mondo. Spinto dal coraggio e dalla curiosità lui si spostava all'interno per vedere cosa era presente. Tutto faceva pensare a una normalissima stalla, con la mangiatoia, alcune catene arrugginite e nient'altro. C'era qualcosa che attirava la sua attenzione. Una tavoletta di legno ben lavorata, con impressa in nero la parola "Fanfulla". Era sicuramente un nome di un cavallo che in tempi andati, molto prima che arrivasse lui, aveva servito il Regno. Svolgendo, anche l'animale, il servizio militare, accompagnando l'uomo in qualche scorribanda. Il reperto era più che interessante. Decideva allora che doveva essere sua. Così la portava via con sé al posto di guardia. Qui senza farsi vedere da nessuno, lo nascondeva in un posto sicuro, con la promessa che sarebbe ripassato a prenderlo l'ultimo giorno di permanenza per portarselo a casa.

Quel giorno non tutto andava come lui aveva sperato. Venivano infatti scortati fuori dalla rocca con i carri, fino a quella zona dove erano giunti il primo giorno, senza avere la possibilità di poter scendere e prendersi ciò che pensava gli appartenesse. Forse, però, il destino di quella tavoletta era di restare per sempre in quel luogo, perché solo a quel posto apparteneva. Nulla poteva essere portato via da un semplice intruso come lui, da un soldato come tanti, che si erano ritrovati a passare di là solo per un breve tempo. I giorni iniziavano a sommarsi l'uno con l'altro, trascorsi tra il deposito, i servizi di guardia e un po' di svago. Un giorno però sembrava diverso dagli altri, forse giunto per cambiare il corso del suo servizio militare. Stava svolgendo il suo compito assegnato,


quando all'improvviso iniziava a fargli male lo stomaco. Il dolore aumentava sempre di più. Per fortuna dopo poco tempo arrivava il momento di fine servizio, così che poteva andarsene diretto nella zona del dormitorio e sdraiarsi sulla branda, sperando che quel malessere cessasse. Purtroppo, non solo lo stomaco non passava, ma si aggiungeva una certa sensazione di spossatezza, dovuta a vaghi sintomi d'innalzamento della temperatura. Allora, facendosi coraggio, prendeva la decisione di recarsi in un'altra ala, posta al piano inferiore di dove era alloggiato lui. Qui si trovava il posto assegnato a un soldato più anziano, che svolgeva servizio di accompagnamento all'interno della roccaforte. Gentilmente gli spiegava il problema e gli chiedeva se lo poteva accompagnare al luogo dove prestava servizio il medico del campo. Con altrettanta gentilezza questo lasciava il suo momento di riposo e usciva a prendere il barroccio. Intanto lui ritornava al suo posto branda per prepararsi un po' di occorrente in vista di una probabile permanenza in astanteria. Scendeva giù per le scale, poi fuori saliva sul carro in direzione zona medica, posta in altro luogo, distante un certo tratto dal complesso principale. Arrivato veniva subito visitato dal medico. Al momento non aveva segni di patologie varie, ma il mal di stomaco non si placava e la febbre sembrava alta. Decideva di trattenerlo per qualche giorno, per monitorare l'evolversi della situazione. Si disponeva in un locale, dove erano presenti tre brande, ma al momento era solo. Si spogliava del vestiario militare, per indossare una calzamaglia più comoda. Era pronto per iniziare un periodo di permanenza. Aveva perso completamente l'appetito. Sia al pasto principale che a quello della sera, mangiava pochissimo. Nei primi giorni riusciva solo a bere acqua. Finalmente lo stomaco smetteva di dargli tormento, ma la febbre non accennava a calare anzi, il suo calore cutaneo rimaneva stabile, nonostante l'assunzione di preparati indicati per


trattare i sintomi dell'alta temperatura corporea. Questo persistere insistentemente dell'alta temperatura, sebbene le giornaliere cure, gli faceva riflettere, anche in modo pensieroso, che quella misteriosa febbre, poteva avere una diversa origine. Nei due giorni successivi giungevano le prime complicazioni. Una congiuntivite a entrambi gli occhi, con lacrimazione intensa. Compariva poi una tosse secca, per il momento contenuta. Un gran malessere generale, ma il fatto ancora più sconcertante era che il suo calore della pelle tendeva addirittura ad aumentare. Non essendo ancora stato interessato da reazioni esterne o segni che potessero far pensare a qualche malattia infettiva, il medico non riusciva a riconoscere che tipo di patologia lo stava colpendo. La tosse si faceva sempre più insistente. Sembrava un cane che abbaiava giorno e notte e ogni volta che tossiva era come se una fiamma di fuoco gli partiva dal profondo dei polmoni e gli saliva in bocca. Aveva l'inferno dentro di sé. Aveva poi la gola completamente asciutta, secca, senza più neppure una goccia di saliva, si stava disidratando. Purtroppo non riusciva ad assumere i liquidi necessari perché aveva la gola completamente avvolta dalle fiamme, che non lasciava passare neppure una goccia d'acqua. Anche mangiare era un dramma. Sia il giorno che la sera, tutto quello che riusciva a mandare giù, con molta fatica, era solamente uno spicchio di mela. Si ricorda che per riuscire ad avere un po' di refrigerio, metteva la boccia dell'acqua sulla soglia, fuori dalla finestra. La neve e il gelo la raffreddavano. Così la metteva sulla fronte, oppure dietro al collo. Era una sensazione piacevolissima di profondo benessere. La barba intanto gli era cresciuta, iniziava a dargli fastidio, così una mattina decise di alzarsi dalla branda e andare nel vespasiano per radersi. Davanti alla pelle riflettente si osservava il viso, gli occhi, le orecchie, il collo, se riusciva a scorgere qualche segno premonitore, ma niente, la cute era pulita. All'improvviso però lo sguardo gli cadeva sul braccio


sinistro. Con grande stupore e sorpresa notava che era completamente rosso, come bruciato dal sole, lo stesso valeva per l'altro braccio. Si tirava su la maglia e anche il petto e la schiena erano rossi. Con un'osservazione più acuta notava che non era un colorito uniforme, come una bruciatura, appunto. Questo effetto omogeneo era dato dalla manifestazione cutanea tramutata in piccolissime macchioline di colore rosso vivo, vicinissime tra loro, che avevano la caratteristica di collegarsi tra loro, assumendo l'aspetto di grandi macchie. Chiamava immediatamente il medico che, appena prendeva visione di quel colorito, si pronunciava con certezza. Si trattava di morbillo. A quel punto gli spiegava che si sarebbe messo subito in contatto con il nosocomio militare, posto nella città vicina, tramite messaggero, per sapere se c'era un posto libero. Appena possibile sarebbe stato trasferito. Il mattino seguente, arrivava il via libera. Poteva trasferirsi per essere curato e assistito nel miglior modo possibile. Prima di salire sul carro da trasporto, lo tastava per controllargli la febbre. Da non credere! Secondo la sua esperienza, emanava un forte calore. Sembrava una febbre da cavallo! Il barroccio non era il massimo della comodità e con quella febbre alle stelle, gli sembrava di avere la testa schiacciata sotto i sassi. Il corpo invece completamente imbalsamato, attraversato da un malessere indescrivibile e mai provato prima di allora. Ogni volta poi che chiudeva gli occhi, vedeva una realtà completamente distorta. Montagne e rocce enormi che gli andavano incontro. La testa poi gli rimbombava come se fosse dentro ad una campana. Finalmente dopo quel viaggio massacrante, sbattuto a destra e a sinistra dal piccolo e freddo carro, giungevano al nosocomio. Era preso in carico dalle autorità del luogo e accompagnato al suo posto branda, in una zona d'isolamento. Immediatamente si sistemava in branda, con l'obbligo di non alzarsi, per nessuna ragione. I medici iniziavano


immediatamente a somministrargli dei preparati specifici, al fine di contrastare la sua disidratazione. Appena finiti, subito altri dietro. Era un continuo. Dopo iniziavano anche con un medicinale in tavolette essiccate. Erano dei siluri, grandi quanto le frecce delle balestre che usava durante i servizi di guardia. Ci voleva un gran coraggio a mandarle giù, ma naturalmente capiva che erano per la sua guarigione. Chi lo assisteva? Non ci crederete mai. Una religiosa. Una donna di Dio. Di mezza età, piccolina di statura e mingherlina fisicamente, ma con un temperamento d'acciaio, un vero comandante di ferro. Non gli dava via d'uscita e modo di respirare. Finita una medicina, via subito un'altra, un vero personaggio, non molto comune. Il contingente era comandato solo da lei. Nel periodo che era dovuto stare immobile, aveva contatti solo con lei, a parte qualche sporadica visita dei medici. Grazie alla cura la febbre iniziava a placarsi e nel giro di pochi giorni era trasferito dall'isolamento alla zona comune. Credeva di essere solo o comunque in pochi malati, ma appena varcava l'enorme porta, con grande stupore, gli si mostrava agli occhi uno scenario pazzesco. Un enorme ambiente rettangolare pieno di brande, posti a destra e a sinistra del passaggio centrale. Un'infinità di posti tutti occupati da soldati, che come lui avevano contratto la malattia infettiva del morbillo. Si ricordava benissimo di un giorno durante il quale riceveva la visita di "Sasso Squadrato Secondo" e di "Dono di Dio Libero". La religiosa lo andava a informare dell'evento e ad aiutarlo a uscire dall'ambiente per unirsi a loro in un'altra zona. Con tutte quelle medicine che assumeva, era debolissimo fisicamente e nonostante le cure, gli permaneva ancora quella tosse allucinante. Un vero fantasma che girovagava per i vari passaggi. Era contento di vederli, ma non riusciva a essere loro di molta compagnia. Fuori dalla branda si sentiva perso, come un pesciolino fuori dall'acqua.


Non riusciva neppure a parlare. Solo poche parole, per fargli capire che il peggio era passato e aveva iniziato a guarire. Le macchioline avevano iniziato a impallidire. el giro di pochi giorni la reazione cutanea si sarebbe attenuata completamente. Poi basta parlare, perché ogni parola corrispondeva a una massacrante abbaiata. Comunque a loro bastava così, era vivo, stava guarendo, questo era ciò che importava. Dopo qualche momento di compagnia, arrivava la sera e purtroppo loro dovevano andare via per ritornare a casa. Con grande malinconia li osservava allontanarsi e scomparire in fondo al passaggio. I giorni trascorrevano tra preparati, medicinali e tanta noia. La notizia positiva era che l'eruzione cutanea stava scomparendo completamente dal suo corpo. La febbre stava scomparendo e anche la tosse iniziava a lasciarlo in pace, con intervalli sempre più lunghi. Il decorso completo del morbillo si esauriva in circa dieci giorni di permanenza. Era guarito e lo faceva grazie all'assistenza insistente e implacabile di quella piccolissima donna d'acciaio che lui non aveva mai smesso di ringraziare, neppure in quei giorni del loro incontro. Per essere dimesso dal nosocomio militare doveva sottostare a una serie di esami di controllo, dai quali risultava che della malattia non vi era più traccia. Ad aspettarlo fuori c'era suo cugino "Signore Potente", che abitava nella città vicina. Gentilmente era venuto a prenderlo per aiutarlo con il bagaglio e accompagnarlo al luogo dove sarebbe passata una carovana giornaliera Qui lo aiutavano a salire su di un barroccio e poi via fino a ritornare alla sua vita. La vita da civile durava solo una decina di giorni, doveva ritornare a interpretare il ruolo del soldato. Così faceva. Tutto era rimasto immutato, da quando era andato via e non era cambiato niente. Allora riprendeva a svolgere il suo mestiere e i suoi servizi di guardia. Durante quelle alternanze notturne


circondato da buio e solitudine, si canticchiava il suo canto di lode personale, al coraggio, alla pazienza e alla follia umana.

Coll'arma in braccio, si ritrovava solo, immerso nel silenzio per tutta la notte a combattere contro la noia e il freddo. L'alba era solamente un miraggio. Pensava che un anno, trascorso prigioniero del suo stendardo, era lungo, passato solamente a girare in tondo, a difendersi dal niente. Il nemico non esisteva!

Un'altra occupazione che si ritrova a compiere, ma solo qualche volta, era il servizio al refettorio. Per lui era un servizio noioso, stressante, preparare i ranci dal mattino alla sera. Ogni volta pulire quel locale, tutti i pavimenti. Era un mestiere che non gli andava a genio. Preferiva mille volte il servizio di guardia. Comunque anche quei giorni passavano indenni, lasciandolo sano e salvo, anzi, se pur nella loro negatività, lo arricchivano di una conoscenza molto piacevole alla vista. Al refettorio arrivava all'alba, naturalmente prima degli altri, per preparare il mangiare. A quelle prime luci del giorno la natura si colorava di un'infinità di tinte e sfumature, in un'atmosfera poetica. Non esisteva una sensazione di benessere spirituale migliore di quella. Prima di allora non l'aveva mai notato. Quello era l'unico luogo, all'interno della roccaforte, da dove si poteva osservare. Con sorpresa la sua vista puntava in quella direzione, rimanendo meravigliato, paralizzato da tanta bellezza. Se ne stava là, imponente, con le tinte rosa dell'alba, che coloravano i suoi massicci montuosi, splendendo di una luce intensa che sembrava un enorme diamante. L'incontro con quella montagna, di dimensioni gigantesche e con i suoi colori incantevoli, che emanavano una grande sensazione di pace, non se lo scorderà mai, portandola per sempre nel suo cuore. Dopo quella piacevole scoperta i giorni si susseguivano, tutti uguali, uno dopo l'altro, senza troppe emozioni, a parte l'aver vinto, un giorno, il primo premio ottenendo la miglior posizione alla gara di


tiro. Aveva tirato in varie posizioni, in piedi, in ginocchio e infine da sdraiato, non fallendo mai. Colpiva la sagoma sempre negli occhi. Era stata una piccola ma grande soddisfazione personale. Forse per i risultati raggiunti, accompagnati dalla buona condotta, inducevano un suo superiore a chiedergli se "Seguace di Cristo" voleva restare a svolgere il servizio militare per un anno ancora, per poi rimanere tutta la vita a svolgere il mestiere di soldato. Si potevano aprire per lui le porte di una grande carriera militare. La grande carriera militare che aveva da sempre sognato! È vero che si era ambientato molto bene. Svolgeva sempre i suoi servizi senza problemi, senza mai essere ripreso o rimproverato. I suoi pensieri però erano cambiati, ora voleva ritornare a casa per svolgere il mestiere con il quale era stato educato. Lo sapeva bene, ciò che gli era stato proposto sarebbe stato da cogliere al volo, senza pensarci un attimo. Non a tutti era chiesto, solo a pochissimi. Avrebbe dovuto cogliere il gesto con onore e ringraziamento, perché mettevano nelle sue mani la possibilità di un mestiere futuro, sicuro e ben retribuito. Si prendeva qualche giorno per riflettere, ma alla fine rispose negativamente, rinunciando per sempre a quel dono, consapevole che non poteva più ritornare indietro. La decisione era presa secondo quella che sarebbe stata la sua destinazione, per un breve periodo, se avesse accettato. Sarebbe stato inviato, infatti, immediatamente e per tre mesi, a svolgere una battaglia in territorio straniero. Una guerra di distruzione, morte e disperazione. Allora pensava che il posto più sicuro, per lui, era uno e uno solamente… La sua casa. Finalmente terminavano i dieci mesi e mezzo del periodo di richiamo alle armi. Era il giorno 28 di un mese autunnale, proprio il dì in cui, tre anni più tardi, sarebbe nata la sua prima figlia. Il 28 era anche il giorno della sua nascita! Solo una serie di coincidenze o forse si nascondeva qualcosa di più, di misterioso? Certo è che il


28 era un numero che lo stava accompagnando nel percorso della vita, fin dalla sua nascita. Incuriosito da questa presenza continua del numero, svolgeva, con il tempo, una breve ricerca scoprendo il suo significato. Era il numero dei piaceri carnali, delle ricchezze terrene, del lusso sfrenato e dei piaceri illeciti, dei tradimenti anche coniugali. A questo numero erano collegati i sogni e le attività erotiche, gli incontri sessuali, il desiderare la moglie di un amico o il marito di un'amica. Il sognare o l'avere rapporti sessuali contro natura, lo sfruttare la propria bellezza fisica e i propri attributi sessuali a scopo di lucro. L'avere rapporti con persone che si prostituiscono, l'avere un'amante, il desiderare eroticamente qualcuno, essere attratti dai gioielli e dalle monete. Mi confessava, allora, che la sua personalità ben poco si riconosceva in queste descrizioni. Allora gli veniva da pensare che la ricorrenza del numero fosse solamente un fatto casuale, senza nessun alone di mistero. Ritorniamo, per un attimo, alla sera prima dell'ultima alba, dove l'attesa del giorno dopo era ancora più emozionante di quel momento stesso. La sera volava tra i saluti, le scritte dei nomi degli amici più sinceri, fatte in uno stendardo tricolore che teneva ancora allora per ricordo. Loro, dello stesso contingente festeggiavano fino a tardi, un po' in una zona, un po' in un'altra. Poi il mattino seguente, si vestivano tutti con la classica uniforme militare, quella per i grandi festeggiamenti. Tutti fuori per l'ultimo alza stendardo. Quel mattino il rito era ancora più bello, più seducente e coinvolgente nei loro confronti. Poi un grido collettivo… "DODICESIMO CONTINGENTE SALUTA E SE NE VA". Salivano tutti sul carro, che si metteva in marcia per accompagnarli al luogo dove un anno prima erano andati a prenderli per portarli dentro. Ora la situazione era completamente ribaltata. Ora erano scortati fuori. Arrivati al corpo di guardia il cancello d'ingresso si apriva, da destra verso sinistra. Al di là c'era


la libertà. Il barroccio sorpassava la linea di confine e s'immetteva nel percorso principale. Loro si giravano tutti indietro a guardare il cancello che si stava richiudendo, consapevoli che non lo avrebbero più varcato per tutto il resto della loro vita. In quei momenti provava emozioni forti, difficili da descrivere. Tuttavia giungevano al luogo dove si mettevano tutti a bordo tracciato ad attendere l'arrivo dei rispettivi convogli. C'era chi rimaneva al nord. Chi come lui andava al centro e chi, come il suo compagno di dormitorio, andava al sud. Le carovane iniziavano ad arrivare e ad uno a uno scomparivano tutti. Si ricordava benissimo quando toccava al suo compagno. Si stringevano in un affettuoso abbraccio. Avevano vissuto per quasi un anno nello stesso ambiente e, infatti, quando il convoglio si allontanava, all'improvviso si alzava in piedi e, voltandosi indietro, si metteva a gridare… "RICORDATI DEL DORMITORIO… DEL NOSTRO DORMITORIO, ABBIAMO VISSUTO UN ANNO INSIEME, NON TE LO SCORDARE MAI". Sono cose che non aveva mai scordato. Gli anni passavano, ma le varie situazioni, le vere amicizie, i veri rapporti umani, li portava sempre dentro di sé. Neppure a dirlo, era rimasto solo in quel posto. Gli assaliva allora un pesante stato di abbandono. Finalmente eccolo! Saliva su, lo trasportava fino alla prima città vicina, dove cambiava carro, che lo conduceva fino alla sua terra d'origine. Era l'ultimo viaggio di ritorno… Quello più lungo! Già in certe situazioni sembra che lo stesso tragitto, nel viaggio di ritorno, sia molto più lungo. Il tempo non gli passava mai. Si alzava in piedi, poi si rimetteva seduto a osservare il paesaggio, quello stesso panorama che molte altre volte gli aveva tenuto compagnia. In quel momento, gli si era come rivoltato contro. Era diventato un nemico, perché a ogni luogo incontrato, faceva il suo calcolo del tempo. Si ripeteva in continuazione: "se ora sono qui, per arrivare, ho ancora da passare


un certo tempo". Quest'operazione la ripeteva ogni volta che il panorama cambiava, ogni momento che lasciava una terra e entrava in un'altra. Più che si avvicinava a destinazione e più che il tempo non passava, anzi, nell'ultima distanza sembrava addirittura che il convoglio, invece di andare in avanti, aveva iniziato a muoversi indietro. Era sfinito, ma pian piano entravano in una campagna a lui conosciuta. Era un buon segnale e all'improvviso il cartello, che indicava l'entrata della sua città. Era vinto dalla fatica e snervato per aver aspettato quel momento fin dalla partenza, ma allo stesso tempo era felice. Da allora erano passati ben diciotto anni e con un pizzico di curiosità aveva avvertito il desiderio di compiere una ricerca a proposito di quelle due fortezze che gli avevano preso quasi un anno della sua vita. Così, con sorpresa, aveva accertato che nell'autunno dell'anno 1499 si era licenziato l'ultimo gruppo di militari. Era il 12° contingente dell'anno 1498. Poi le insegne erano cedute a un altro Reggimento di fanteria, ma per breve tempo, perché questo era stato risciolto nell'anno 1504. In conclusione la roccaforte era chiusa e demilitarizzata. Al tempo rimanevano solamente i manufatti abbandonati e vari ruderi, unici testimoni di un glorioso passato. Altro destino sembrava interessare l'altra rocca, in altre parole, il cimitero dei carri da battaglia. Il mio protagonista aveva scoperto una storia, che già conosceva molto bene, perché l'aveva vissuta per quasi un anno, ma non avrebbe mai pensato che avesse un seguito incredibile. Da vari trattati di disarmo, risultava che il suo Regno aveva in carica un numero impressionante di carri, una cifra paurosa. Com'era stato possibile arrivare ad accumularne così tanti? La risposta era da ricercare nel comportamento del mestiere militare, nella mancanza di fondi da dedicare alle demolizioni. Così, anno dopo anno, quei carri venivano accantonati nel bosco, fino a raggiungere la saturazione completa di tutti i campi, con rischi per


le coltivazioni, facendo, inevitabilmente, scattare l'allarme rosso. Così era stato deciso di affrontare il problema, distruggere completamente i carri in rovina e vendere, ad altri Regni, quelli ancora capaci di combattere. Con il passare del tempo, la scorta si era ridotta, ma restavano sempre però un'enormità. Tra i rovi ne rimanevano, infatti, ancora molti, testimoni della scellerataggine dell'uomo durante le ultime guerriglie. Queste informazioni gli provocavano un profondo stato di angoscia e sgomento. Pensava alla spesa folle affrontata per un tale armamentario mai utilizzato. Chiaramente soldi prelevati al popolo plebeo tramite tasse, poi parcheggiati nei campi senza preoccuparsi più delle loro condizioni per molto tempo e poi destinati a essere smantellati, perché inefficienti. Oppure venderli a altri Regni a un valore molto più basso di quello di costruzione.

Una vera follia umana!



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