Sfogliando pagine d'una agreste memoria
Nel frequentare la scuola elementare mi sono innamorato di una mia compagna di classe. Si chiama, tutt'oggi, Storia. Capelli biondi, lunghi e lisci, come la coda dei cavalli combattenti ai piedi dei castelli. Occhi azzurri come il mare dei tempi della creazione. Per mano abbiamo fatto lunghe passeggiate su e giù per la campagna e armato di carta, penna e tante domande in tasca, ho giocato a fare l'archeologo, scavando in quel luogo misterioso che era la mente di mia nonna Mry, al tempo degli accadimenti ragazzina. Oggi la sua mente è oscurata da nere nuvole, gonfie d'incalcolabili giorni passati. Basta punzecchiarle con alcune domande ben appuntite, che iniziano a grondare una pioggia frammentata di ricordi. Un fiume in piena di memorie inondanti il villaggio dove viveva, scavando e riportando in superficie, una storica rievocazione agreste, con pagine che parlano di: Una querce piena d'oro che brucia, lo spirito di una ragazza deceduta che si materializza in un bosco, un torrente liberato dal demonio invitando il soccorso divino, una pentola di antiche monete protetta dallo stretto abbraccio di radici di un gigantesco ulivo, un tesoro custodito nella gola della collina, un fantasma dell'antico casolare agricolo, uno spirito maligno, servitore del Diavolo da combattere a colpi di speranza, fede, amore e provvidenza, un lupo mannaro divenuto folclore del villaggio per la sua spaventosa mostruosità. Un elenco di capitoli, testimonianti un lontano e tenebroso passato. Mentre mia nonna Mry racconta, un brivido d'emozione mi graffia la schiena. Sfogliando le pagine della sua agreste memoria è come se, con i piedi, calpesto le ossa, di una storia non riportata in alcun libro scolastico, sminuzzate dal tempo e dalle lavorazioni agricole, come avviene per vasi, anfore di un sito archeologico. Ascolto … Percepisco ancora la presenza di quei personaggi, protagonisti di questi capitoli, frammenti di un'ancora viva memoria, che appiccicandoli alla meglio, ricostruisco questo mio personale antico testamento.
Del villaggio dove è nata mia nonna non vi sono più tracce. Per certo ho notizia che sorgeva su un terreno sabbioso e ghiaioso, dove il fiume e il torrente, dopo piovuto molto, fissavano il loro punto d'incontro, per andare insieme al mare. Da questa zona di confluenza era facile controllare la strategica strada di comunicazione, strisciante tra le gambe delle circostanti olivate colline, aventi sulle spalle i castelli fortificati, che a guardarli dalla valle, oggi sembrano raffigurare proprio fieri cavalieri a cavallo del loro destriero, fissati dal tempo in un quadro medioevale. Nel villaggio erano presenti: Una chiesa, un giardino del Regno dell'eterno sonno, due botteghe di calzolai, una fornace, un vasaio, due fabbri e un macello. Il resto degli abitanti erano contadini che scambiavano polli, uova, prosciutti e altri regali della terra, come grano e olio, con scarpe e vestiti portati al villaggio da venditori ambulanti. La vita andava vanti tra alti e bassi. Alcuni anni le vacche grasse, forse chissà … Essendo più pesanti si facevano sorpassare dalle loro simili, più magre e quindi più agili e veloci, nel portare lo scarso raccolto al granaio. Passavano i venditori di cianfrusaglie che chiedevano di fermarsi per la notte, dormendo nella stalla, con i suoi monti di paglia e resa accogliente dal caldo fiato dei buoi. Ospitalità sacra, tale sistemazione, anche per i rari nomadi circensi, che per la gioia dei bambini si fermavano al villaggio ogni anno a primavera. Portavano con sé delle valigie di cartone legate con lo spago sulle spalle e un tavolo chiudibile con attaccate varie mercanzie, come: fiammiferi, forcine per i capelli, ferri per cucire la lana e gli immancabili cornetti rossi portafortuna. Ce ne voleva tanta di fortuna! Molte persone si ammalavano di malesseri non spiegabili e curabili dalla medicina conosciuta. Forse i lavori usuranti nei campi stavano presentando il conto in vecchiaia? O forse un buio mistero si stava diffondendo come un virus per tutto il caseggiato? Mia nonna era ancora piccola quando il caseggiato, del quale oggi rimane solamente un cimitero d'ossa, e frammentarie notizie, veniva strappato dalle sue radici, come filo d'erba, dallo straripante galoppo del fiume. Rimbombanti erano gli echi dei suoi lamenti, mentre, come impetuoso cavallo, travolgente in battaglia, si contorceva cercando di liberarsi dagli ostacoli trovati davanti. In seguito all'abbandono delle case, i superstiti davano origine a fattorie e piccoli poderi, pascolanti, come sparse pecore, sulla groppa dei dominanti poggi. Proprio in una di queste proprietà ci sono cresciuto io, circondato da campi di grano, balle di paglia e galline, dalle quali ali ho strappato le più colorate penne, per scrivervi i miei più oscuri racconti.
Brucia la cava quercia
È una fredda mattina d'inverno. I tagliatori di legna s'incamminano lungo la serpeggiante stradina carrareccia, che accompagna alla macchia. Faticosamente trasportano la pesante lama dentata manuale, necessaria per segare i grandi alberi. Trascinati dalla grande forza di volontà, proseguono nel calpestare il fangoso e buio sentiero. Nonostante hanno le mani e i piedi informicoliti dal freddo, come una maestra, la severa zona di taglio li chiama al loro dovere. Un cinghiale che trotterella in lontananza è l'immancabile compagno di viaggio. Come veri esploratori riescono ad aprirsi un varco nella fitta vegetazione, giungendo a destinazione … Una gola profonda, buia e tenebrosa. Il paffuto sole, incuriosito da questi uomini tanto affaccendati, inizia a spiarli, tentando di nascondersi dietro i magri rami. Deliziati dalla simpatica e allegra faccia, dai rossicci zigomi, come fosse uomo alticcio, trattenente con i suoi racconti, i tagliaboschi decidono di raccattare frasche e ramoscelli per alimentare un falò utile a scaldare le loro gelide estremità e cuocere la nutriente colazione. Lo sguardo sbatte su una vecchia pianta, dall'enorme tronco deforme, vivente distaccata da tutti i suoi simili. Dalla raggrinzita pelle gli uomini capiscono di trovarsi di fronte ad una quercia, la cui schiena, tanto aggobbita da farle toccare il terreno con la calva chioma, sembra voler comunicare con loro, desiderosa di raccontare la storia del luogo, vissuta dalle sue lunghe e contorte braccia. Quante ne ha vissute … Il veterano fusto! Chissà … Nato spontaneamente? Seminato volutamente dai frati dell'antico convento, costruito sul sovrastante colle, durante la lontana età di mezzo? Il territorio è noto ai vecchi come scenografia di battaglie, interpretate dagli attori del tempo, quali i grandi condottieri militari, ma anche origine di storie leggendarie, raccontate dai nonni, durante la veglia serale, momento in cui un drago, scivolato dal tetto, cade in trappola nel camino e con i suoi sbruffi di sottofondo riscalda tutta la famiglia. I più giovani ascoltano, increduli, la narrazione di un misterioso sasso, che se toccato al calar del buio, procura una brutta febbre. Altro fantastico capitolo storico, tramandato a voce, parla addirittura del passaggio, in questa campagna, di Carlo Magno. Per coloro che ancora non hanno sonno, gli sono sfogliate altre pagine dell'agreste memoria, sprofondando, come in un fangoso terreno, nell'irreale scoperta di un tesoro nascosto nel letto del vicino travolgente torrente.
Chiudiamo per un attimo il libro dei lontani racconti contadini e concentriamoci sul tempo presente.
Non riuscendo a recuperare la necessaria legna asciutta, i taglialegna decidono di sacrificare il vecchio tronco incavato, pensando che del groviglio di rami secchi non importi a nessuno, tanto meno ai suoi simili, i quali l'hanno scansato ai margini del bosco. Così deciso, tentano di dargli fuoco dalle radici, sporgenti come veterane vene dalla solcata pelle. La quercia piange lacrime di resina, che scivolando giù per la corteccia, perdendo l'equilibrio, come fossero stelle cadenti, riescono a spegnere le piccole fiamme, desiderosa dire a quegli insensibili uomini di non bruciarla, nel rispetto della memoria dell'antico spirito, vivente ancora nella sua cavità. Ben presto il tronco rimane arido di linfa, così le lingue di fuoco, approfittando dell'indebolimento della combattiva quercia, velocemente si arrampicano su per la grande gobba, raggiungendo la testa. Ciò che rappresenta il male per la pianta, diviene il bene per i boscaioli, felici di placare il loro freddo. Confortati dal calore, possono iniziare il lavoro di taglio. A poco a poco le piante, inciampando nel mostro dai denti di ferro, cadono a terra, con conseguente ampliamento della zona disboscata. Senza rendersene conto si ritrovano naufraghi in un mare di legni e frasche in burrasca, ma quel lontano ciocco acceso, ormai per loro non rappresenta più un caldo faro di salvataggio. Arrogantemente troppo presto si sono scordati che poco tempo prima li ha salvati dai graffianti artigli del freddo. Senza alcuna utilità apparente, l'annerito ceppo brucia giorno e notte … Speriamo almeno che del suo rimanente calore illuminante se ne sia servito qualche animale!
Mattino seguente.
Ripercorrendo il solito sentiero, i taglialegna non immaginano neppure lontanamente cosa stanno per trovarsi davanti nell'avvicinarsi ai resti mortali della sventurata quercia, consumata dai lamenti infernali. Meraviglia. Stupore. Non riescono a credere a ciò che i loro occhi li stanno raccontando. I luccicanti globi oculari, impazziti come palle di biliardo, narrano di una copiosa colata di lunghe lingue gialle, correnti a riempire le spaccature del terreno circostante, restituendo alla macchia la rinascita della vecchia quercia, originandosi da radici d'orate. Con certezza realizzano di aver bruciato un tesoro. Ora si tolgono i guanti da lavoro, perché non digeribili e si mangiano le mani, mentre in testa gli ronza, come api, uno sciame di punti interrogativi. Chi l'ha nascosto nella cavità della quercia? In quale epoca? Si tratta di monete? Di una statua? Oppure di oro grezzo? Come intontiti, rimangono per molto tempo a fissare la gialla colata, ormai quasi inghiottita dalla terra e a rimpiangere di non aver stanato la fortuna prima di sguinzagliare l'aggressivo segugio, che ha braccato la preda, senza portarla al cacciatore. Risvegliati dall'incubo, si ricordano dei racconti dei vecchi nonni, aventi come protagonista un uomo povero dalla nascita. Per sopravvivere lavora la terra, ma improvvisamente e inspiegabilmente si arricchisce, tanto da acquistare in breve tempo due poderi in campagna, dietro lo stupore di tutti i confinanti, che increduli si domandano dove ha trovato tanta fortuna. La verità la conosce solamente il misterioso e schivo uomo.
Questa storia ci insegna che i tesori non si nascondano solamente dietro la fantasia di chi racconta, ma è successo che qualche preziosa scoperta è stata veramente vissuta da qualcuno, sempre per la casualità di come si sono svolte le vicende, in questo territorio, al tempo delle preziose avventure, ancora incontaminato. I maestosi trattori che lavorano oggi in profondità, rivoltando la terra, al tempo di questo racconto, non esistevano e i lavori agricoli erano effettuati solamente superficialmente utilizzando piccoli aratri trainati dai buoi, lasciando sepolta la storia di questi luoghi. Ai taglialegna rimane solamente la possibilità di raccontare l'avventura vissuta durante questo mattino, che certamente non gli cambierà la vita, infatti, per tirare avanti dovranno continuare a faticare nei boschi per molto tempo ancora. Non solo sono stati ciechi, perché non hanno visto il tesoro nascosto, ma la bramosia di scaldarsi li ha resi anche sordi.
La vecchia e calva quercia ha tentato di avvisarli … Non bruciate la memoria dell'antico spirito, che vive dentro di me!